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1.6 ● QUANDO TROVAI NUOVI AMICI

N.B. Gli errori grammaticali, ripetizioni di parole e modi di dire (anche nella stessa frase) sono fatti apposta per le caratteristiche del personaggio.

Il secchione era impalato dentro la sua scatoletta rossa.

Si aspetta per caso che vado in segreteria e mi presento? Forse però in questo posto funziona così.

Si decise a scendere, in due passi da gigante mi fu di fronte e mi prese per le spalle. Il mio cuore fece un salto. Non ero mai stata così vicina a un uomo, tranne che con papà. Poi, quasi mi fece perdere l'equilibrio girandomi verso la grande porta a vetri dell'edificio enorme che splendeva con il colore bianco e nocciola e i vetri grandissimi.

Mi tenne stretta per le braccia e mi spinse. «Ehi, mi fai male.»

«Zitta, e accelera il passo.» Sembrava avere il fiatone, eppure quella che stava quasi correndo, ero io.

Entrammo in un corridoio pieno di armadietti dello stesso colore della scuola. Alcuni ragazzi e ragazze ci giravano intorno, avevano vestiti firmati e all'ultima moda.

Ecco, qui ci sono altre persone che penseranno che sono una strana.

Mi parcheggiò come la scatoletta, davanti a una porta a vetri, ed entrò da solo. Rimasi a fissarlo mentre parlava con una tizia con i capelli biondi a caschetto che aveva l'età della nonna. Forse un po' più giovane.

Era stata la mattinata più pazza della mia vita. Lo guardavo oltre il vetro e non potevo fare a meno di pensare che mi era entrato nudo in camera.

Non del tutto, più o meno nudo.

Mezzo bagnato e con l'accappatoio aperto. Che vergognato a presentarsi così davanti a un'ospite!

Ero stata costretta a guardarlo. Voleva parlare. Era lì e non potevo ignorarlo. Ma poi avevo iniziato a fissarlo.

Quando l'avevo visto vestito il giorno prima sembrava il solito secchione magro e malato. Ma quello, invece, aveva dei muscoli come quelli delle riviste di Beth, che portava i giornali con i ragazzi. Aveva i pettorali scolpiti e gliaddominali che sembravano colline e poi mi erano andati gli occhi sul costume che era stretto e mi faceva...

Mi era salito un caldo tremendo da sotto.

Senza motivo, mi era venuta in mente la copertina di Rolling Stone con EL che era in posa e aveva mezza maglietta su e il mio cervello aveva smesso di capire.

Avevo provato a guardare il secchione in faccia per dirgli qualcosa, ma era stato anche peggio. Senza occhiali aveva uno strano taglio di occhi, erano blu scuro come il colore della piscina e aveva pure un viso da modello.

Rifletti, Juno! Dì qualcosa! Cavoli, è figo senza occhiali! No! Ma cosa vado a pensare?

Di nuovo mi trovai a pensare al mio primo bacio fallito e il secchione uscì dalla segreteria. Mi sentivo le guance calde e abbassai la testa, mi sembrava di avere la febbre.

Mi mise un foglio sotto la faccia. «Bene, da qui in poi sei da sola. Ti passerò a prendere oggi pomeriggio. Non fare sciocchezze, fangirl.»

Volevo trovare qualcosa da rispondergli per le cime, ma il mio cuore batteva troppo forte, e a guardarlo in faccia, forse, sarei anche svenuta.

Gli strappai il foglio a quadretti di mano e lo girai più volte. «Fidati, secchione, ci so stare a scuola.»

«Ah, davvero? Da come parli sembra che tu non ci sia mai stata.» Con lo stesso passo svelto si allontanò. Trovai il coraggio di guardarlo andare via. Gli fissai le spalle larghe e le gambe lunghe con i pantaloni da ufficio blu scuro.

Chissà come starebbe con i jeans stretti come quelli di EL, con quelle gambe e le magliette che si vede il petto e... Oh, ancora, Juno?

Dovevo ricordarmi che mi aveva presa in giro. E che mi stava antipatico. Dopo la storia del costume da bagno sembrava che non ce la facessi a evitare figuracce una dietro l'altra, e avevo la sensazione che lui si divertisse.

Mi aveva anche chiamato fangirl. Non aveva diritto chiamarmi così solo perché amavo EL. Non sapeva nulla di quello che EL significava per me.

Secchione. In fondo gli sta bene.

Però, l'immagine di lui in costume era stampata a fuoco nella mia testa non se ne voleva andare.

Qualche colpo sulla spalla mi riportò tra quei corridoi nocciola e bianchi, molto diversi dalle pareti verdi e strette della scuola di Seattle.

Mi girai e mi trovai faccia a faccia con una maglietta ufficiale degli 'Y●EL●L'. Dentro c'era una ragazza dalla pelle scura che mi stava facendo il sorriso più bello della mia vita. La mia felicità.

Allungò la mano, che mi sembrò un salvagente in mezzo all'oceano. «Ciao. Mi sembra che abbiamo gli stessi gusti. Io sono Janine Silimani.»

Mi sembrò che un po' di fortuna fosse arrivata e mi rilassai «Ciao, Jennifer Bennett. Chiamami Juno».

«Sei appena arrivata?»

Annuii. «Proprio ieri, con mia madre, Sono partita giovedì scorso da Seattle.»

Janine spalancò gli occhi. «Cavolo! Giovedì? Dopo quattro giorni di viaggio ti sbattono subito a scuola? Senza pietà!» Scosse la testa piena di treccine rosa.

Quella ragazza mi sembrava simpatica o per lo meno, comprensiva. E soprattutto, era una fan di EL. Forse, avrei avuto qualcuno con cui condividere finalmente la mia passione.

Un altro tocco arrivò alla mia spalla, seguito da uno schiarirsi di gola. Janine fece un sorriso ancora più largo alla persona che era dietro di me.

Mi voltai e mi trovai di fronte a... Janine.

Girai la testa da una parte all'altra. Le due erano diverse solo per i vestiti e per il fatto che una aveva i capelli rosa e lunghi e l'altra neri e corti.

«Scusate, io...» mi fermai, era inutile chiedere se erano due gemelle, si vedeva.

Quella appena arrivata mi lanciò un'occhiata, ma poi si rivolse alla sorella. «Janine?»

Janine sorrise, dondolando sui talloni «Hai visto? Un'altra fan di EL. Ci speravo!»

La mora sbuffò e mi tese la mano «Juliet, Silimani.»

«Juno.»

«Bene, Juno. Per oggi stai con me. Abbiamo gli stessi corsi, quindi ti porterò per la scuola e ti farò vedere le aule.» Sul suo viso apparve un sorriso sincero come quello di Janine.

Durante la giornata, in molti la salutarono e davano il cinque, lungo i corridoi e davanti agli armadietti, tutti ben mantenuti.

«Come mai sei così famosa?»

«Mi voglio presentare come rappresentante degli studenti per il prossimo anno» rispose senza smettere di sorridere, «Per cui, organizzo iniziative per la scuola, partecipo a riunioni di istituto, presiedo club, eccetera.»

«Capisco.»

Chissà se io e Juliet saremo amiche.

A Seattle Rita e Beth erano delle nessuno, come me. Forse un'amica, o per lo meno una conoscenza un po' famosa, mi avrebbe aiutato a vivere meglio, lì.

A pranzo, Juliet mi fece vedere la mensa.

«Ehi, avete le sedie al posto delle panche. Non devo dividere il mio posto con nessuno.» La sala era illuminata da finestre che facevano vedere il giardino fuori e gli spazi tra i tavoli uovali abbastanza distanti da passarci senza dover sbattere addosso agli altri col vassoio. Da un angolo della sala Janine ci fece cenno di avvicinarci.

Seguii Juliet e rimasi in piedi di fronte alle due.

Se mi siedo vicino, sentiranno la puzza di muffa della mia vecchia casa addosso ai miei vestiti come secchione?

Anche a Seattle le mie amiche mi avevano fatto notare la cosa, ed ero sempre in imbarazzo. Secchione aveva solo rigirato il coltello nella piega, e io mi ero ritrovata col cuore in gola.

Janine si era cambiata e non indossava più la maglietta degli 'Y●EL●L', ma una divisa da cheerleader.

«Sei, tipo, che so, la capo cheerleader?» Domandai.

Lei rise «Chi, io?» Scosse la testa, «No. E non credo nemmeno che lo diventerò. Sono solo una delle tante.»

Mi sembrava di essere in uno di quei telefilm di Beth, trasferirmi in una casa da ricconi, arrivare in una nuova scuola e diventare subito amica di una cheerleader. Anche perché di solito la nuova arrivata veniva subito presa in giro da tutte le ragazze carine.

«...voti!» Concluse Juliet.

Ritornai alla realtà «Scusa?»

Appoggiai il vassoio con il mio pranzo, uno vero. Per risparmiare i soldi per comprare altre cose non mangiavo, mi accontentavo dei tramezzini al burro di arachidi che mi facevo di nascosto a casa.

Affondai la forchetta nella Ceasar salad con già l'acquolina in bocca.

Janine continuò a parlare «Non è una mia ambizione, faccio la cheerleader solo perché mi servono dei crediti per passare, sono un po' scarsa con i voti.» Indicò la sorella «Delle due quella intelligente è lei.»

Juliet fece una smorfia «Non sono più intelligente di te, sorella. Solo che per essere rappresentante degli studenti ci vogliono voti alti.»

«E come funziona qui, con i crediti?» Quello che aveva detto Janine mi aveva messo un po' sulle spine. Se si trattava di fare sport per andare bene in caso di insufficienze, ero fritta.

«Ecco, vedi», Janine mescolò il sugo della pasta. «Non sono proprio geniale, lo ammetto. I miei voti stanno tra la A e la B, per cui devo trovare un'altra soluzione. Ma se tu hai tutti A, non devi per forza fare cose in più.»

Deglutii a vuoto «Scusa? Hai detto che hai tra A e B?»

Alzò le sopracciglia e si sporse verso di me «Beh, sì.»

Mi strinsi tra le spalle e fissai il piatto. I miei voti a scuola erano sempre stati brutti. Durante quella giornata, avevo tentato di seguire le lezioni, ma l'unica cosa che ci avevo guadagnato era stato un orribile mal di testa «Accidenti, siete avanti anni luce qui.»

Juliet sospirò «Ci sono dei club di studio per chi non raggiunge voti abbastanza buoni. Al pomeriggio, alla fine delle lezioni.»

Appoggiai il gomito al tavolo e il mento sul palmo della mano, sbuffai. «Di bene in peggio! Non credo che posso frequentare quei corsi. Sono guardata a vista. La mamma è scappata di casa con me e ora ha paura che io scappo da lei per tornare da papà a Seattle. Mi ha messo addosso il figlio di un paio di amici suoi che ci ospitano.»

Juliet alzò la testa e le si illuminarono gli occhi, perse un po' quell'atteggiamento composto che aveva avuto per tutta la mattina «Dici il tizio che ti ha accompagnata a scuola con la Cinquecento rossa?»

Non capivo perché tanto entusiasmo «Cinquecento?» Risposi. «Se ti riferisci a quella cosa su quattro ruote, sì, è lui. Di sicuro non ha il pene piccolo.»

Janine mise giù il bicchiere dove stava bevendo e scoppiò a ridere.

«Che c'è?» domandai, «Dicono che più un ragazzo ha la macchina grossa più ce l'ha piccolo, no? Funziona anche al contrario.»

Janine tornò seria «Si tratta di macchine costose. Gli uomini lo fanno per far colpo sulle donne col denaro. Non lo sai?»

Non ci avevo mai pensato. Ecco, un'altra figuraccia.

Non bastava secchione, mi ero fatta riconoscere anche da loro due, e forse mi avrebbero preso in giro.

«Quindi il pene non c'entra niente.» Conclusi a mezza voce, fissando il vassoio e tormentandomi le mani.

«No. Però quella è un'auto d'epoca italiana. Piccola sì, ma da collezione.» Spiegò Juliet. Non sembrava volermi prendere in giro.

«Quindi è come se ha una macchina grossa?»

«Sì.» Confermò Janine.

Pensai un po' al costume del secchione e a quanto avevo visto. Il calore alla pancia si fece di nuovo sentire e strinsi le gambe.

Mi ributtai sul piatto, guardando ogni tanto le gemelle. Janine dai capelli rosa era allegra e le piaceva parlare di EL, come a me, mentre Juliet, quella mora, che voleva diventare rappresentante, sembrava seria e un po' scontrosa, ma era molto gentile. 

Note autore

Okay, nuovo capitolo

Posso fare scambi in tutta sicurezza, ora.

Cosa ne pensate finora della storia? Vi piace? Avete idea su chi sia Taryn e che relazione abbia con Michael? 👀 Fatemi sapere! 

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