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1.34 ● QUANDO SCOPRII LA VENDETTA SU COMMISSIONE

Allungai la mano nell'armadietto che sapeva di zucchero e vaniglia, afferrai una delle mie scarpe da badminton con l'indice e il pollice e la tirai fuori. Juliet si tirò indietro una ciocca di capelli scuri dagli occhi e poi mise il dito dentro alla panna montata che sbordava. «Ewww.»

Sospirai «Meglio qui che in bocca.» scossi la testa. «In questa maniera non potrò fare ginnastica. E mi toccherà anche portarle a casa. Se secchione le vede, non so cosa succede.»

Si voltò, si chinò verso uno dei cestini, svuotò il sacchetto e me lo mise di fronte, aperto. «Le prendo io. Le faccio lavare da mia madre e ti presto le mie.»

Intorno i ragazzi guardavano la torta he erano diventate le mie calzature. Cercai di ignorarli. «Sai, Julie, l'altro giorno mi ha chiamata Rita, mi ha detto che quando ero a Seattle c'era un ragazzo che mi veniva dietro.»

Mi appoggiò le sue scarpe in mano. «Lo vedi? Non sei così orribile come dicono quei tre stronzi. E dimmi, com'era?»

Le infilai, l'alluce mi ballava un po' sulla punta e nascosi una risata. «Sai che non lo so? Forse Rita ha detto Jim Morrison o John, non lo so. Dice che ha i capelli neri e lunghi e gioca a hockey.»

«Sembra carino.»

«Sì, ma io non me lo ricordo. Però grazie a mia madre ho anche perso l'occasione di avere un ragazzo.» Mi rialzai in piedi.

«Ti manca Seattle?» mi guardò, ma non capivo se fosse solo interessata o anche un po' triste.

«Seattle mi manca, sì. In particolare mio padre. Sai, mi sembra di non ricordare più la sua faccia, a volte.»

Ma non c'è secchione.

Scrollai le spalle e fissai oltre di lei mentre ricordavo l'ultima lezione.. Da quando mi aveva difesa, avevo imparato un pochino a farmelo piacere. «Cioè, non che non mi piaccia, voglio dire gli occhi blu, la sua voce e quando sorride...»

Juliet si fece seria «Scusa di cosa stai parlando?»

Mi tappai la bocca così forte che mi fecero male le labbra. «Stavo pensando ad alta voce. Non farci caso.»

Sorrise. «Io so di chi stai parlando.» canticchiò.

Uno spintone dalla spalla mi fece andare addosso a lei. Ci trovammo spiccicate sul muro.

Brad? No, non è possibile.

Ma di lui non ce n'era l'ombra, Juliet, a pochi centimetri dalla mia faccia, aveva l'espressione arrabbiata. «Ehi, ti sembrano questi i modi, Janine?»

Mi voltai, Janine era di fronte a noi con un po' di fiatone e le guance arrosate e le treccine rosa che sembrano serpenti sparsi sulle spalle. «Sai chi è Dana Harris?»

Mi grattai la testa. «Mi è familiare. L'ho già sentito.»

Mi appoggiò la mano sulla spalla. «Si tratta di uno della squadra di pallanuoto.» Indicò una delle porte delle aule.

L'immagine del ragazzo con i piccioni sulle spalle mi tornò in mente. «Ah, si è presentato qualche giorno fa. Mi sembrava un po' tonto.»

«La sorella di Seb, Susan, stava con lui. Lui l'ha mollata a dicembre e lei stava tentando di rimettercisi insieme. Il giorno in cui sei arrivata e Sean ha fatto tutto quel casino, Dana ti ha notata e ha detto che eri» sventolò la mano davanti alla faccia, «Carina. E lei era lì.»

Annuii.

«Mi segui, Juno?» domandò lei.

In quel momento una strana nebbia nella mia mente si sollevò, grigia come i piccioni sulle spalle di quel Dana Harris.

Janine sbuffò e incrociò le braccia. «Dana ti viene dietro e Susan ha commissionato una vendetta a suo fratello!» Mi puntò il dito sul petto. «Per questo ho indagato. Sospettavo qualcosa.»

Quindi io sono nei guai perché un ragazzo mi trovava interessante.

La botta che diedi al metallo fece girare una decina di persone e tutti fecero silenzio. Il palmo della mano mi bruciò. «Assurdo. Mi tocca stare male per una cosa in cui non c'entro niente.» Avrei dovuto essere contenta perché un ragazzo mi considerava carina, ma per colpa di quel Dana le mie scarpe erano da buttare, mi avevano fatto il bagno nel fango e per poco non morivo soffocata dal formaggio spray. La rabbia era così tanta che avrei corso chilometri con lo sportello dell'armadietto in mano per spaccare la faccia a quel tizio. «E lui lo sa? Di quello che mi stanno facendo?» strinsi i pugni fino a farmi male con le unghie sui palmi.

Juliet, che aveva ascoltato fino a quel momento, storse il naso e scosse la testa. «Dana non è uno stronzo. Forse è un po' tonto, quello sì. Ma non credo che reagirebbe contro Susan anche se lo sapesse.»

Mi grattai le braccia al ricordo del fango. «Quindi siamo punto e a capo.»

Juliet sospirò. «Non lo so, ma in ogni caso, lui ha lasciato Susan, per cui non credo che cambierebbe idea.» Si avvolse un riccio nero tra l'indice e il medio e i suoi denti mordicchiarono le labbra rosa. «Penso che ci abbiano anche preso gusto, a prenderti di mira.»

Mi voltai e andai verso il campo di allenamento. Ero così furiosa che avrei rotto la racchetta sulla testa di quei tre e poi, con quello che sarebbe rimasto, avrei preso a bastonate quel Dana.

Stavo indietreggiando per battere il volano, concentrata. Nel momento in cui la vibrazione del colpo sulla rete mi arrivò al braccio, andai a sbattere contro qualcosa che non ci doveva essere in campo. Non feci in tempo a girarmi, che mi trovai i pantaloni della tuta alle caviglie.

Al grido di "culona", dietro di me, tutti guardarono verso di me.

Rimasi paralizzata, intorno, i ragazzi che stavano guardando gli atleti allenarsi, o che avevano fatto una pausa, mi stavano puntando come i cani da caccia puntavano la mamma di Bambi. Alla mia destra ci furono delle risate, a sinistra si sentì un "lascia perdere".

Freddo e caldo si mescolarono, i peli delle braccia diventarono dritti e non riuscivo a respirare. Anche la schiena sembrava diventata un palo rigido.

Non piangere, Juno. Non scappare, non dargliela vinta. Ricorda di EL.

Guardai in basso il campo azzurro, e il freddo in testa sparì piano: mi ero scordata che sotto avevo anche i calzoncini a mezza gamba. Feci uno sforzo per controllare le mani che mi tremavano mentre mi rivestivo in silenzio.

Mi schiarii la voce. «Quindi? Non avete mai visto una ragazza in pantaloncini?»

Mi girai e Seb era a bordo campo che se ne stava andando come un ladro.

Mi ricomposi e ripresi a giocare. Ricacciai indietro le lacrime, ma non riuscii più a concentrarmi bene. Sentivo solo le parole di disprezzo di quei tre e desideravo fuggire e nascondermi.

Per un attimo immaginai persino di essere ancora dentro lo sgabuzzino buio, in mezzo agli stracci, fuori dalla folla e dai guai.

L'unica cosa che mi stava facendo andare avanti erano le canzoni di EL. Lui, nei suoi testi, raccontava delle sfide che lo avevano fatto sentire male e come le aveva combattute.

Ne stavo canticchiando una, qualche giorno dopo, piegata sul lavandino del bagno dello spogliatoio, dopo l'allenamento.

«Qualunque cosa dicano, rimani sulla tua via...»

Juliet mi raggiunse. «Ancora EL?» domandò.

«Sì, mi aiuta a rimanere su di morale quando mi fanno questo.» Le mostrai il maglione che stavo lavando.

Lo prese e lo stese, c'erano disegnate due tette stilizzate e una pancia con l'ombelico con la X. Spalancò gli occhi e impallidì.

Sospirai alzando le spalle. «Sì, fanno schifo anche nel disegnare.» Sfregai la punta del naso con il dorso della mano bagnato e gelato. «E lo fanno di nascosto.»

Juliet mi strappò il capo dalle mani. «Juno, non puoi continuare così!»

«Se li ignoro, prima o poi mi lasceranno in pace.» Risposi a voce bassa.

«Non funziona così, Jun.» Scosse la testa.

«Forse potrei rimediare con la festa di compleanno.» Mormorai ancora più piano, guardando le mie mani arrossate.

Juliet gettò nel lavandino la maglietta e mi fissò a bocca spalancata. «Tu dai una festa di compleanno?» rimase immobile con gli occhi sbarrati.

«Sì, mi sono dimenticata di dirvelo.» Borbottai.

Scosse la testa, e mi tirò il braccio. Si fece vento con una mano e la sua espressione la faceva assomigliare sempre di più alla sorella quando faceva cheerleading.

«Juno non ci si dimentica di dire a scuola che dai una festa per i tuoi sedici anni! Hai una cavolo di piscina, una cavolo di villa con un cavolo di giardino enormi! Diventerai la ragazza più popolare della scuola, altro che le prese per il culo di Brad!»

«Tu dici?» esitai, con le lacrime agli occhi. «Con la fama che ho, nessuno vorrebbe venire alla festa di una nuova. Che già in molti considerano male.»

Lei continuò. «Certo. Facciamo inviti, spargiamo la voce. Vedrai che dopo questa festa, nessuno, nemmeno Brad, avrà il coraggio di prenderti in giro!»

Tenendomi per il braccio mi tirò fuori dal bagno. Si precipitò lungo il corridoio, chiamando e fermando altri studenti.

Nota autore

Ciao a tutt*!

Maggio è finito, ormai ci sono gli esami per chi fa la quinta superiore o le sessioni estive per chi fa l'università, poi ci saranno le vacanze di agosto.
Questo sta a significare che i lettori su Wattpad (lettori che, ricordiamoci, sono una manciata rispetto a quelli filippini) si prenderanno una pausa e rallenteranno. Per cui, rallenterò anche io mettendo fuori un capitolo alla settimana.
L'avevo già detto, lo so, ma non si sa mai.

Ora, passiamo al DRAMMA! chi di voi segue Helluva Boss? Quanti di voi hanno pianto? IO SI'. Non avevo nemmeno il coraggio di vedere l'ultima parte! 😭😭
Quanti di voi trovano che abbia ragione Blitzø e che Stolas abbia reagito troppo d'impulso senza ascoltare le ultime parole del piccolo imp? *alza la mano*🙋🏻‍♀️

Quanti non hanno capito niente del mio delirio? Bene, per tutti voi andate a guardare Helluva Boss su Youtube!  

Ah, altre cose interessanti: mi sono iscritta alla W blu, l'alternativa social tutta italiana a Wattpad. iscrivetevi anche lì. Anche gli ambassador stanno migrando.

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