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1.12 ● NIENTE DOVEVA ESSERE EVIDENTE

Mi rinchiusi in camera ripensando al volto annoiato di fangirl. Avevo fatto una lezione perfetta. Eppure, qualcosa dentro di me si agitava, continuava a ripetere che non potevo essere stato così orribile nello spiegare.

Mi fissai allo specchio a mascelle strette.

Se solo quella donna non fosse stata così ossessiva. La sua presenza, il fatto evidente che fosse lì per giudicare il mio comportamento nei confronti della figlia, mi aveva fatto impazzire.

Incazzare.

Quella parola detonò nella mia mente: era il suono di una belva chiusa dietro una porta di acciaio e che la colpiva ripetutamente per sfondarla. La serratura e il catenaccio stavano per cedere. E la sua voce, che potevo udire attraverso quella porta, continuava a inveire verso quella donna.

Mi sedetti sul letto, la testa tra le mani, ripensando alla lezione.

Detestavo essere al centro dell'attenzione di qualcuno pronto a giudicarmi. Non ero mai riuscito ad affrontare quella paura.

La madre era seduta sul bordo del letto dietro a fangirl, a gambe strette, le mani sulle ginocchia e la schiena dritta e mi osservava severa.

Fangirl invece aveva allungato un braccio sulla scrivania, e con l'altra mano si reggeva la testa.

La scena mi aveva abbattuto per qualche secondo. Una era un rapace pronto a planare e colpire mentre l'altra un bradipo annoiato. Ecco cos'erano.

Avevo tentato di trovare l'ispirazione per iniziare un discorso coinvolgente, ma sentivo gli occhi della donna trapanarmi il cervello come se volesse persino anticipare le mie parole e pensieri.

Un passo falso. Un solo passo falso e si abbatterà su di te come un'ascia su una noce.

Un passo. Passi. Avevo camminato avanti e indietro misurando ogni parola con ogni centimetro percorso, soppesando ogni vocabolo con ogni respiro. Dentro. Fuori. Dentro. Fuori. Niente doveva essere evidente. Ogni parola che usciva dalla mia bocca doveva essere calibrata.

Nel frattempo, era divenuto palese che l'attenzione della ragazzina andava scendendo, come la sua posizione sulla scrivania. Il suo sguardo era del tutto assente. Non la sopportavo. Se fossi stato un video degli 'Y●EL●L' la sua attenzione sarebbe stata al massimo.

EL. Sorriso ferino e sguardo suadente. Un vero leader. Un animale da palcoscenico che non vedeva l'ora di sfidare il pubblico.

Perfetto.

Un'altra detonazione nella testa.

Di furia afferrai altri libri dallo scaffale e li sfogliai pensando a una soluzione per liberarmi di quella donna.

Mi affacciai alla finestra, mio padre e sua madre erano ancora a parlare a bordo piscina. Attesi che lo lasciasse solo e, non appena lei si tolse dai piedi, mi precipitai lungo le scale e gli andai incontro. «Papà!»

Lui mi sorrise mettendomi una delle sue mani sulle spalle, il loro calore attraversò il sottile tessuto del pigiama. «Buonasera, dimmi la tua versione dei fatti» sorrise.

«Senti, devi dire a Sharon di lasciarci stare. Cioè, di lasciarmi stare. Quando sono con la fangirl.»

Le sue sopracciglia si unirono a formare una ruga al centro e sporse le labbra in fuori.

«Juno» spiegai.

Si fece scappare una mezza risata sottovoce. «Oh! Sì, me lo ha detto del suo nuovo soprannome.»

«Io non voglio parlare del soprannome, ma di Sharon. Sembra ossessionata.» Aprii le braccia e lo seguii mentre saliva le scale. «L'ho vista! Ho capito cosa pensa di me!» Protestai a bassa voce. Eravamo arrivati davanti alla porta della camera della ragazza.

Mio padre mi puntò un dito al petto «Ascolta, non è perché sei tu, per lei qualsiasi ragazzo è un pericolo per Juno» sorrise comprensivo. L'occhio mi cadde sulla sua mano grande, la confrontai per un attimo con le mie dita sottili, lunghe e delicate, le mani perfette da pianista, mi avevano sempre detto.

Scossi la testa «Non è possibile.»

«Lo so che tu non le faresti mai niente, ma lei ti vede come un uomo.»

«Che interesse potrei avere in una fangirl?»

«Non è la prima volta che i rapporti tra persone che si conoscono da poco cambiano» replicò.

Sbuffai passandomi una mano tra i capelli e lanciai uno sguardo al soffitto a cassettoni. «Ridicolo! Siete ridicoli» protestai.

Alzò un sopracciglio, scettico «Comunque, l'ho già convinta che Juno non corre pericoli.»

Il mio cuore iniziò a battere forte e il sangue mi defluì dalla testa paralizzandomi. Lo tirai per la camicia. «Cosa le hai detto?»

Lui mi strinse il braccio sorridendo «Niente che tu non voglia.»

Mi diede la buonanotte e andò in camera.

Il mattino dopo l'accompagnai a scuola ma tornai a casa con un chiodo fisso.

A parte la donna delle pulizie, sono solo. Devo darmi da fare per la scaletta della lezione di oggi.

Nei miei ricordi nebulosi, era così che mi ero fatto amico con Chip e Cole al conservatorio. Nate. Aiutavo anche lui, all'università.

L'idea che Nate avrebbe potuto arrivare a casa in qualsiasi momento mi mise a disagio, soprattutto dopo la telefonata del giorno prima. Avrebbe insistito per sapere come andavano le cose. Lui era la persona che mi conosceva più di chiunque altro, forse meglio dei miei genitori.

Che diavolo potrebbe fare, se incontrasse fangirl?

Pensieri intrusivi mi distraevano da un flusso omogeneo, quello che mi serviva per pianificare la lezione.

L'immagine di lei che si muoveva tra gli stand del negozio di H&M si mise a fuoco nella mente. Passeggiava un po' di fretta, a destra per i maglioni, a sinistra per i jeans, lungo i corridoi di linoleum scuro, a rifugiarsi nei camerini riparati dalle tende di velluto rosso.

Non si era accorta di come la tenessi d'occhio. Non era paura di perderla, ero ipnotizzato: sembrava un uccellino intento a costruire il nido.

Non si era resa conto di tenere la lingua tra i denti mentre curiosava tra gli appendiabiti di indumenti colorati, in un'espressione buffa e un po' infantile. Un'infanzia in cui non mi rivedevo, ma avrei voluto vivere, per quanto anche la sua fosse stata difficile.

Aveva scelto maglioni variopinti e larghi, jeans decorati a fiori che le fasciavano le gambe rotonde e le sottolineavano la vita stretta. Le camicie che le arrivavano a metà gamba, che provava aperte sul davanti, risaltavano il seno pieno.

Parlavo con Chip per dirgli che non avrei potuto andare a Jacksonville, ma nel mentre le curve della ragazzina con le braccia piene di colore contrastavano con l'ombra scura e scarna di Taryn.

Un vortice nero e uno variopinto si scontrarono, screziandosi nei miei pensieri.

Un colpo allo stomaco mi distrasse dai ricordi, mi portai la mano alla pancia, con un senso di nausea. Una goccia cadde sul libro aperto, la spazzai via veloce, come la seconda lacrima che la seguì, sul mio viso.

Mi ritrovai a preparare il materiale da portare a Chip e Cole il venerdì e canticchiare la melodia senza parole.

Note autore

Lo so, questo capitolo è corto, una mezza caccola. Però è giusto così, bisogna anche capire il fastidio che prova mister Perfettino a trovarsi davanti a una che dorme mentre lui spiega una delle sue INTERESSANTISSIME lezioni, poi discute e si lamenta con se stesso perché poteva fare di meglio.

Prometto che la storia si evolverà ç_ç per compensare la vostra pazienza, il prossimo capitolo lo metto venerdì e uno domenica.

Mi hanno detto che la mia scrittura manca di descrizioni. Lo so, non faccio gli elenchi di descrizioni che ci si aspetterebbe, ma preferisco dare gli indizi tra un parlato e l'altro o in mezzo a una sensazione che prova il POV di turno.

Per le descrizioni degli ambienti, soprattutto di casa Simmons, devo recuperare quello che avevo fatto con The sims, prima o poi lo farò, prometto.

Ma dove l'ho messo? *perlustra tutta la cartella C*

Sta a vedere che mi tocca tornare a giocare a The Sims 2 🤦‍♀️


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