2 - Prigioniera della Tela
Non so esattamente cosa mi sia successo, ma sento improvvisamente freddo.
Certo, nei musei la temperatura deve rimanere costante, senza subire variazioni o essere influenzata da agenti esterni, ma, forse, prima non mi ero resa conto di quanto fredda sia questa stanza adibita al restauro nel Museo più famoso di Parigi, il sogno di tutti i restauratori come me: il Louvre.
Mi ha distratta tutta la bellezza che contiene.
La prima volta che lo visitai avevo sette anni, mio padre era un critico in vista in tutta Europa e mi aveva trasmesso la sua passione, trasformando tuttavia le sue doti di acuto osservatore in capacità manuali e di analisi radenti la perfezione.
I miei colleghi mi hanno battezza come "La Fata delle Arti", per la mia giovane età, il mio aspetto e le mie grandi capacità.
Effettivamente avendo venticinque anni, essendo alta un metro e cinquanta e vestendomi spesso colorata, la somiglianza con quegli esserini sottili e delicati delle fiabe sembra abbastanza azzeccato. Ma la somiglianza finisce lì, già guardandomi la faccia sono più che evidenti gli spessi occhiali da vista dalla montatura scura che nascondono i miei grandi occhi di onice, le labbra sottili curve in un espressione concentrata e, soprattutto, le lentigini ereditate da mia madre.
Queste efelidi chiare mi ricoprono il 99% del corpo e io non le sopporto. Non ho neppure i capelli rossi e lucenti di mia madre! No, li ho neri come la china che mi rimane attaccata alle dita quando disegno, ricci e indomabili simili alla criniera di un leone.
Ma in questo momento li sento stranamente pesanti, la stessa sensazione che provo quando l'umidità mi si appiccica alla pelle... Tuttavia è impossibile che qui sia così umido, ci sono i termoregolatori che dovrebbero evitare che si crei per conservare al meglio i quadri.
Vorrei controllare meglio, ma non so bene come mi sono caduti gli occhiali mentre preparavo l'occorrente per lavorare. Li cerco a tentoni, con molta attenzione sapendo che di fronte a me c'è il tavolo di lavore.
Lo so perché il mio stereo portatile sta emettendo con nitidezza le note accattivanti degli AC/DC, miei unici compagni di lavoro. Il pavimento è liscio al tatto, il mio problema è che senza occhiali sono una talpa.
Arretro, ormai sono a quattro zampe e mi sento alquanto stupida. Ho un casino di lavoro da fare, e Monsieur Guroux mi ha dato solo tre giorni, affidandosi alla mia fama.
Non posso deluderlo.
Finalmente le mie dita pallide afferrano la montatura tanto agoniata e mi alzo di scatto in un gesto di vittoria un po' brusco.
Ok, decisamente troppo brusco per il mio scarso equilibrio, che mi fa piegare all'indietro verso il cavalletto dove è posato uno dei capolavori che devo riportare al suo antico splendore.
Stringo i denti e strizzo gli occhi, aspettando il rumore dello squarcio nella tela che il mio corpo provocherà, seguito dalla perdita della mia credibilità e della mia carrira, che già si prospettano nella mia mente.
Ma le mie orecchie non captano alcun rumore anche solo lontanamente simile. Invece il mio sedere cozza contro un suolo duro e viscido a me sconosciuto, provocandomi un dolore lacinante al cocige.
Mi mordo le labbra per non imprecare.
Lo sapevo che avrei dovuto posizionare il tavolo da lavoro più lontano da lì, magari preparare una stanza adiacente dove portare mano a mano i quadri. Tutta colpa della mia mancanza di coordinazione.
-Ottimo lavoro Vivian...
Cerco di alzarmi e noto che il pavimento è diverso, come la luce. Il suolo sembra ruvido e umidiccio, mentre non pare esserci più il lampadario sul soffitto intonacato. Levo lo sguardo e noto che effettivamente non c'è, al suo posto nuda roccia scura striata di calcare e muschio di un verde scuro intenso fanno buona mostra di loro. Sbatto le palapebre, incredula, prima di togliermi gli occhiali e pulire le lenti per bene con il bordo della mia maglia rossa.
Non cambia niente.
Mi trovo in una grotta dall'odore di muffa e muschio.
Faccio un passo e i miei stivali finiscono in un piccolo rivolo d'acqua schizzando sulle mie gambe nude.
-Impossibile...- mormoro, frastornata.
-Oh cara, fattelo dire da una che se ne intende... Niente é impossibile.- una voce suadente e antica, simile al suono di un'arpa o di un flauto incantatore si insinua nella mia testa, mentre mi volto, trattenendo un urlo.
Istantaneamente stringo forte le palpebre, temendo che sia troppo tardi, ma sono quasi certa di non aver incrociato il suo sguardo.
Anche se ho già impresso quel viso, visto milioni di volte ma mai così. È uno dei quadri piú affascinanti, dai colori scuri drammatici, dalle forme così realistiche e le pennellate attente...potrei riconoscere la maestria del pittore anche senza sapere con certezza che sia stato lui.
Caravaggio.
-Su bambina, pensavo fossi più intraprendente...- ora posso notare che alla voce si susseguono mille echi sinuosi e sottili come i serpenti di smeraldo che le avvolgono la testa, ondeggiando a ogni movimento -Il tuo trisavolo sarebbe stato molto deluso.
Il mio...cosa?!?
-Io non credo di dovermi presentare, ma tu dovresti farlo, sai? Saresti famosa se avessero tagliato la testa anche a te, ma vedo che sei ancora tutta integra.- c'è una punta di sarcasmo nella sua voce che mi fa correre un brivido lungo la schiena.
-Ma...ma tu sei solo un dipinto...- farfuglio, cercando di stare calma.
-E tu solo una ragazzina, e anche piuttosto ossuta...sai? Oltre che maleducata.
Spalanco la bocca, prima di richiuderla e respirare affondo:-Io sono Vivian... Dio, scommetto che mi sono addormentata! Lo sapevo che dovevo portarmi dietro almeno un litro di caffè!
La sua risata piena di sibili da predatore riempe il buio che mi circonda, facendomi accapponare la pelle. Indietreggio, cozzando contro una parete fredda, mentre improvvisamente tace.
-Riconoscerei quel anello ovunque, l'argento luminoso, il simbolo intrecciato...- so che non si può avvicinare, perché è legata allo scudo, ma percepisco lo stesso il suo respiro sulla mia pelle -Sei una sua discendente! Finalmente!
Vorrei guardarla incredula, ma corrugo solo la fronte:-Discendente?
-Di Caravaggio. Un lontano parente di Perseo non voleva più che nessuno della sua famiglia portasse il peso dello "Scudo maledetto", perciò chiese al famoso pittore italiano di intrappolarmi qui dentro, essendo venuto a conoscenza del suo dono. È stato lui a rinchiudermi qui.
-Qui...dove?
-Ma nel dipinto, ovviamente! Oltre che ossuta e maleducata, sei anche ritardata...
Sento che sto per svenire.
-Ok, ricapitolando...mi trovo dentro a un dipinto, perché sono la discendente di Caravaggio, con una....cioè, LA testa di Medusa che mi prende per il culo?
-E devi portarmi fuori da qui, ovviamente.
-Ovviamente.- mi passo una mano tra i capelli, ormai crespi -Sto sicuramente sognando. Il problema è che sembra tutto così reale.
Le do le spalle e sbatto un paio di volte le palpebre, prima di avere un idea. Tiro fuori il cellulare dalla tasca e apro la fotocamera interna. Un brivido mi corre lungo la schiena, mentra la vedo. I suoi occhi sono irridescenti, e mi studiano ironici, mentre i suoi capelli costituiti da serpenti vivi cercano di allungarsi verso di me e mordermi. La sua bocca carnosa ma sbiadita si apre in un sorriso a mostrare quei denti orribili e aguzzi, che mi fanno tremare da capo a piede.
-Se non mi liberi, questo sarà l'ultima cosa che vedrai, cara...- e spalanca le labbra in una smorfia terrificante, la lingua è biforcuta, gli occhi sottili e irridescenti, i serpenti si spingono in avanti in uno scatto unico, come una massa omogenea.
Fa quasi paura, ma poi la vedo.
La mia unica speranza.
C'è una finestra poco distante dallo scudo, la cui forma e grandezza è identica al dipinto che mi ha intrappolata. Mostra un tavolo di legno chiaro su cui vi sono posizionati pennelli di varia misura, affiancati da barattoli e altri arnesi ancora in disordine. È la mia unica via di fuga.
Memorizzo ogni dettaglio, chiudo il cellulare e gli occhi.
Ho un solo scatto da fare.
Un tuffo degno del miglior tuffatore agonistico delle Olimpiadi.
Devo farcela. Mi butto, percepisco delle sqame viscide su una gamba, la sento urlare.
-Mademoiselle Trask...
Una mano gentile mi scrolla lievemente una spalla, con gli occhi ancora pieni di sonno riesco a mettere a fuoco il viso elegante e curato di Jean Guroux, nel suo completo azzurro pallido fatto su misura.
-Bonjours!- ha una voce vellutata mentre si incanta a guardare il quadro alle mie spalle -Lei è davvero una Fata, signorina! I colori, le sfumature...soprattutto gli occhi! Sembrano quasi vivi!
Osservo il dipinto e mi corre un brivido, il volto di Medusa mi fissa con cattiveria.
È stato solo un sogno?
Mi tocco una gamba graffiata leggermente, perplessa e sussulto, ma sorrido a Monsieur Guroux intento a elogiarmi.
Anche se dentro di me so che i sogni non lasciano segni...
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