IV; II - Mum?
«Hai segnato tutto?»
Cierra aveva appena finito di digitare i numeri sulla tastiera del nuovo cellulare; aveva segnato il contatto di suo fratello, quello di Rachel e persino quello di Jason, sebbene quest'ultimo non avesse mai aperto bocca sulla faccenda e fosse stata Rachel a dettare tutte le cifre.
Le era stato spiegato che a chiunque arrivasse a Domain dall'altro universo veniva cambiato subito il telefono, per due semplici motivi: essendo inscenata la morte per ogni studente giungesse all'Accademia, non ci poteva permettere alcun dubbio da parte dei suoi congiunti; bisognava quindi eliminare non solo la possibilità di tornare mai a casa, ma anche quella di comunicarvi. Inoltre i due universi, divisi da un varco spazio temporale, non condividevano la stessa linea. Sarebbe stato in ogni caso impossibile relazionarvici, e quindi c'era bisogno di un nuovo cellulare che funzionasse tramite una nuova linea, quella sparsa per tutta Domain.
«Sì, ho tutto» annuì Cierra, smanettando con l'apparecchio, curiosa.
«E anche di più, a quanto pare» aggiunse poi, dopo poco, stupita: aveva trovato tutto il materiale che era nel cellulare vecchio - foto, video, note. Solo i contatti mancavano.
Le sopracciglia scure, da che erano corrugate, guizzarono in alto per lo stupore: l'intervento della direzione era stato spaventosamente tempestivo, e comunque Cierra non si aspettava di riavere tutto il materiale che le apparteneva.
Frugò subito tra le cartelle della galleria, con l'aria di una che non guarda le proprie foto da una vita intera; notò che le miriadi con Hunter erano tutte al loro posto, così come quelle scattate ai balletti e alle lezioni di danza. Istintivamente sorrise; poi, però, si rese conto che erano l'unico appiglio che le sarebbe rimasto di ciò che, fino alla sera prima, era la quotidianità, e la sensazione che la colmò fu simile a quella che assale quando ci si sveglia da un sogno e ci si capacita che esso non è la realtà e che, come tale, è svanito nel nulla.
In sottofondo, le voci di Rachel e Noah si miscelavano indistinte e, ogni tanto, c'era qualche sprizzo di gelo da parte di Jason; parlavano di chissà cosa, ma Cierra non se n'era curata particolarmente, troppo impegnata a guardare e riguardare vecchie foto, seppur conscia del dolore che le provocavano.
Quando la foto del suo compleanno le si parò dinanzi, la sedicenne ricordò della collanina che aveva nascosto in tasca quand'era tornata a casa la sera precedente, dopo averla mostrata ai genitori.
Si affrettò immediatamente a tastare i jeans e sperò con tutta se stessa che il ciondolo fosse lì. Sarebbe stata l'unica memoria concreta che le restava di Hunter.
Infilò la mano nella tasca e percepì subito un piccolo oggetto ruvido, ma tiepido al tatto, e intuì essere la catenina che si era attorcigliata.
La tirò fuori e la tenne penzoloni tra le dita; il cuore argenteo la riflettè, con i capelli spettinati e ancora indosso gli abiti del giorno prima. Un senso di smarrimento l'attanagliò: si sentiva come persa, allo sbaraglio tra centinaia di nuovi volti.
Quando si spostò verso la finestra per prendere una boccata d'aria e guardò fuori, si rese conto che, tra le decine di studenti che rientravano nel castello, nessuno era simile a lei. Nessuno era spiazzato, nessuno aveva paura, nessuno era angosciato o furioso nei confronti di un'esistenza di cui non era più padrone.
Nessun viso amico le sorrideva, nessun iride la mirava, nessuna flessione di verbo era verso di lei.
Visti dall'alto, gli allievi dell'Accademia sembravano tutti intimi, divisi in gruppetti ma coalizzati contro la rigidità dell'istituto. Cierra ebbe il timore di non riuscire a inserirsi; anche alle superiori, a Los Angeles, aveva avuto difficoltà a integrarsi e a Domain, sebbene la presenza di Noah, non era sicura di essere in grado di sentirsi parte di una famiglia.
Desiderò così ardentemente di avere Hunter al suo fianco che si sentì quasi andare a fuoco, ma dovette restare ferma a osservare il cortile svuotarsi e lasciarla da sola.
L'ora di cena si avvicinava e Cierra notò di star morendo di fame; certo, aveva da poco mangiato qualcosa con i ragazzi. Inoltre Noah le aveva spiegato che, per una questione spazio-temporale, il periodo che trascorreva dopo l'attraversamento del portale era di circa mezza giornata, ma catalizzato in una manciata di secondi. Quindi, in effetti, il suo fisico non aveva percepito tutte quelle ore.
«Perché dobbiamo essere così nascosti?» Si ritrovò a chiedere d'un tratto, mentre si voltava verso gli altri tre ragazzi. Rachel e Noah erano rimasti seduti sul letto a conversare con foga mentre Jason, che si limitava a intervenire solo ogni tanto, metteva in ordine diversi libri, sparsi tra un paio di mensole e la scrivania.
«Intendo: perché non costruire palestre e scuole nell'altro universo e integrare questa nuova vita all'altra, lasciando a ogni Dominatore i suoi affetti e le sue abitudini?»
Rachel sospirò dispiaciuta; sebbene fossero passati già tre anni da quando aveva lasciato il Texas, le mancanze erano ancora un foro aperto. Anche lei però, come Noah, aveva avuto la fortuna di riavere suo fratello minore con sè; inoltre, la stretta amicizia - dapprima con Jason e dunque con Noah - le aveva enormemente colmato l'alloggio in Accademia. Tuttavia, la sua vita a casa non mirava a particolari obiettivi e, anzi, ora appariva molto più piena e direzionata.
Rachel fece segno a Cierra di sedersi accanto a lei, sul letto; l'aveva vista in piedi da un po' e, dal momento che Noah si era alzato e visto il suo naturale fare apprensivo, l'aveva invitata a riposarsi.
«All'inizio era così» cominciò a spiegare la corvina, mentre incrociava le gambe sul materasso, come una bambina.
«Quando i primi Dominatori divennero abili nel cambiare dimensione a loro piacimento, presero a dividersi tra i due universi.»
«Il numero di abitanti della Terra prima dell'Impero Romano era di pochi milioni di persone, e non è stato indotto da condizioni naturali» intervenne Noah, specificando prontamente.
«È stato perché molti Dominatori si sono trasferiti a Domain.»
«Certo, ma avevano comunque la scelta di restare nel loro universo, quello mondano» ribatté l'altra.
«Il Nihil» commentò all'improvviso Jason, che ora era seduto alla scrivania e sottolineava un libro scolastico che Cierra intravide essere di chimica. Ella notò anche che i capelli di platino erano stati legati meglio, una seconda volta, col nastro scuro.
«E poi?» Incitò Cierra, accigliata.
«Cosa gli ha fatto riconsiderare l'idea?»
«La guerra» rispose Rachel.
«E le persecuzioni» aggiunse Noah.
Cierra sorrise: sembrava che quei due si finissero le frasi a vicenda; erano molto affiatati e, gelosia di sorella a parte, era felice della cosa. Vedere Noah socializzare così tanto era una novità per lei, ma le faceva piacere.
«Cosa intendete?»
«I non Dominatori iniziarono ad accanirsi contro di noi» riprese Rachel.
«Non si è mai capito se per soldi, politica, paura o solo invidia» proseguì, «ma in ogni caso ricorsero alle armi contro i Dominatori.»
«Le più grandi persecuzioni della storia erano verso i nostri simili, ma i libri ne hanno dato una versione un tantino diversa» puntualizzò Noah, con un sarcasmo tale che Rachel temette di potercisi tagliare.
«Inquisizione e caccia alle streghe è tutta opera loro» si aggregò Jason, e l'atmosfera che si stava creando nella stanza, di odio e rancore nei confronti dell'universo mondano, era di una tossicità così palpabile che Cierra ebbe il timore di restarne avvelenata.
Non era una persona incline al disprezzo, lei: aveva un carattere che preferiva l'armonia nella maggior parte delle situazioni. Di certo non era una persona calma o che fosse ben capace di controllarsi, ma se esplodeva era per un motivo ben preciso. Di conseguenza, tutto quell'astio la metteva a disagio, ma Cierra pensò anche che era giustificato. D'altronde, se l'umanità fosse stata in grado di vivere senza disparità, ora lei sarebbe stata a casa.
«Quindi hanno fatto finta di sparire» intuì la ragazza, riferendosi ai Dominatori.
Rachel annuì, sospirando con rammarico.
«E hanno tagliato tutti i ponti con l'altro universo.»
«Ma mamma e papà» sobbalzò Cierra, voltandosi di scatto verso suo fratello.
«Mamma e papà hanno cercato di impedire che mi portassero via come se ne fossero già stati a conoscenza» notò, e corrugò la fronte nel tentativo di trovare una spiegazione.
Erano palesemente già avvisati di ciò che sarebbe successo ma, se i non Dominatori non sapevano più dell'esistenza di Domain e dei suoi abitanti, come potevano i suoi genitori essere a Nihil e, al contempo, avere paura?
Gli unici collegamenti erano che fossero Dominatori anche loro, ma a Cierra pareva estremamente strano, oppure che conoscessero tante altre informazioni rispetto ai loro concittadini mondani. Eppure, in entrambi i casi, c'era qualche tassello mancante.
«Mamma e papà sapevano già tutto» confermò infatti Noah, incrociando le braccia al petto.
«Ma come-»
«Vedi,» prese a illustrare il corvino, «c'è stata una guerra tanti anni fa. Tra gli stessi Dominatori, intendo.»
Poi lanciò uno sguardo a Rachel, come se avesse chiamato la sua spalla in aiuto; ma Noah non era in difficoltà, come pensò Cierra, piuttosto aveva solo bisogno di chi spiegasse la questione meglio di come avrebbe fatto lui. E Rachel era sempre il suo asso nella manica.
La giovane accettò con un cenno del capo, così ricco di capelli ricci che quasi il viso non si scorgeva.
«C'è stata una guerra qui a Domain, tra due fazioni opposte del dominio» cominciò.
«I vostri genitori erano tra le prime fila e, quando si fu raggiunta la vittoria, capirono che non si era altresì raggiunta la pace. Quindi, essendo anche vostra madre in attesa del primogenito, chiesero di potersi liberare dei poteri e tornare a vivere una vita normale e tranquilla, a Nihil.»
Cierra strinse gli occhi a due fessure, accigliandosi. Magari i suoi avevano avuto dei giusti motivi, magari erano stati furbi, ma perché non dirglielo? Perché tenerla allo scuro di tutto, perché farla crescere nell'ignoranza, perché non renderla partecipe? Il suo cuore non se ne capacitava.
«Avrebbero...» mormorò, e quando notò che Noah stava aprendo bocca per dire qualcosa, lo interruppe inquieta.
«Avrebbero dovuto avvisarmi. Hai idea di quanto dolore ci avrebbero risparmiato?»
Sbuffò sonoramente, alzandosi dal letto e avvicinandosi al fratello.
«Io avrei saputo di te dalla loro bocca, almeno» riprese, agitando le braccia con fastidio.
«Avrei vissuto diversamente. Mi sarei allenata, o avrei studiato... Sarei stata pronta, comunque.»
No, il punto non era quello. La voce della mora tremò, perché ella sapeva bene che il problema non era prepararsi al dominio. Avrebbe utilizzato gli anni precedenti in modo assai differente, con meno cura: avrebbe sviluppato amicizie facili da lasciare andare e rapporti di cui non preoccuparsi; non avrebbe ballato, non avrebbe sanguinato per mettere le basi solide a un futuro di sabbia. Avrebbe evitato di affezionarsi ad Hunter o di stare male per Davis. Avrebbe passato le sue giornate a uscire e a godere dei piaceri insulsi dell'adolescenza invece che a rovinarsi il corpo in ore di teatro.
Sarebbe esistita sulle ginocchia, piuttosto che vivere in punta di piedi.
Noah inclinò il capo di lato; vide la sorella voltarsi verso destra e contrarre la mascella dalle linee morbide, e comprese che c'era del rammarico dietro il suo discorso.
«Non potevano» disse, semplicemente, e abbozzò un sorriso leggero.
«Come non potevo neppure io.»
«Domain ha delle regole particolari» aggiunse Rachel, alzandosi e raggiungendo gli altri due; si sorprese estremamente del tono carezzevole che Noah aveva riservato alla sorella, non essendovi chissà quanto abituata, ma lo imitò con piacere, mentre poggiava entrambe le mani sulle spalle di Cierra, da dietro. La superava di una decina di centimetri in altezza, e ciò contribuì all'ideale di "più piccola" che Rachel si era fatta della minore.
«Le pene per la rivelazione dell'esistenza dei Dominatori sono gravissime» proseguì la texana, abbozzando un sorriso rassicurante che rivolse a Cierra. La comprendeva: all'inizio l'accettazione era complicata per tutti.
«E i vostri genitori sono controllati ogni momento, meglio non rischiare. In ogni caso non si ha mai la sicurezza che un Dominatore sia tale fino a quando i poteri non si manifestano» spiegò.
Noah fece un mezzo passo indietro e Rachel affiancò la più giovane, tenendole ancora le mani salde sulle spalle, come a sostenerla.
«Non biasimarli: hanno preferito vivervi per sedici anni, attanagliati solo dal dubbio di lasciarvi andare in un certo momento, piuttosto che restare a Domain e non avere la certezza di potervi mai incontrare di nuovo.»
Jason, alla scrivania, storse il naso: tutta quella dolcezza, tutto quell'amore familiare gli erano così estranei che quasi lo infastidivano. Stentava a credere, lui che non aveva mai percepito un tale legame sulla sua pelle gelida, che un genitore potesse provare tanta cura nei confronti di un figlio, a tal punto da sacrificare la propria stabilità per un quantitativo limitato di tempo da trascorrere insieme. Suo padre - Nicholas Frost, pensò, non l'avrebbe mai fatto. La supposizione non l'avrebbe nemmeno sfiorato.
Cierra, al contrario, si prese la testa fra le mani: cominciava a sentirsi in colpa per le proprie reazioni istintive. Prima con Noah, ora verso i suoi genitori: era così scossa da dubitare subito anche della propria famiglia, senza lasciare loro il tempo di spiegare o giustificarsi. Riflettè su quanto sarebbero rimasti feriti sua madre e suo padre se l'avessero vista destabilizzarsi così in fretta, o a quanto poteva aver amareggiato lo stesso Noah, in mattinata. Era confusa, persa, e anche sprovveduta dinanzi a cambiamenti tanto radicali, ma ciò non le parve una discolpa sufficiente.
D'altro canto, però, pensò anche a quanto i suoi genitori avessero voluto loro bene; si erano presi cura dei due figli convivendo con l'incertezza lacerante di poterli perdere, un giorno, eppure questo non aveva influenzato il loro modo di prodigarsi, nemmeno in minima parte. Avevano lasciato tutto per avere poco e perdere tutto ancora una volta, e Cierra li amò enormemente per questo.
La ragazza alzò lo sguardo e incrociò quello verde smeraldo del fratello, che ancora la mirava con una dedizione particolare. Noah era da interpretare: dimostrava il mondo nei gesti più esigui e rigirava la semplicità nascondendola nei significati più infimi; imparare a conoscerlo equivaleva anche a scovare la leggerezza dietro le azioni complicate. Tuttavia, una volta incrociata la premura nel labirinto, essa lasciava un retrogusto così unico da togliere il fiato.
Cierra notò allora che Noah era tutto ciò che le restava dei loro genitori e, improvvisamente, si rese conto che da anni tentava di rattoppare la mancanza delle persone con la presenza di altre cose, quando sarebbe bastato semplicemente trovare le persone nelle altre persone.
I suoi erano stati per anni ciò che le restava di Noah, e ora era il contrario; la catenina argentata che aveva allacciato al collo poteva essere tutto ciò che le rimaneva di Hunter, ma Cierra intuì che, se avesse provato a trovare il ragazzo nel riguardo che Rachel le aveva dedicato da quando l'aveva conosciuta - o in qualsiasi altra forma di affetto che potesse ricordarle il suo migliore amico - magari il dolore sarebbe stato più lieve.
«Dobbiamo scendere in Sala» esordì d'un tratto la voce glaciale di Jason, disfacendo l'atmosfera tranquilla che si era creata tra gli altri tre ed espandendo verso di loro un'improvvisa folata gelida quando si girò.
Il ragazzo si fermò a guardare i compagni mantenendo la sua aria discostata e poco convinta; aggiustò il nastro scuro che legava i capelli bianchi, stringendo maggiormente il nodo.
Rachel e Noah convennero e presero a battibeccare su quale potesse essere la cena servita in sala grande quella sera, sui cibi dei giorni precedenti e sulla capricciosa fame del corvino. Jason fu il primo a uscire dalla camera, ma rimase in attesa degli altri per avviarsi verso la sala grande che ospitava tutta l'Accademia a ogni pranzo e cena.
Quando si chiuse la porta alle spalle, egli incrociò per un breve istante lo sguardo di Cierra che, avanti a lui, l'aveva a sua volta aspettato, mentre Rachel e Noah avevano già cominciato a percorrere il corridoio. E la sedicenne, nelle iridi azzurrissime del più grande, che ora seguivano i movimenti dei due amici, notò finalmente una punta di particolare cura nei loro confronti, che le concesse il dubbio di pensare che il suo comportamento andasse ben oltre la semplice cortesia.
━━━ • 🔥 • ━━━
Se Cierra aveva pensato, fino a quel momento, che il teatro del balletto di Los Angeles fosse un posto enorme, quel giorno dovette ricredersi.
La sala grande dell'Accademia, ovvero quella che ospitava tutti gli studenti e il personale della scuola per i vari pasti era, a detta di Rachel, l'ambiente più ampio di tutto il castello. Si estendeva per dozzine di metri di lunghezza e pochi meno di larghezza, mentre il soffitto era così alto che quasi non si vedeva, addobbato di affreschi e grandi lampadari di cristallo.
La stanza, dove non era tappezzata di immagini dipinte, si colorava dei toni del marrone e del bordeaux, che le donavano un aspetto di maestà e sfarzo. Alcune finestre, inoltre, si aprivano sulle pareti laterali, lasciando entrare il bagliore del tramonto che cominciava a lasciare spazio alla sera.
Dodici lunghi tavoli erano disposti in linea verticale, l'uno di fianco al successivo; seduti vi erano centinaia di ragazzi, così tanti che Cierra si stupì di quanti quel castello ne fosse in grado di ospitare. Al di là dei dodici tavoli ve ne erano altri nove o dieci, all'incirca, disposti in orizzontale; Cierra non riuscì a contarli bene perché lontani e dispersi tra la folla. Ella riuscì solo a vedere che, sedute, vi erano esclusivamente persone adulte, che dimostravano minimo trent'anni.
Intuì dunque che professori e alunni cenavano e pranzavano insieme, sebbene fossero a tavoli diversi.
La differenza tra i due gruppi era notabile, oltre che dall'età, anche dell'abbigliamento: gli studenti erano obbligati a presentarsi in divisa ai pasti in sala grande e, difatti, lei e Noah erano dovuti passare in camera a cambiarsi, al contrario di Rachel e Jason che erano già vestiti di tutto punto. Il resto del personale, invece, poteva indossare ciò che preferiva.
Quando arrivarono in sala, i quattro ragazzi dovettero separarsi per andare ognuno al proprio posto, a quattro tavoli diversi. Rachel spiegò a Cierra anche che i dodici tavoli principali erano disposti in un ordine preciso: partivano dal segno dell'Ariete - il primo dello zodiaco - per arrivare a quello del Pesci - l'ultimo; ogni studente aveva una seduta riservata per il proprio segno di nascita, e molti amici erano dunque costretti ad allontanarsi durante i pranzi e le cene quotidiani.
Il tavolo di Cierra, quello del Cancro, era il quarto; Rachel si trovava due tavoli più avanti, alla Vergine; ancora più lontano c'era Noah, al Sagittario e, infine, Jason era all'ultimo, seduto al tavolo del Pesci.
I ragazzi dello stesso segno si conoscevano quasi tutti, essendo accomunati dalla capacità di dominare il medesimo elemento principale. Noah, Rachel e Jason non ebbero quindi difficoltà a intraprendere una conversazione con i compagni. Cierra, però, non ebbe la stessa fortuna.
Ella si ritrovò infatti senza conoscenze e, naturalmente, provò un enorme disagio quando si fu seduta; non riusciva a integrarsi in alcun discorso e si limitava a guardarsi attorno spaesata, nel disperato tentativo di trovare volti amici che potessero correre in suo soccorso.
L'unico viso familiare che notò, suo malgrado, fu quello della giovane che le era di fronte; Cierra l'aveva già vista quella mattina: capeggiava il gruppetto di ragazzi che erano passati affianco a James e che l'avevano squadrata in tutti i modi critici del mondo.
Ciò che balzava subito allo sguardo erano i capelli della fanciulla: lunghi e ondulati, si coloravano di una tonalità fiammeggiante di rosso, appena aranciato; la chioma le incorniciava il volto dai lineamenti duri che, accompagnati dalle espressioni di sufficienza e superiorità che la ragazza sembrava riservare a chiunque, non le donavano certo morbidezza.
Gli occhi olivastri, appesantiti dal trucco scuro, si posavano su tante persone, meticolosi nel ricercare probabilmente qualcosa di negativo.
Cierra si maledisse mentalmente: avrebbe dovuto scegliere un posto migliore.
La sedicenne, assieme al resto del gruppo, era stata una degli ultimi ad entrare in sala; in pochi altri minuti essa si riempì del tutto - restava solo qualche sedia vuota, ma era contabile sulle dita di una mano per ogni tavolo.
Prima che i piatti fossero serviti, levitando tramite telecinesi per arrivare a studenti e professori, il preside tenne un breve discorso informativo per dare il benvenuto formale e gelido ai nuovi alunni e, soprattutto, per avvisarli di dove e quando farsi trovare alla prima lezione con i propri Medium. Cierra era capitata un paio di giorni più tardi, in biblioteca e alle dieci del mattino.
Dopodiché, la cena proseguì senza intoppi; Cierra tentò di fare amicizia, ma non ebbe molta fortuna, pertanto si limitò ad ascoltare i vari discorsi per non annoiarsi e a cercare volti conosciuti tra i centinaia anonimi.
Pensava che sarebbe rimasta da sola fino a al giorno in cui non avrebbe magicamente stretto legami nuovi; tuttavia, d'un tratto, nel caos di voci che colmava la stanza, molti giovani smisero di parlare tra loro e, piuttosto, si girarono verso la porta dell'ingresso, per poi ricominciare a mormorare e commentare.
Cierra allungò il collo nel tentativo di capire cosa stesse attirando tanta attenzione; d'altronde, in tutto quel rumore non riusciva a distinguere le voci da una tale lontananza e, senza sporsi, non era capace di vedere oltre il proprio tavolo.
Si sforzò quindi di mirare qualcosa, spingendosi col busto in avanti e addirittura alzandolo di poco dalla sedia; tutto ciò che riuscì a scorgere furono una donna e un ragazzo intenti a discutere. La donna era vestita in maniera elegante e formale, con una sorta di divisa scolastica per professori o dirigenti, formata da un tailleur blu scuro e bianco, ed era fine persino nei modi, mentre sgridava aspramente il giovane. Egli, al contrario, era la maggiore rappresentazione di volgare che Cierra avesse mai avuto innanzi: la tenuta indossata era stata trattata male, con la camicia sbottonata fuori dai pantaloni e la cravatta totalmente assente; inoltre i gesti erano irrequieti e quasi strafottenti, ma Cierra riuscì a vedere poco altro, data la sua posizione rispetto alla scena. Intuì comunque che essa dovesse essere nata a causa della maniera in cui il ragazzo si era presentato in Sala Grande.
L'Accademia non perdonava l'imperfezione ed era intransigente se non notava impeccabilità.
Tutto ciò che stava accadendo si perse nei mormorii degli studenti, che si scambiavano occhiate o commenti sul ragazzo.
"Fa sempre questo!" Aveva detto qualcuno.
"Sì, e chissà con chi è stato prima di arrivare in sala!" Aveva ribattuto qualcun altro.
"Ma non si frequentava con Kate Holt?" Aveva domandato ancora un altro.
Cierra continuava a non comprendere di chi si trattasse, perché - oltre a non conoscerlo, probabilmente - non aveva avuto ancora la fortuna di vedere da sé chi fosse il giovane.
Si limitò dunque a lasciar perdere la questione, sebbene fosse l'avvenimento più intrigante che c'era stato in serata fino a quel momento; più che curiosa, Cierra era attirata dall'idea di potersi distrarre con un po' di dramma, piuttosto che continuare a mangiare in silenzio e da sola.
Inconsciamente alzò lo sguardo verso chi aveva di fronte; la ragazza dai capelli rossi sembrava estremamente irritata da ciò che le stava succedendo attorno: aveva la mascella serrata e si mordeva le labbra, tenendo però la fronte aggrottata e sospirando rumorosamente ogni tanto, quando roteava gli occhi. Di solito avveniva come risposta ai commenti che udiva.
Tuttavia non si era mai voltata a guardare la scena all'uscio, come se avesse ben conosciuto l'identità del giovane ribelle.
Quando si rese conto di avere il suo sguardo addosso, la rossa lanciò un'occhiataccia a Cierra, e ringhiò come un cane rabbioso. La mora sobbalzò e, maledicendosi mentalmente, distolse immediatamente l'attenzione da lei, girandosi di lato.
Sembrava così proseguita la sua serata noiosa, in cui ella si guardava attorno alla ricerca di visi conosciuti o altri anonimi con cui fare amicizia, ma invano.
Fino a quando Cierra non scorse, con la coda dell'occhio, qualcuno avvicinarsi al tavolo e, più precisamente, alla Dominatrice di fronte a lei. Dunque si voltò e, nel notare il ragazzo mal composto che si piegava a dare un bacio alla rossa, non riusciva a credere a ciò che aveva innanzi.
La prima cosa che vide fu la faccia disgustata della rossa, che arricciava il naso lentigginoso in maniera permalosa; non era infastidita dal gesto in sé, era evidente, ma c'era sotto dell'altro, che forse riguardava qualche accaduto tra i due. Ciò che però lasciò Cierra più sconvolta fu scoprire chi fosse lui.
Cierra non sarebbe dovuta essere così sorpresa, dal momento che aveva visto suo fratello resuscitare dai morti, in un certo senso, e che si era preparata a vedere altri conoscenti farlo. Non si sentiva triste, ma l'attontimento non le concedeva neppure di essere subito al settimo cielo. Tuttavia, ella non si era neanche sentita montare dentro la tale rabbia che aveva percepito quella mattina, ritrovando Noah.
Forse le emozioni che provava in quegli istanti erano così tante che si annullavano a vicenda, lasciandola lì, seduta, a fissare il ragazzo con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa.
Tutto ciò che fu in grado di fare fu pronunciare il suo nome, quasi come a chiedergli se fosse davvero lui.
«Davis...» mormorò, continuando a tenere lo sguardo fermo su di lui, come se all'improvviso fosse diventata l'unica cosa importante. La sala grande attorno a loro infatti sembrava essersi ammutolita nella sua mente, quando in realtà essa pullulava ancora di voci.
Davis si girò a guardarla solo allora, e il ghigno che aveva sulle labbra sparì in un istante.
I corti capelli neri erano più arruffati di quanto Cierra avrebbe mai potuto immaginare; Davis era sempre stata una testa calda e c'era da aspettarsi che si divertisse così tanto come i commenti su di lui affermavano, ma Cierra se lo ricordava con un po' di contegno in più.
Ma Davis era cresciuto a dismisura, e il rigore dell'Accademia lo avevano spinto a una ribellione ancora più forte di quella che, naturalmente, lo distingueva. Cierra ne era convinta.
L'attimo in cui i due amici si erano ritrovati era apparso come rallentato, e dilatato nel tempo e nello spazio; ciononostante esso durò in effetti pochissimo perché i due non ebbero neppure il tempo di salutarsi che Davis fu trascinato via dalla donna bionda con cui stava litigando prima, e cacciato dalla sala grande.
Cierra rimase interdetta e continuò a fissare il punto in cui aveva incrociato lo sguardo d'acciaio di Davis anche dopo ch'egli fu portato via, con una facilità estrema per quanto fosse divenuto grande e grosso.
Con ancora l'intensità e lo stupore degli occhi plumbei di Davis stampata nella mente, la giovane si rizzò in piedi, poco curante delle occhiatacce che la rossa di fronte a lei aveva ripreso a dedicarle, ora molto più acutamente di prima.
Di scatto si voltò a cercare con lo sguardo suo fratello tra gli ultimi tavoli. Perché Noah non le aveva detto nulla? Era un'informazione rilevante, visto il rapporto che legava sua sorella e il suo migliore amico. Noah lo sapeva. Perché non le aveva fatto presente niente, allora?
Cierra allungò il collo, confusa e anche un po' arrabbiata, per scovare Noah in centinaia di persone sbagliate; trovarlo adesso che era in piedi era più facile, ma non ancora del tutto possibile. Da così in alto si guardò intorno, riuscendo a mirare attentamente ciascuno dei volti più vicini a lei. Di Noah, in ogni caso, non ci fu ombra.
In particolare, però, scorse il viso di James appena di fronte a lei, visto che la sedia alle sue spalle era vuota. Egli, seduto al tavolo successivo - quello del Leone - la stava già osservando curioso, ben poggiato contro lo schienale della sua seduta, le braccia rilassate sul tavolo e un angolo della bocca alzato in un sorriso che conosceva il fatto suo.
La stava studiando, come aveva fatto quasi chiunque da quella mattina.
"Fanculo" mormorò a bassa voce Cierra che, dopo aver incrociato lo sguardo con quello avellana del biondo per qualche secondo, lo distolse con uno sbuffo.
«Cierra. Sharp.»
Una voce profonda e scura pronunciò il suo nome, e parve a metà tra analizzarlo e condannarla a morte.
La mora tornò a girarsi, con le sopracciglia aggrottate, confusa: nessuno che conoscesse aveva quel timbro di voce.
Non ebbe il tempo di aprire bocca che, la rossa di fronte a lei, la squadrò dal basso verso l'alto.
«Siediti.» Le consigliò, sebbene sembrasse più un ordine per il tono imperativo usato. Cierra si guardò attorno, notando che la sala grande era calata nel silenzio e che lei era l'unica in piedi.
«Andiamo, siediti. Prima che caccino anche te.»
La sedicenne corrugò la fronte: come faceva a conoscere il suo nome? Non pensava di essere già così famosa. Poi incrociò lo sguardo dell'altra ragazza e si stupì di trovarlo scontroso non solo nei suoi confronti, ma anche verso James dietro di lei.
Tuttavia Cierra se ne curò poco, sospirò e asciugò i palmi sudati sulla divisa rosso fuoco. Quando si sedette, in preda all'imbarazzo per essersi fatta notare così tanto e anche un po' preoccupata per il suo comportamento, portò entrambe le mani a sistemare quasi maniacalmente i capelli mossi dietro le orecchie e le spalle, la stoffa della gonna sulle gambe e poi si strinse nelle braccia, come a voler scomparire dalla Sala che, adesso, era completamente concentrata su di lei. Ogni tanto, però, si voltava col capo a guardarsi furtivamente attorno, anche dopo che la cena proseguì e l'attenzione fu distolta.
Per il tempo seguente Cierra rimase in tombale silenzio e con gli occhi fissi sul piatto non del tutto vuoto. Lo stomaco le si era ristretto da quando Davis era balenato di fronte a lei.
Se fosse stata solo quella la questione, pensava la mora, ella sarebbe dovuta essere felice di aver ritrovato un'altra tra le persone più importanti per lei, la cui scomparsa l'aveva uccisa un po' di più col passare dei mesi.
Ma il punto cruciale era Noah e il perché egli non le avesse detto niente sulla presenza di Davis a Domain. Cierra non credeva fosse stata una dimenticanza, vista la stretta amicizia che univa i due ragazzi, prima di unire uno dei due con lei. Noah aveva avuto l'occasione di dirglielo e non l'aveva fatto. E, se era avvenuto di proposito come sospettato, era perché il rapporto tra Noah e Davis si era rotto.
A Cierra dispiaceva, ma la preoccupava anche.
Tuttavia anelò con impazienza la fine della cena, che si concluse contemporaneamente per ognuno dei presenti, per poter chiedere spiegazioni al diretto interessato.
Non riuscendo a incontrarlo all'interno della sala grande, Cierra aspettò suo fratello all'uscita; si vide passare avanti centinaia di ragazzi, in attesa a braccia conserte e poggiata contro un muro bianco del castello.
Nel frattempo rimuginava su quanto Davis fosse cambiato: si era molto irrobustito, con le spalle larghe e la corporatura più grossa, e si era fatto crescere la barba. Era meno innocente di quanto fosse a Los Angeles; il comportamento che aveva avuto in sala grande era da Davis, ma non così tanto. E poi, chi era quella ragazza dai capelli rossi e perché conosceva il suo nome?
Cierra si era persa così tanti passaggi in quei tre anni di assenza che quasi si sentiva esclusa dalla vita non solo di Davis, ma anche di Noah. Era preoccupata di essere tagliata fuori, com'era stata costretta fino a quel momento.
Come aveva previsto, Noah varcò la soglia dell'entrata in compagnia di Jason e Rachel, e quasi sembrava essersi dimenticato dell'esistenza di sua sorella. La giovane scacciò quello su cui ragionava e lo chiamò dunque quando lo ebbe abbastanza vicino da farsi sentire, poi si accostò a lui con la fronte corrugata.
«Perché non mi hai detto di Davis?» Fu la domanda diretta.
Nell'udire il nome del ragazzo, Noah roteò le iridi verde smeraldo; sbuffando, si voltò dapprima verso Rachel, che aveva fatto un passo indietro e lo guardava smarrita, con gli occhi spalancati, poi verso Jason che, gelido, era rimasto neutrale e non aveva battuto ciglio. Sembrava che Noah stesse chiedendo loro aiuto.
«Possiamo parlarne domani?» Tentò di liquidare il corvino, lanciando poi uno sguardo all'orologio da polso.
«È tardi e ho sonno.»
Dopodiché, prese a camminare, a seguito di Rachel e Jason che si erano già avviati avanti.
«Aspetta!» Lo fermò Cierra, tirandolo per la manica della camicia immacolata e costringendolo a voltarsi verso di lei. Ella lo fissava con le sopracciglia aggrottate, confusa da una tale reazione; Noah invece evitava di guardarla, e cercava di svincolarsi dalle sue domande, che Cierra comprese essere scomode.
Davis era sempre stato un buon amico per Noah; l'aveva scosso nei momenti di stallo e l'aveva trascinato via dalla monotonia in ogni occasione. Il carattere difficile di entrambi poteva creare problemi, ma a tal punto da non voler sentire nominare Davis?
Cos'era successo in tre anni? Domain aveva davvero allontanato così tanto i due ragazzi? E cosa ne sarebbe stato ora del suo rapporto con Davis? Domain avrebbe allontanato anche loro?
Le basi poco solide su cui era cresciuta la sua amicizia con Davis la preoccupavano; e se essa fosse dipesa solo dalla presenza di Noah, Cierra avrebbe perso una delle persone a lei più care? La possibiltà la spaventava.
«Noah...» Sospirò la sedicenne, lasciando andare afflitta la camicia che aveva continuato a stringere tra le dita sottili.
«Io vorrei solo-»
«Tu vorresti sapere» la precedette Noah, finendo la frase prima di sua sorella che, in risposta, tentò di riaprire bocca.
«Ma non è una questione che ti riguarda» la frenò allora Noah, facendole serrare le labbra prima che ella potesse dire qualsiasi cosa.
Cierra sospirò nuovamente, si portò una mano ad accarezzare il braccio opposto e distolse lo sguardo per non sostenere più quello del corvino. Era così sbagliato voler sapere cos'era successo tra suo fratello e il rispettivo migliore amico?
Gli Sharp rimasero in silenzio, l'uno distogliendo lo sguardo quando quello dell'altra lo incrociava e viceversa. Dopo qualche secondo di stallo, Noah sbuffò e si decise a prendere parola.
«Vado a dormire» disse, dopo aver lanciato un'occhiata a Jason e Rachel che lo aspettavano ancora, qualche metro più avanti, in disparte. Prima che Cierra potesse aggiungere altro, Noah proseguì:
«Sono stanco e domattina devo studiare.»
Cierra fece per frenarlo, ma poi chiuse gli occhi blu e sospirò per l'ennesima volta in segno di resa; conosceva suo fratello: insistere era inutile se la situazione era scomoda.
«D'accordo» convenne quindi, semplicemente. Si avvicinò al maggiore e lo salutò con un bacio, a cui egli non diede risposta, dopodiché lo guardò raggiungere Rachel e Jason e avviarsi verso i dormitori.
Il cortile ormai era vuoto e anche gli ultimi minuti d'aria si erano esauriti; solo pochi studenti erano ancora fuori e si apprestavano comunque a dirigersi nelle proprie camere.
Cierra allora si strinse nella camicia chiara e accelerò il passo per concedersi il riposo dopo una giornata così frenetica e difficoltosa.
Eppure la sua mente faticava a riposare, atterrita dal fatto che tra le mani non le restava niente della sua esistenza e che, ancora adesso, non era parte della vita di suo fratello come avrebbe dovuto.
━━━ • 🔥 • ━━━
Cierra si richiuse la porta alle spalle una volta in stanza; si appoggiò per qualche secondo al legno, sospirante, con le palpebre socchiuse e il mento rivolto al soffitto; poi si scostò, si sfilò la divisa dal corpo minuto e la mise in un angolo della stanza.
Ogni azione era lenta, ma inquieta, quasi dolorante: ora che si trovava da sola ed era sera inoltrata, Cierra cominciava a sentirsi circondata dai dubbi, dalle insicurezze e dalle paure che, dopo essere stati messi in pausa durante il giorno, avevano preso a farsi spazio nella sua testa durante la traversata dell'immenso corridoio.
Era contenta che Davis fosse lì con lei, ma la brutta reazione di Noah l'aveva scossa; inoltre, Davis sembrava estremamente cambiato e cresciuto, e Cierra temeva di potersi sentire a disagio in sua compagnia e che, quindi, ritrovarlo differente fosse equivalso al non ritrovarlo affatto.
In camera, la giovane infilò un pigiama che aveva trovato nell'armadio appena pieno dello stretto necessario; dunque prese il nuovo cellulare tra le mani e lo accese. Spese qualche minuto a ripristinare tutte le impostazioni, seduta sul pavimento freddo, con la schiena alla parete gelida per le sue spalle gracili e le ginocchia tirate al petto.
Tentava di distrarsi il maggiormente possibile dalle preoccupazioni che cercavano di attirare la sua attenzione, spostando quest'ultima su ciò che di più futile poteva trovare e aggirando qualsiasi problema le si potesse presentare innanzi.
Era una pratica che attuava spesso, quasi sempre, e riguardo a ogni situazione: non era mai stata capace di affrontare le circostanze scomode; non le prendeva mai di faccia, o almeno non subito. Se riusciva ad affrontarle, era solo dopo aver lasciato tanto tempo scorrere.
Dopo che quindi ebbe trascorso diverse decine di minuti a smanettare con il telefono, una malsana curiosità le balenò in mente. Cierra inarcò di poco le sopracciglia verso l'alto e, con lo sguardo vispo, seguì le cifre che si susseguivano sulla tastiera delle chiamate: stava provando a digitare il numero di sua madre, nel disperato tentativo di mettercisi in contatto.
Il cellulare era automaticamente connesso alla rete di Domain, quindi la chiamata fu inviata; tuttavia, il problema era dall'altro lato: i bip si susseguirono senza mai concedere risposta.
Cierra rimase sul suolo, con il telefono stretto tra le mani e schiacciato contro un orecchio e poi un altro; gli occhi le si riempirono di lacrime e l'unica fonte di luce nella stanza era lo schermo premuto contro la guancia.
«Mamma...?» Mormorò d'un tratto, i colpi di risata sembrarono un incrocio con i singhiozzi del pianto.
Lo squillo incessante e fastidioso dell'attesa continuava a non benedirla di sentire altra voce: Cierra aveva preso a parlare in ogni caso, sullo sfondo di una chiamata senza risposta, come se avesse reclamato di essere ascoltata quando in verità era impossibile.
«Ciao, mamma» ripeté, con i denti del sorriso bagnati dalle lacrime.
Vista da fuori sarebbe sembrata una pazza, lì seduta sul pavimento a conversare da sola. Eppure Cierra non si accorgeva di cosa stesse succedendo; era totalmente distaccata dalla realtà, come chiusa in una bolla dove la pretesa era quella che andasse tutto bene.
«Ho... Ho ritrovato Noah e Davis» cominciò a raccontare, insicura, mentre poggiava la mano libera sul suolo gelido, quasi per avere supporto. Passarono diversi secondi prima che la ragazza proseguisse la conversazione; Cierra si aiutò con entrambe le mani per spostarsi dalla parete e stendersi sul parquet, dove il freddo le contrasse ogni centimetro del corpo, coperto appena dal pigiama.
Ogni movimento appariva scomodo, dolente; si era dovuta spostare con il sostegno delle mani come se avesse avuto le gambe immobilizzate, o troppo stanche per funzionare. Anche i respiri erano intorpiditi e profondi, come se l'aria a disposizione non fosse mai stata abbastanza.
«Non so cosa fare, mamma» riprese a parlare la giovane, dopo aver posato il cellulare accanto alla sua testa e aver attivato il vivavoce. I bip dell'attesa erano ad un volume altissimo, e le ricordavano, crudeli, che dall'altro capo della cornetta non ci sarebbe stata risposta. Al contrario, le parole di Cierra erano più sussurri appena udibili che veri e propri discorsi; la voce roca si interrompeva a ogni sillaba per riposarsi e la gola bruciava dallo sforzo del pianto.
«Non potrò più rivedervi?» Domandò, retorica, alludendo a tutte le persone care che era stata costretta a lasciare a Los Angeles. Le immagini degli ultimi momenti vissuti assieme si mescolarono in un attimo con quelli passati, e Cierra si ritrovò nuovamente inondata di ricordi. Se finora gli occhi le avevano concesso di liberare solo alcune lacrime che erano corse sulle tempie, adesso Cierra si sentì scoppiare, assalita con veemenza dallo strazio di essere strappata via a chi amava, e non riuscì a trattenere un pianto violento, esplosivo, che la portò a doversi coprire forte la bocca per non fare troppo rumore.
Strinse le palpebre tanto da farsi male, nel tentativo di zittirsi. Eppure le immagini dei genitori, sorridenti, o del suo migliore amico, avvinghiato a lei in un abbraccio caldo, non la lasciarono andare neanche per un istante.
Sembrava quasi una condanna, una punizione divina a peccati che, in effetti, Cierra non aveva mai commesso. Non pensava di aver mai fatto nulla di cattivo nella sua vita; perché tutto questo, allora?
«Non è giusto...» mormorò stanca, mentre lasciava cadere le mani sul pavimento. La chiamata continuava a squillare, e ben presto Cierra si concentrò così tanto su quel suono che riuscì persino a trovare una similitudine con i pezzi che era solita danzare.
Al solo pensiero del teatro si sentì soffocare; si portò i polpastrelli a carezzare il collo, applicando una leggera pressione, quasi a tentare di mandare via l'ardere della gola. Tossì un paio di volte, dolorante, poi spostò la mano alla base della fronte, per coprire in parte gli occhi dalla luce fioca che proveniva dalla finestra. Anche un minimo bagliore le dava fastidio.
Aveva subito infortuni durante il suo percorso di studio, che avevano causato allontanamenti dalla danza, ma mai avrebbe pensato di doverle dire addio. Le aveva dedicato un'intera vita, con piacere e devozione, e non era mai stata in grado di immaginarsi altrove se non su un palco o in una scuola. Tutto ciò che la portasse a contatto con vestiti di tulle e scarpette appuntite riempiva le sue giornate, passate, presenti o future, da quando ne aveva memoria.
Si era sempre vista a danzare. Ora, invece, era lontana dal teatro, dalla danza, dal futuro stesso, oltre che da casa sua e dalle persone a cui voleva più bene.
Non aveva niente più, ora. Le basi su cui aveva cercato di redimere l'intera sua esistenza le erano crollate da sotto i piedi e, lei che aveva vissuto con i piedi ben piantati al suolo per tutta la vita, si sentì morire. Morire, soffocare, distruggere dall'interno.
Era uno strazio così grande che le risultava difficile persino respirare a pieni polmoni.
Intrappolata in quel vortice di afflizione, di mancanze, di ricordi amari e di piani andati in fumo, Cierra suppose, disperata, che l'unica soluzione che aveva quella sera, chiusa al buio, fosse di tentare di dormire per smettere di pensarci. Sapeva però che sarebbe stato impossibile da sola, e quindi strisciò fino al comodino, senza mai alzarsi in piedi.
Se in Accademia avevano una scheda su di lei, doveva essere presente il disturbo dell'ansia che la teneva incatenata ai calmanti, e così c'era la possibilità che le avessero restituito il barattolino di pillole che le avevano requisito quella mattina.
Cierra si sporse dunque verso il mobile e, col fiato corto, spintonò il cassetto per aprirlo velocemente. La sua supposizione era stata esatta e, al centro del legno scuro, vi era il piccolo contenitore con il medicinale.
Le mani tremanti dall'emozione si affrettarono ad afferrarlo; il cuore della ragazza si sentiva più sicuro ora, sebbene fosse cosciente di non averne bisogno.
"È sbagliato" pensò Cierra, mentre sentiva il ticchettìo delle pillole nella plastica trasparente, ne prendeva una e la ingoiava senza l'ausilio di acqua.
"È sbagliato, ma è facile e mi farà stare bene" si giustificò poi, come se avesse voluto disfarsi di almeno uno tra i problemi.
Si era messa a sedere per prendere la medicina e rimase così fino a quando essa non cominciò ad avere l'effetto sperato; la mano sudata che si era aggrappata al comodino smise di tremare e si asciugò pian piano, mentre il battito del cuore rallentò e tornò stabile; Cierra fu di nuovo capace di prendere respiri calmi, le palpebre potevano ora riposare senza sforzarsi e il dolore al petto sembrava star cessando a poco a poco.
Cierra tornò ad appoggiarsi, lentamente, alla parete; essa, adesso, assieme al pavimento, non appariva più così fredda, ma era solo perché Cierra, finalmente serena, era così estraniata dal circostante che non se ne rendeva nemmeno conto.
Il suolo continuava a essere gelido, ma lei non lo riusciva a percepire. E anche lo squillo del telefono continuava a esserci, ma Cierra non era in grado di udirlo.
Il mondo attorno a lei continuava a correrle in cerchio, ma nella sua testa era tutto finalmente in silenzio.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro