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IV; I - Mum?

La chiave entrò nella serratura senza dare problemi, svoltò verso destra una sola volta e lo scatto aprì di poco la porta verso l'interno.

Il dormitorio femminile era enorme: l'intera ala est ospitava centinaia di studentesse; c'erano dozzine di camere accavallate l'una accanto all'altra e Cierra non osava pensare a come sarebbe stato se le ragazze fossero state tutte per i corridoi.

Noah le aveva spiegato che le lezioni erano assidue e stressanti dal lunedì mattina sino al venerdì sera quindi, durante i due giorni feriali di fine settimana, tutti gli studenti ne approfittavano per svagarsi. Erano due giorni di completa libertà: si poteva svolgere qualsiasi tipo di attività, ci si poteva liberare della divisa e frequentare chiunque si volesse. Una sorta di ora d'aria prima di tornare in cella.

L'E.P.A. non era un luogo semplice da affrontare: non c'era neppure una vera e propria pausa estiva, le materie curriculari si alternavano agli allenamenti e ai laboratori e la socializzazione era quasi messa al patibolo. Tutti gli studenti facevano fatica ad abituarvisi e il trauma non scemava neanche con gli anni, soprattutto perché si arrivava a Domain con nulla e si trovava, una volta giunti, il nulla. Noah ci rimuginava su mentre, assieme a sua sorella, visionava la stanza che le era stata assegnata.

La camera era molto piccola: un letto singolo, un minimo angolo con scrivania su cui studiare, un armadio e un bagno. Appena entrati, il letto era sulla sinistra; nascosto nell'angolo subito sotto vi era la scrivania, mentre a destra si trovavano l'armadio a un'anta, parallelo al letto, e una porta che apriva sul bagno, anch'esso minuscolo.

Di fronte all'ingresso della stanza vi era una grande finestra con seduta; quando Noah si voltò a guardarla, anche per scorgere che panorama si vedesse da lì, notò sua sorella averlo preceduto: Cierra era ferma dinanzi al vetro, con i numerosi libri tra le mani e l'oro del sole a illuminarle i boccoli castani.

Un leggero sorriso si formò sulle labbra del più grande. I due erano appena passati in biblioteca per trovare i vari libri che sarebbero serviti a Cierra e lei era rimasta stanziata nel bel mezzo dell'enorme sala, a guardarsi intorno con l'espressione di una bambina che vede per la prima volta l'oceano. Noah si avvicinò alla sorella e, quando fu dietro di lei, le poggiò entrambe le mani sulle spalle, mentre la osservava con dolcezza. Lei voltò il capo appena per ricambiare il suo sguardo e il suo sorriso con uno più ampio e mite, e il sole fuori dalla finestra apparì quasi più torbido.

Solitamente erano tutti scossi quando arrivavano a Domain, ed era più che comprensibile, eppure Cierra pareva oscillare tra momenti di completo sconforto e stupore ad altri di estasi verso il luogo in cui si era ritrovata e le sue meraviglie. L'Accademia era, in sè, un posto magico, e Cierra ne vedeva solo la bellezza. Beata lei, pensò Noah: la sua visuale, almeno, non era ovattata dal rigore che imbrattava lo splendore di quel mondo alternativo.

C'erano tante, troppe cose di cui preoccuparsi a Domain, e la direzione della scuola non favoriva la quiete e l'agio; al contrario, insegnava la quadratura di ogni singola azione e il terrore della minaccia. In Accademia si era studiati per essere perfetti; viceversa, la vita sarebbe stata più complicata di quanto non potesse essere già di suo.

Noah si era perso a fissare il paesaggio fuori e a ragionare sull'ambiente in cui si sarebbe trovata sua sorella; non si rese neppure conto che lei gli era scivolata via dalle mani, o almeno fino a quando ella non richiamò la sua attenzione, con la voce calda e pura come l'estate. Sicché si girò verso il bagno e scoprì la minore, immobile sotto l'uscio, che indossava la divisa scolastica per la prima volta.

La camicetta immacolata si nascondeva nella corta gonna a scacchi nera e le fasciava il fisico asciutto e longilineo in maniera impeccabile. Noah non era solito realizzare questo tipo di cose, perché faceva poco caso a ciò che gli capitava attorno, ma nel riscoprire sua sorella dopo tutti quegli anni si capacitò del fatto che ella era davvero cresciuta tanto e in fretta. Di nuovo, il tempo quasi gli fece paura.

«Direi che mi sta bene» commentò assorta Cierra, guardandosi allo specchio presente sulla porta del bagno, mentre si voltava e voltava ancora per ammirarsi in ogni angolazione.

"Direi che sei cresciuta" fu la risposta muta e divertita del fratello, prima di spiegarle che venivano fabbricate divise di un'unica taglia media per tutti. Se c'erano problemi lo si comunicava e la divisa era cambiata con un'altra di taglia diversa, ma erano davvero pochi i casi in cui ciò avveniva, o almeno poco duraturi, perché dopo un po' ci si ritrovava tutti con lo stesso fisico, atletico e spigliato.

«Una vita di danza classica dovrà pur essere servita a qualcosa.» La sentì ribattere Noah, con la voce appena più alta, mentre si svestiva dall'altro lato della porta chiusa. Il ragazzo non proferì parola e si limitò ad attendere, perché sapeva che l'ironia di sua sorella nascondeva del dolore di fondo.

Di fatti, la vide aprire di poco la porta, qualche minuto dopo, e sporgersi con il viso e le mani appena fuori, poggiate al legno. Un sorrisino incerto le aveva arricciato le labbra, ma non abbastanza da celare il dispiacere che cominciava a farsi sentire.

Ci aveva pensato chiusa in bagno, mentre si spogliava e scrutava con sguardo severo le dita rovinate dei piedi e le gambe sottili e doloranti. Si era guardata allo specchio, mezza nuda, e si era resa conto che, improvvisamente, il corpo su cui aveva lavorato per tutta l'esistenza era divenuto inutile in poche ore.

Gli incavi del collo sembravano scavarsi di più a ogni respiro, lì nello specchio. Era stato come spendere tutta la vita a realizzare un disegno che poi avrebbe preso fuoco e si sarebbe consumato in poche decine di secondi. Ne sarebbe rimasta cenere e null'altro.

Era stata la stessa sensazione; gli occhi le avevano pizzicato mentre dozzine di immagini erano passate loro avanti, susseguendosi e ferendo. Tutti gli allenamenti, tutte le coreografie, tutte le opere, tutti i costumi, le scarpe, i trucchi, le acconciature. Erano fumo dopo una sigaretta e ne restava solo la puzza.

Cierra si era rivestita, poi aveva raccolto gli ultimi indumenti della divisa dal pavimento e la cravatta rossa le si era attorcigliata tra le mani. Dopodiché aveva aperto di poco la porta e si era affacciata, abbastanza da notare suo fratello seduto di fronte a lei, sul suo letto. Aveva abbozzato un sorriso per lui e nei suoi lineamenti aveva trovato conforto: forse, pensò, aveva perso una parte della sua vita per ritrovarne un'altra.

Ne valeva la pena? I ricci corvini di suo fratello e il modo in cui egli se li soffiava via dalle lenti fini sembravano suggerirle di sì. Tuttavia, era difficile da accettare.

«Chi devi farmi conoscere?»

D'un tratto Cierra prese parola, interrompendo il brutto silenzio che si erano venuto a creare nella stanza. Noah si era seduto in modo più scomposto sul letto, appoggiando la nuca e le spalle alla parete retrostante e allungando di poco le gambe piegate verso il pavimento. I vestiti gli si stavano quasi stropicciando, ma sembrava importargli poco.

Egli alzò lo sguardo che aveva chinato sullo schermo luminoso del cellulare.
«Eh?» Mormorò, mentre si portava una mano tra i capelli neri e increspava il naso, distratto.

Cierra rise e ribadì ciò che aveva appena chiesto. Noah allora si mise in piedi, vedendo anche sua sorella raggiungerlo, si stirò gli abiti e tirò su le lenti con la punta dell'indice.

«Ti piaceranno.» Sorrise semplicemente, indicando con un cenno una chat aperta sullo schermo. Alla conversazione partecipavano altri ragazzi, ma Cierra riuscì a scorgere così poco che neppure sapeva quanti ne fossero o di che genere. Noah era sempre stato molto riservato e il fatto che le avesse appena mostrato una conversazione, anche se per niente leggibile, fece comprendere alla sedicenne che suo fratello si era aperto, negli ultimi tre anni.

Era strano averlo trovato cambiato, benché di poco, ma era comunque stupendo averlo trovato.

Noah poi ripose il telefono nella tasca dei pantaloni, raccattò la chiave della stanza dal letto e la porse alla sorella. Anch'ella la mise in tasca, gli sorrise e, dopo che i due furono usciti dalla camera, si chiuse la porta alle spalle.

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Cierra iniziava a essere stanca: salire tutte quelle scale e svoltare tutti quei corridoi stava cominciando a diventare pesante. Ella almeno stava prendendo visione di gran parte del castello, avendolo ora attraversato per giungere all'ala ovest, quella che ospitava il dormitorio maschile.

Noah le aveva fatto strada e, durante il tragitto, i due fratelli si erano raccontati le novità degli ultimi tre anni: Cierra gli aveva parlato dell'evolversi del rapporto con Hunter, delle audizioni in teatro e degli spettacoli; Noah, invece, le aveva descritto la routine dei suoi tempi a Domain, dell'Accademia, degli allenamenti e delle amicizie che aveva stretto. Le aveva persino detto di aver conosciuto due ragazzi in particolare che lo avevano salvato dalla solitudine dell'arrivo.

Fu in quel momento che Cierra ebbe un lampo di genio: spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca.

Sembrava aver capito che le persone trascinate a Domain venivano date per defunte nel loro mondo. Dunque collegò: quante morti erano reali, di quelle che aveva udito tra le aule del liceo? Scomparivano tutti verso i sedici anni, mese più o mese meno.

Avrebbe rivisto altre facce conosciute, in Accademia? Era probabile. Non che le interessasse particolarmente: aveva davvero pochi amici a Los Angeles. Forse due o tre. Ma la cosa importante era un'altra: Davis Anderson.

Davis era stato un suo grande amico, nonché il migliore per suo fratello. Un attaccabrighe, una diva del dramma, non ci si annoiava mai con lui.

Era maggiore di lei: in quel momento avrebbe dovuto avere diciotto anni, prossimo ai diciannove nel periodo invernale, ma con Cierra si era sempre trovato molto bene.

Si erano conosciuti quando Noah aveva cominciato a portarlo in casa; Davis era una persona molto aperta e i due avevano subito fatto amicizia. Conversazione dopo conversazione, lui e Cierra avevano cominciato a legare in modo indipendente da Noah.

A Davis piaceva parlare delle piccolezze: era il tipo di persona che portava avanti un dibattito sulla vastità dell'universo piuttosto che narrarti delle sue giornate, e a Cierra faceva impazzire. La differenza d'età non si era mai sentita, essendo essa anche minima - di due anni e mezzo, ma Davis aveva preso la più piccola per mano e l'aveva fatta crescere assieme a lui.

Non si frequentavano tantissimo: si vedevano solo quando Davis saliva in casa con Noah, ma bastava. Era quel tipo di rapporto che va avanti e si solidifica anche senza fondamenta concrete.

Il ragazzo era stato importante nella sua vita: le aveva riempito le giornate di discorsi, le aveva insegnato a pensare in maniera diversa, a vivere fuori dagli schemi e a farsi valere, singola in mezzo alla moltitudine. Le aveva fatto da àncora per non perdere la lucidità ed era stato la spalla su cui, entrambi, avevano consumato le lacrime dopo l'incidente di Noah.

Poi, però, il mese seguente era scomparso anche lui, e l'aveva distrutta. La notizia che era arrivata era stata che Davis non ce l'aveva fatta ad affrontare la morte del suo migliore amico e quindi si era lasciato andare. Il corpo ritrovato non era mai stato possibile riconoscerlo, troppo malridotto per essere anche solo guardato.

Ma ora Cierra era dubbiosa, adesso la storia puzzava. Il suo cuore ebbe un salto di metri e metri verso il cielo, perché Davis poteva essere lì.

Eppure qualcosa frenava il suo pensiero: Davis era il migliore amico di suo fratello, e Noah d'altro canto conosceva bene lo stretto rapporto che lo legava a Cierra. Se egli fosse stato a Domain, Cierra lo avrebbe saputo subito. Forse Noah voleva farle una sorpresa e la stava portando proprio da lui, essendo loro nel dormitorio maschile, ma non era affatto il tipo.

Lo stomaco della ragazza parve stringersi in una morsa, mentre la speranza di ritrovare Davis la abbandonava bruscamente: fu come saperlo morto un'altra volta.

Fece per chiedere a Noah, ma preferì evitare: pensò che, se Davis non fosse stato a Domain, sentir parlare di lui sarebbe stato come riaprire a strappi una vecchia ferita, e Noah non se lo meritava.

Se Davis Anderson era lì, Cierra lo avrebbe scoperto.

L'ultima parte del tragitto per attraversare il castello da un lato a quello opposto si era rivelato meno faticosa della prima, e ora i fratelli Sharp erano di fronte l'ultima porta dell'intero dormitorio.

"Mi dispiace per chi ci soggiorna" pensò Cierra, mentre si distraeva per lanciare un'occhiata fuori dalla lunga vetrata che sovrastava il susseguirsi di camere.

Non si accorse che Noah aveva bussato fino a quando la porta non si aprì con poca delicatezza, rivelando una ragazza in piedi di fronte a loro.

La giovane la superava nettamente in altezza; il piccolo viso era nascosto tra i lunghi capelli dai ricci strettissimi, in grande contrasto con la pelle molto chiara.

L'espressione del volto gioiva tutta: persino gli occhi, di un colore simile al verde acqua, erano sorridenti. Era bellissima: quel tipo di bellezza naturale e dinamica, esplosiva ed energica.

La ragazza allargò le braccia sottili e le gettò al collo di Noah, stringendolo e dondolandosi. Cierra sgranò gli occhi, estremamente stupita: non aveva la più pallida idea di chi fosse la giovane e scoprire tanta confidenza nei confronti di suo fratello la sorprese particolarmente.

Era impossibile ricambiare cotanta foga, soprattutto per uno come Noah, eppure egli non parve affatto infastidito come Cierra si sarebbe aspettata; al contrario, abbracciò la nuova ragazza, benché di poco, e le sorrise ampiamente. 

«Ci sei mancato, signorino!» Squittì la giovane sconosciuta; la voce acuta e armoniosa riempì l'intero spazio circostante, mentre la ragazza si allontanava il minimo necessario per far spazio a Noah di entrare in camera.

Dopodiché si voltò a guardare Cierra e il sorriso già presente si allargò ulteriormente.
«È lei?» Domandò contenta, girandosi verso Noah per poi tornare a squadrare sua sorella.

Lo sguardo vispo e attento la esaminò da capo a fondo, fino anche alla punta dei capelli castani. Era però uno sguardo totalmente diverso da quello che Cierra aveva sentito addosso in compagnia di James, quando il gruppetto di ragazzi le era passato di fianco: quello l'aveva studiata con arroganza, mentre ora la giovane amica di Noah era solo avida di conoscerla.

Era una sensazione differente e più piacevole, come se Cierra si fosse sentita presa sotto custodia per la prima volta nella sua vita.

«È stupendo che tu sia qui» rise la ragazza, prendendole le mani fra le sue. Cierra le sentì subito calde e si sentì a disagio di fronte a tutta quell'esuberanza, ma la divertiva.
«Vieni, entra.»

La giovane le lasciò le mani e la invitò dentro con un cenno del capo. Quando si voltò, i ricci corvini solleticarono la pelle della più piccola che, dopo essersi ripresa da quell'accoglienza, seguì l'altra nella stanza.

La camera era molto più ampia della sua; sebbene ci fossero più o meno lo stesso numero di mobili - solo la scrivania era più larga - essi erano visibilmente migliori.

Di fronte all'ingresso, dove in camera sua c'era la finestra, Cierra notò invece un letto alto, dalle lenzuola azzurre. Noah si era appoggiato alla testiera mentre, seduto accavallando le gambe con finezza, vi era un altro ragazzo.

Cierra non riuscì a notare subito il volto pieno, essendo esso di profilo e chino su un libro, che la mora individuò essere di Tolstoj. Ciò che ella poté vedere, però, furono il fisico assai asciutto e i capelli molto chiari, quasi verso il bianco, che erano legati con un nastro in una coda bassa. In più, i pochi lineamenti visibili erano come disegnati con una matita dalla grafite sottilissima, ma non tagliente. Erano linee morbide, eleganti e principesche.

La pelle pallida e la chioma albina le ricordarono subito le stesse del preside e, non appena Cierra si avvicinò al giovane, la sensazione di gelo emanata dalla sua persona fu la medesima.

La sedicenne si fermò sul posto appena la percepì e, inconsapevolmente, fece anche un passo indietro, scossa.

«Io sono Rachel» si presentò la ragazza di prima, piazzandosi di nuovo di fronte a Cierra con un sorriso così largo da far inquietudine.
«E lui è...» proseguì subito ma, quando si rese conto che l'altro ragazzo non aveva ancora proferito o tantomeno alzato lo sguardo dal libro che leggeva, lasciò la presentazione in sospeso e si girò verso l'altro.

«Jason?» Mormorò, le sopracciglia folte che erano rizzate a formare una "v" poco paziente.
«Jason!» Richiamò poi, alzando di molto la voce squillante.

Sia Noah che Cierra saltarono sul posto; sebbene Noah fosse abituato alle grida di Rachel, pareva non essere mai pronto.

Jason, invece, non batté ciglio: rimase immobile a leggere e alzò gli occhi azzurrissimi con estrema calma, solo quando ebbe finito la pagina, messo un segno, chiuso il libro e posatolo sul letto. Cierra comprese subito che Jason non era mai stato distratto, bensì aveva udito e seguito tutto; semplicemente, non gli aveva prestato attenzione perché non gli interessava.

Poi, però, collegò: poteva essere lo stesso Jason che aveva parlato col preside, poco tempo prima? Facendo qualche calcolo, era probabile: il nome era il suo, la somiglianza tra i due spaventosa e, a quanto pareva, anche le attenzioni dedicate alla gente erano le stesse.

Il ragazzo lanciò un'occhiataccia a Rachel, che rispose a sua volta con quella di una madre che rimprovera il proprio figlio; poi passò a Cierra, la esaminò dalla testa ai piedi e di nuovo alla testa. Brontolò un saluto di cortesia, molto svogliato; dopodiché si mise a braccia conserte, poggiò la testa contro la parete e calò le palpebre.

Cierra aggrottò la fronte; poi si voltò a guardare tutti gli altri e si ritrovò dinanzi tre persone così diverse che pensare fossero buoni amici le sembrava assurdo. Rachel, ad esempio, cambiava espressione del viso in base a chi si rivolgesse: passava da un muso lungo verso Jason a un sorriso smagliante nei confronti di Cierra; oppure Noah, che si curava poco dei comportamenti degli altri e guardava fuori dalla finestra, probabilmente lasciando il tutto nelle mani di Rachel.

«Devi scusarli» rise quest'ultima d'un tratto, avendo seguito lo sguardo della più piccola.
«Uno è un vegetale e l'altro è un apatico» commentò, riferendosi rispettivamente a Jason e Noah. Alzò la voce per farsi sentire bene dai diretti interessati, benché non ce ne fosse affatto bisogno, visto il naturale tono brillante della giovane.

Cierra inclinò il capo di lato e sorrise dolcemente. Non sapeva chi fosse Rachel e il perché di tanta confidenza con Noah, quindi all'inizio era stata titubante; ma, più passavano i minuti, più la corvina le sembrava una valida spalla su cui contare. E poi, tutta la sua esuberanza la metteva di buon umore.

«Vieni, siediti» la invitò la ragazza, come se quella fosse stata camera sua. D'altronde, Jason continuava a non intervenire, e in ogni caso Rachel non sembrava il tipo da preoccuparsene particolarmente.

La corvina si lanciò sul letto, infastidendo sia Noah sia Jason, che si lasciò andare a un sonoro sbuffo. Cierra ridacchiò, sedendosi a sua volta alla scrivania e lanciando un'occhiata amichevole al fratello.

«Sarai scossa: abbiamo tanto di cui parlare.»

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