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7. Gelosia

Vidi Lila e Matilda venire verso di me, mentre ancora stavo cercando di incastrare tutti i miei tubetti di acrilico nell'astuccio già straripante e Riven incartava con cura la sua tela.

«Ciao, Rose!» esclamò Lila, con la sua voce squillante.

«Ciao ragazze! Come state?» chiesi loro, dato che quella mattina dovevamo ancora parlarci.

Prima dell'inizio delle lezioni ero stata con Ethan, e quando io e Riven eravamo entrati in classe la professoressa Cobello era già seduta alla cattedra in attesa del suono della campanella d'inizio, perciò non avevo ancora avuto modo di scambiare qualche parola con loro.

«Tutto bene» risposero all'unisono con lo stesso tono di voce, per poi scambiarsi uno sguardo complice e ridacchiare.

«Buongiorno, ragazze. Non mi presenti le tue amichette del cuore, Spina?» si intromise Riven con tono beffardo, mettendo la tela sotto braccio e lo zaino in spalla.

«Riven, sono nella nostra classe. Le conosci già» risposi duramente, facendo avvampare le mie due amiche.

«Che maleducata!» disse lui, con un ghigno.

Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. «E va bene. Riven, loro sono Matilda e Lila. Matilda e Lila, lui è Riven. Noi tre ci conosciamo dal primo anno e da allora siamo amiche. Contento?».

«È un piacere conoscervi» esordì Riven, sorridendo amabilmente.

«È un piacere anche per m...» iniziò Matilda, quando venne interrotta da una mano dalla pelle olivastra e con le unghie laccate di rosso che si infrappose tra di noi.

«Piacere, io sono Ambra» trillò lei, con una voce lenta e melodiosa.

I suoi occhi di colori diversi fissavano intensamente Riven. Non stava badando neanche minimamente a noi tre, era totalmente catturata da lui.

«Ho visto che siamo in vena di presentazioni oggi, quindi ho pensato di aggiungermi, dato che sono impaziente di conoscerti, Riven».

«Sai già il mio nome, quindi non ti devo dire altro» rispose lui, senza togliersi quel sorrisetto  dalla faccia.

Non ricambiò il gesto, e la mano di Ambra rimase appesa a mezz'aria.

Una quasi impercettibile scintilla di delusione si fece strada sul volto di lei.

«Allora ci vediamo» disse, e si ritrasse lentamente facendo ricadere il braccio lungo il suo fianco.

Prima di andarsene, lanciò un'occhiataccia a me e a Matilda e Lila, per poi guardare di nuovo Riven con uno sguardo che sembrava dire "sarai mio".

Guardai le mie due amiche, e anche loro, come me, non riuscirono a trattenere una risatina.

«Andiamo in classe, Spina?» mi chiese, tornando serio.

«Andiamo» risposi seccamente, mettendo sulla spalla la mia borsa di tela e portando con me il mio quadro perfettamente impacchettato.

Odiavo quando mi chiamava "Spina" davanti alle altre persone.
Era una cosa nuova per me, che non avevo mai dovuto sopportare, perché a Redwood c'eravamo solo io, lui e le nostre zie, e in presenza di quest'ultime lui si rivolgeva a me con il mio nome completo. Lo faceva anche davanti ai professori, ma quando eravamo insieme ai nostri compagni di scuola, non si tratteneva dal chiamarmi con quell'odioso nomignolo.
E andando di pari passo con il modo che sceglieva per rivolgersi a me, cambiava anche il suo atteggiamento. Con le zie e con i professori continuava a voler tenere in piedi il teatrino dei grandi amici, ma quando eravamo con i nostri compagni, oltre a fare qualche dolce sorrisetto, non si tratteneva più di tanto. Certo, manteneva la sua maschera di educazione e cortesia, ma non si faceva problemi a lasciarsi andare a qualche parola o qualche gesto che in realtà dimostrava quanto astio provasse nei miei confronti.

Ma almeno, aveva iniziato a parlarmi. A Dawnguard, per una cosa o per l'altra, era costretto a farlo. Non eravamo più solo io e lui e a condividere esclusivamente i tre mesi estivi, eravamo in un ambiente pieno di altre persone e si trattava di condividere ogni singolo giorno dell'anno.

***

La lezione di due ore della professoressa Morris passò in fretta. Iniziò ad introdurre e spiegare il Rinascimento italiano, argomento che ci avrebbe accompagnati per le settimane successive.

Terminò la lezione cinque minuti prima.

«Rosaspina, Riven, venite qui con me. Vorrei darvi qualche indicazione su come svolgere le ripetizioni extrascolastiche» ci disse attirando la nostra attenzione, e noi ci alzammo andando verso la sua cattedra.

Alzandomi, sentii addosso lo sguardo spietato e bruciante di invidia di Ambra.

«Vi chiedo di incontrarvi per studiare insieme almeno tre giorni alla settimana. Sarebbe meglio lo faceste tutti i giorni, ma organizzatevi voi come preferite. Dovrete ripetere insieme le lezioni della giornata, e se a Riven manca qualche concetto, allora il tuo compito, Rosaspina, sarà quello di aiutarlo a colmare queste lacune».

Entrambi sorridemmo dimostrandoci felici ed entusiasti, mentre in realtà ci stavamo preparando mentalmente a quella tortura.

«Riven, tua zia mi ha detto che prima studiavi in casa con un'insegnante privata, e per quanto io abbia fiducia nel fatto che fosse una brava professoressa, sicuramente ti mancherà qualche approfondimento, soprattutto per la mia materia, dato che non l'hai mai studiata. Ma sono sicura che con Rosaspina riuscirai a recuperare tutto il programma nel giro di poche settimane» disse guardandoci speranzosa.

«Sono certo che Rosaspina non la deluderà, professoressa Morris» esordì Riven.

«Non ho dubbi, so già che farete un ottimo lavoro» concordò lei, sorridendoci.

Ricambiammo il sorriso, e la campanella suonò.

«Buona giornata» ci salutò.

Ricambiammo il saluto e tornammo al nostro banco, sistemammo le nostre cose e uscimmo dall'aula insieme, accompagnati da Matilda e Lila.

***

Quando uscimmo dalla scuola, Riven si allontanò per andare a casa da solo, e io rimasi con Matilda e Lila.

Nel parcheggio riuscimmo ad intravedere Ethan nella folla di studenti, appoggiato alla sua auto, e lui quando ci vide ci fece cenno di raggiungerlo.

«Ragazze! Vi do un passaggio? Con questo caldo, almeno vi risparmiate la fatica di camminare fino a casa!»

Ethan era più grande di me, aveva compiuto diciott'anni a gennaio, e aveva preso la patente già da qualche mese. Poco dopo aver superato l'esame, i suoi genitori gli avevano regalato un'auto: un'Audi A3 nuova, bianca, moderna e lussuosa. Quando per la prima volta arrivò a scuola con quella invece che con l'autobus, tutti nel parcheggio lo guardarono invidiosi e stupefatti. Molti altri studenti avevano la loro automobile, ma nessuno ne aveva una tanto bella e costosa come la sua.
I suoi genitori erano più che benestanti, sua madre era un chirurgo e suo padre un avvocato di prestigio, ed erano disposti a regalargli qualunque cosa lui chiedesse. Ma nonostante ciò, Ethan era un ragazzo umile e con i piedi per terra, e non era per niente arrogante o sprezzante.

«Io accetto volentieri» risposi.

Ethan aprì la portiera del lato giuda, premette un pulsante e il baule si aprì automaticamente.

Con estrema attenzione ci misi dentro la mia tela, e poi salii in macchina dal lato del passeggero.

Lila e Matilda si guardarono, annuirono e posizionarono anche i loro quadri nell'auto, andando poi a sedersi sui sedili posteriori.

Anche Ethan salì in macchina, e premette nuovamente il pulsante per far chiudere la portiera del bagagliaio.

«Grazie, Ethan!» trillò Lila, mettendosi la cintura.

Ethan uscì dal suo posto auto in retromarcia, e sfrecciò fuori dal parcheggio immettendosi nella strada principale.

Io tirai giù il finestrino, appoggiando il gomito fuori. Nonostante Ethan stesse guidando veloce, come al suo solito, c'era talmente caldo che sembrava non si muovesse nemmeno un filo d'aria.

Lo avevo rimproverato mille e più volte per il suo modo di guidare, ma ormai avevo capito che tanto valeva rinunciarci, era fiato sprecato. Lui amava la sua auto e amava correre, quindi era inutile imporgli di andare più piano. Almeno era prudente, e anche quando sfrecciava nelle strade più strette sembrava avere il pieno controllo dell'auto.

Accesi la musica dallo schermo sul cruscotto, e iniziammo a cantare a squarciagola le canzoni della playlist di Ethan, che ormai conoscevamo a memoria dato che erano sempre le stesse da anni.

«Siamo arrivati, donzelle» disse Ethan abbassando il volume della musica e accostando accanto alla casa di Matilda e Lila.

Vivevano in una villetta a due piani simile alla mia, ma decisamente più grande.

«Grazie, Ethan!» esclamò Lila, togliendosi la cintura e scendendo dall'auto.

«Ci apri il baule?» chiese Matilda, seguendo la sorella.

Ethan aprì il baule dal pulsante e le due presero le loro tele.

«Anche stavolta siamo sopravvissute alla tua guida da folle, incredibile! A domani, ragazzi» disse Matilda avvicinandosi al finestrino e rimanendo seria, ma con un tono ironico e scherzoso.

Lila ridacchiò dietro di lei, ed Ethan scosse la testa in segno di disapprovazione, senza riuscire a trattenere una risatina.

Risi anche io, ed Ethan ripartì.

Non rialzò il volume della musica, e andò più piano rispetto a prima.

«Come è andata con Riven, oggi?».

«È andata... bene. Direi bene, sì» farfugliai.

Ripensai alla lezione di pittura, in cui mi sembrò di aver capito qualcosa di lui, e alla lezione di storia dell'arte, in cui la professoressa Morris ci aveva chiesto di passare tutti i pomeriggi insieme. Avevo paura di dire qualcosa che scatenasse la sua gelosia.

«Perché pensa che io sia il tuo migliore amico e non il tuo ragazzo?» mi chiese seccamente.

Dovevo aspettarmela quella domanda.

«Gli ho sempre detto che sei il mio ragazzo, lo sa benissimo chi sei. Ma te l'ho detto, a lui piace complicarmi le cose».

«Quel tipo non mi piace, Rose. Vorrei che ci stessi distante».

Sospirò rassegnato.

«Lo so, Ethan. Non credi che anche io vorrei che fosse rimasto a Redwood e non fosse piombato qui dal nulla?».

«Lo so, lo so. Posso dirti una cosa, Rose? Mi prometti che non ti arrabbi?» mi chiese lui, distogliendo gli occhi dalla strada solo per un secondo, per guardarmi negli occhi.

«Certo, dimmi quello che vuoi» risposi con voce tranquilla, per fargli capire che non ero partita prevenuta e già sul piede di guerra.

«Sono geloso» confessò sospirando. «Ero geloso prima, perché lui passa sempre ogni estate con te mentre io non ti vedo per tre mesi. E sono ancora più geloso ora, perché lui è in classe con te e io no, e perché passerete parecchi pomeriggi insieme dato che tu devi aiutarlo con lo studio. E poi, non mi avevi parlato di quanto è bello. Sembra un dio sceso in terra, dai!».

Capii quanto gli costasse quella confessione guardando la sua espressione deformata dall'imbarazzo e le sue guance arrossate. Era intimidito da lui, dalla sua presenza e dalla sua bellezza.

«Ethan, non devi sentirti così. Lo sai che il mio rapporto con Riven è un continuo conflitto, e le cose non cambieranno. Gli ho chiesto di provare a smettere di odiarmi così tanto, questo è vero, ma solo perché non voglio che mi rovini la vita. Io non voglio niente da lui. Chiaro?» risposi rassicurandolo, e appoggiando una mano sulla sua spalla.

«Va bene, Rose. Mi fido di te» disse, accostando vicino al marciapiede davanti a casa mia. «Ti aiuto con le tue cose, così saluto anche Iris se è in casa».

Scendemmo entrambi dall'auto, e lui prese la mia tela dal bagagliaio

Tirai fuori le chiavi dalla borsa, e aprii la porta. Appesi la borsa sull'appendiabiti, e Ethan lasciò a terra la mia tela, appoggiandola sulla parete.

«Rose, sei tu?» trillò zia Iris dalla cucina.

«Si, zia! C'è anche Ethan, vuole salutarti» risposi.

«Oh!» esclamò, e la sentii muoversi a passi svelti verso l'ingresso.

Appena vide Ethan, allargò le braccia e lo strinse in un caloroso ed affettuoso abbraccio. Zia Iris sapeva quando lui fosse importante per me, e gli voleva molto bene.

«Ethan, tesoro! Finalmente ti vedo di nuovo!».

«Come stai, Iris?» le chiese lui, appena sciolsero l'abbraccio.

«Molto bene! E tu, caro?».

«Bene, grazie. Ho accompagnato Rose a casa perché c'era troppo caldo per lasciarla a piedi! Anche se penso che se fosse per lei, se la farebbe a piedi anche con settanta gradi!» rispose Ethan, dandomi un delicato pugno scherzoso sulla spalla.

Era vero, a me piaceva camminare per le strade di Dawnguard. Era una bella città, una di quelle immerse nel verde con le cicale e gli uccellini che cantavano ad ogni ora del giorno.

«Oh, lo so bene!» rispose zia Iris incrociando le braccia, come se volesse rimproverarmi. «Grazie per averla accompagnata, Ethan. Mi farebbe piacere invitarti a cena, una di queste sere. Che ne pensi? Potrei fare il tofu al limone che ti piace tanto!» trillò euforicamente.

«Sarebbe fantastico, Iris!» rispose Ethan, con lo stesso entusiasmo.

Lui era l'unica persona al mondo alla quale piacesse quella poltiglia di tofu strapazzato e succo di limone che preparava zia Iris.

«Allora ci vediamo presto, caro!» lo salutò lei.

Ethan ricambiò il saluto dandole un bacio sulla guancia, poi aprì la porta, e prima di uscire mi stampò un bacio sulle labbra.

«Ci vediamo domani, Rose» disse con un sorriso smagliante che mi fece sentire le farfalle nello stomaco.

Ogni volta il suo sorriso perfetto e luminoso mi faceva vibrare il cuore.

«A domani» risposi, e chiusi la porta d'ingresso.

Sentii la pancia brontolare per la fame, e mi fiondai in cucina ansiosa di scoprire che cosa avesse preparato zia Iris per pranzo.

«Che hai cucinato oggi?» le chiesi sedendomi a tavola.

«Pasta fredda con pesto e pomodorini» rispose lei, mentre mi porgeva una ciotola di ceramica bianca piena fino all'orlo.

Vedendola mi si illuminarono gli occhi, e sentii l'acquolina in bocca.

«È tutta per me?»

«Certo. So che ami il pesto, e so che con il caldo ti viene fame!» rispose lei, ridacchiando e sedendosi accanto a me.

«Grazie!» esclamai, e iniziai a mangiare con foga.

«Come è andata la giornata?» mi chiese, mentre metteva in ordine i suoi tarocchi che erano ancora sparsi sul tavolo.

Tra un boccone e l'altro, le raccontai delle lezioni di pittura e di storia dell'arte, della tela che avevo dipinto, promettendole che appena finito di pranzare gliela avrei mostrata, e delle indicazioni della professoressa Morris su come organizzare e svolgere le ore di studio insieme a Riven.

«E la tua giornata? Come è stata?» le chiesi, quando terminai con il mio racconto.

«È andato tutto bene. Stamattina è venuta qui la signora Robin, la moglie del postino. Era da tanto che non mi chiedeva di leggerle le carte, e infatti è stata qui per tre ore buone. Mi ha chiesto un sacco di cose sui suoi viaggi, sui suoi nipoti...» rispose lei, e continuò a raccontarmi della signora Robin.

Quando finii di mangiare, sciacquai la ciotola vuota e la forchetta nel lavello, e poi li riposi in lavastoviglie.

«Ti faccio vedere il quadro» le dissi, andando a prendere la tela all'ingresso dove Ethan l'aveva lasciata.

La appoggiai sul tavolo, e iniziai a scartarla delicatamente. Zia Iris era di fianco a me, che attendeva impazientemente di vederla.
Quando riuscii a liberarla dall'incarto, la alzai davanti a noi.

Zia Iris, appena la vide, spalancò gli occhi e unì le mani sul petto.

«Wow» esclamò sottovoce.

«Ti piace?».

«È... bellissimo. Con questo quadro ti sei superata, Rose!» rispose, avvicinandosi per ammirare i dettagli da più vicino. «Lo appendiamo?» mi chiese guardandomi con i suoi brillanti occhi scuri.

«Certo. Dove vuoi metterlo?»

«In ingresso, ovviamente! È talmente bello, voglio che tutti lo vedano!» rispose entusiasta, voltandosi per aprire il cassetto delle cianfrusaglie e cercare chiodi e martello.

Appena trovò ciò che cercava, prese il quadro che avevo appoggiato nuovamente sul tavolo e andò verso l'ingresso.

In quel corridoio, zia Iris appendeva fieramente tutti i miei lavori che più le piacevano, e quando un nuovo ospite entrava in casa, glieli mostrava con gli occhi pieni di fascino e la voce piena di orgoglio. E io, se ero presente, arrossivo e tenevo le mani dietro la schiena come una bambina imbarazzata.

Zia Iris era sempre contenta di vedere ciò che creavo, e ogni volta che le mostravo qualcosa reagiva estasiata e con entusiasmo. Stando a quello mi aveva sempre raccontato, nessun membro della nostra famiglia ero un'artista, e mi diceva sempre che il mio era un talento speciale donatomi dall'universo, che io sapevo sfruttare abilmente.

La seguii in corridoio, e la vidi martellare sul chiodo che teneva distrattamente tra le dita. Sperai che non si facesse male, come era capitato già altre volte.

«Ecco fatto! Devi smetterla di creare cose così belle, o in casa non ci sarà più spazio!» mi disse dopo aver appeso la tela al muro.

«Grazie» le dissi, con una punta di imbarazzo nella voce.

Era bello sapere che lei apprezzava così tanto la mia arte, ma non riuscivo non sentirmi un po' a disagio quando ricevevo così tanti complimenti.

Sentii il telefono vibrare nella tasca dei jeans.

Lo tirai fuori, e vidi sullo schermo la notifica di un messaggio da un numero sconosciuto. Lo aprii, non sapendo che cosa aspettarmi, e quando lo lessi rimasi perplessa.

"A che ora ci dobbiamo vedere oggi pomeriggio?"

Non feci nemmeno in tempo a chiedermi chi fosse il mittente, che il telefono vibrò di nuovo e un nuovo messaggio comparve sullo schermo.

"Sono Riven."

Alzai le sopracciglia per lo stupore. Pensavo che avrei dovuto telefonare a Mirca per chiederle di dire a Riven di venire da me per studiare, e invece avevo appena ricevuto dei messaggi da lui.

«Da quando Riven ha un cellulare?» chiesi a zia Iris, confusa.

«Oh, da pochissimo. Mirca è andata a comprarglielo ieri mattina, mentre lui era a scuola. Quando è tornato a casa glielo ha dato, e lui ne è stato molto felice!» rispose lei.

Immaginai Riven scartare la scatola con dentro il telefono e reagire stupefatto a quella sorpresa, come se desiderasse davvero averne uno, avverso alle interazioni sociali com'era.
A Redwood non aveva mai avuto un cellulare perché non ce n'era nessun bisogno, ma ero certa che in ogni caso non lo avrebbe mai voluto. Sicuramente Mirca pensava di sorprenderlo e farlo felice con quel regalo, pensando che lo avrebbe aiutato a tenersi in contatto con i suoi amici. Ma quali amici... era meno amichevole pure di una roccia piena di muschio.

«Capisco, non me lo aveva ancora detto. Mi ha appena chiesto a che ora incontrarci per studiare. Può venire qui?» le chiesi, mentre salvavo il contatto di Riven in rubrica.

Ovviamente non me lo aveva detto. Se avesse potuto, probabilmente non avrebbe nemmeno salvato il mio numero, e per lui, come per me, sarebbe stato addirittura meglio non parlarsi proprio. Se mi aveva mandato quel messaggio era solo perché era costretto a farlo. Ma eravamo incastrati in quella situazione, e non avevamo scampo.

«Certo! Può venire qui anche ora, se vuole»

Meglio togliersi subito il pensiero.

Tornai alla chat con Riven, e risposi al suo messaggio.

"Vieni a casa mia. Se ti va, puoi venire anche ora."

Non feci nemmeno in tempo ad infilare nuovamente il telefono in tasca, che vibrò di nuovo.

"Sto arrivando."

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Ciu :3 come state?
Allora... siete curiosi di scoprire come andrà il primo incontro di studio tra Riven e Rose?
In questi capitoli stiamo conoscendo un po' meglio tutti i personaggi, soprattutto Ethan, il ragazzo di Rose. Che ne pensate di lui?
Un abbraccio e al prossimo capitolo! :3

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