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Capitolo VII

Ricordava vagamente qualcuno seduto alla sua scrivania, con lo sguardo fisso su di lui.
Passò la giornata immerso negli abituali impegni. Proseguì con lo stage estivo in banca. Passò presso il negozio di elettronica di fiducia. Prese l'autobus per tornare a casa e durante il tragitto proseguì la lettura in preparazione dell'esame di guida. Presto sarebbe stato diciottenne e si sarebbe comprato un automobile con suoi risparmi. Qualunque modello sarebbe andato bene pur di guidare il più lontano possibile da quella città.
-E poi?- bella domanda.
Giunto alla fermata scese e raggiunse il suo appartamento facendo le scale. Sua madre giaceva addormentata sul divano, davanti alla televisione accesa, mentre suo padre non era ancora tornato dal lavoro. Entrò in camera silenziosamente.
Nessun messaggio, nessun biglietto, nessuna lettera gli era stata recapitata. Leo non si era fatto più sentire...
-Mi ha lasciato indietro- pensò con una nota di rancore.
Non aveva trovato notizie particolari sulla zona in cui lavorava l'amico. Non c'era nulla d'insolito: una tranquilla località turistica, priva di peculiarità. Non sarebbe stato difficile arrivarci.
Il frullar d'ali dello scricciolo gli ricordò il suo nuovo coinquilino, desideroso di far sentire la sua effervescente presenza. Quest'ultimo volò velocemente ad appollaiarsi sulla sua spalla, senza emettere alcun verso.
Un post-it c'era in realtà, su esso stava scritto un "invito" ad andare a far la spesa... Lo levò in fretta dalla porta ed uscì nuovamente con la bestiola sulla spalla. Prese i soldi lasciati sul tavolo. Scese velocemente ed uscì per dirigersi verso il mercato più vicino.
All'interno non c'era molta gente, ma era pur sempre sera e le persone si erano diradate per effetto del caldo afoso e dello smog. Inoltre il suo non era un quartiere particolarmente affollato.
Raccattò tutto quello che era stato appuntato sulla lista, dopodiché si fermò un momento presso la corsia detersivi per guardare il cellulare.
Si diresse verso il reparto animali. Controllò le marche, senza alcuna reale idea di quale fosse la più indicata. Dopodiché si accorse di aver fatto un viaggio a vuoto.
-Gli scriccioli sono insettivori... Sono un idiota-
D'improvviso l'uccellino sembrò allarmarsi e prese a pigolare trapanandogli i timpani. Mentre trillava una scatola di cartone lo colpì sbalzandolo oltre la sua spalla.
Semir si girò cercando il colpevole ma sentì solo un rumore di passi in fuga alla sua sinistra. Poi qualcosa gli entrò in testa.
Un sussurro: così iniziò.
Non c'è alcun motivo di aver paura! Ti ho appena salvato da quel piccolo demonio... E' uno sgherro mandato qui per sorvegliarti.
Non si spaventò. Decise di stare al gioco e conversare. Era curioso.
-Un nemico?- pensò Semir. C'era qualcosa che non andava con il mondo intorno a lui: le pareti sembravano incurvarsi, i contorni delle cose divenivano sfocati.
Poco dopo si ritrovò davanti una strana creatura: alta, scheletrica, dalla pelle nerastra-cinerea. Anche se non sembrava veramente pelle.
Non era frutto della sua immaginazione, non totalmente almeno: l'immagine giungeva spontanea, attingendo dai suoi pensieri, mescolando paure e timori, ma in modo grezzo ed informe.
Era lì, davanti ai sui occhi, immersa in una fitta foschia immobile.
Proprio così: la nemica ha scritto la lettera che ti è arrivata, ha fatto esplodere il tuo computer ed ora non contenta ti sorveglia con un'apparenza innocente.
<<Perciò sarebbe una lei? Tu chi saresti invece?>> Chiese il ragazzo con sincero interesse, girando intorno alla creatura senza però riuscire a vederne il volto, troppo in alto rispetto a lui. Non riuscì a capire se stesse sognando o fosse preda di un allucinazione. Non si sentiva né stralunato, né stanco.
Posso sistemare tutto io. Tu te ne andrai tranquillo e beato per la tua strada! Che ne dici? Consegnamela, o schiacciala finché è KO. Posso lasciarti il ricordo del tuo 'eroismo', se vuoi. Del resto, tu me l'hai portata.
Parlava con un tono bambinesco: tra il lusinghiero ed il poco convinto, tradendosi con alcune note stonate che suonavano in falsetto.
Semir, abituato ad ascoltare la gente, se ne accorse subito.
<<Io non mi sento per niente eroico: gli eroi sono noiosi, con tutta quell'etica ed i principi morali. Inoltre tu non mi ispiri la fiducia che vorresti, col tuo fare accomodante...>>
Sentì la voce dell'altro cambiare, divenendo più ruvida.
..Non essere infantile. L'unica cosa che devi sapere ora è la strada per andartene... Dovrai fartela bastare. Hai la possibilità di uscirne illeso, finché io te lo permett...
Semir colpì con un calcio la gamba dell'essere.
Osservò con attenzione mentre questa crollava, sgretolandosi insieme al resto del corpo... Gli sembrò quasi un costume mal fatto.
<<Chi non ha rispetto degli esseri viventi, ma soprattutto DEI MIEI AMICI, non ne merita.>>
Tra i frammenti della creatura comparve un bambino dalla pelle di un singolare viola scuro, quasi nero: se non fosse stato per la carnagione e gli occhi troppo grandi e troppo scuri, sarebbe potuto passare per un comunissimo marmocchio o una marmocchia di dieci anni o poco meno.
A Semir sembrò piuttosto spaventato: colto impreparato aveva un espressione magnifica. Prima che potesse reagire gli piantò le mani sulle piccole spalle, tenendolo fermo saldamente.
<<Sai che non mi piace chi si nasconde? Sei come un bullo ai miei occhi. ORA che posso guardarti negli occhi, ripeti ciò che mi hai detto, insinuazioni e minacce. Scommetto che la paura che volevi infondermi con quel travestimento non sfiora nemmeno quella che provi adesso...>> Un dolore orrendo minò le sue intenzioni più bellicose: gli aveva tirato una ginocchiata sulle palle.
Semir si ritrovò da solo nella corsia del supermercato, con un forte e decisamente reale dolore all'inguine. Il bambino era sparito.
Cercò con gli occhi lo scricciolo, senza trovarlo. Vide invece qualcosa che trovò poco rassicurante. Gli scaffali in tutto il negozio si agitavano tremolando, come se dovessero staccarsi da terra... E pian piano ci stavano riuscendo, scricchiolando rumorosamente nel sollevarsi. Prima di chiedersi il perché di tutto, ciò si mise a correre, raccogliendo il... la piccoletta che trovo tramortita, dietro l'angolo, a pochi metri di distanza. Appena ebbe superato gli scaffali questi sbatterono con violenza tale da compattarsi, producendo un forte schianto. Sentì qualcosa colpirlo alla gamba. Continuò a correre. Cercò l'uscita ma non la trovò.
Cigolii di ruote e metallo.
Fece appena in tempo a buttarsi a terra schivando una catena di carrelli e cesti della spesa. Con l'aiuto dell'adrenalina si rialzò, ricominciando a correre e schivare, quando poteva, oggetti più o meno pesanti ma sparati ad alta velocità e perciò potenzialmente pericolosi. Poco a poco senti il dolore alla gamba infittirsi. Proprio nel momento in cui avvistò l'uscita si accorse di essere intrappolato: vari articoli di consumo gli ostruivano il passaggio, mentre due grossi scaffali (cancelleria e giocattoli) si avvicinavano per schiacciarlo tra loro. Corse zoppicando verso lo sbarramento ma incespicò e rovinò a terra. Sentì un tonfo smorzato sopra di lui.
Si arrischiò ad alzare lo sguardo: davanti a lui un groviglio umanoide, fatto di piume e sangue bloccava la collisione, tenendo entrambi gli scaffali distanziati con la sola forza delle braccia. Ancora stordito si sollevò e corse verso l'uscita. Sigillata. Imprecò sonoramente e mentre ancora si sfogava venne schiacciato contro la porta.
Una voce acuta gli urlò di levarsi di torno. Ubbidì: poco dopo al posto della porta c'era solamente un'apertura da cui erano spariti persino i cardini. Fu afferrato e non poté far altro che correre, per evitare di essere trascinato sull'asfalto. Si mosse senza sosta, giudicando che l'endorfina e l'adrenalina stessero facendo un lavoro magistrale: si sentiva lucidissimo e non avvertiva più fatica e dolore. Non ancora.
Improvvisamente si fermarono. Si ritrovò a terra, ansante e grondante di sudore. Per un momento non riuscì a vedere niente né a muoversi, poi l'apporto di ossigeno si regolarizzò a livelli tollerabili e la vista tornò. Cautamente provò ad alzarsi, badando alle proteste della milza e delle gambe che in quel momento gli sembrarono fatte di gomma. La destra poi bruciava da morire.
La vide.
La sua salvatrice era appoggiata al muro, anch'ella col fiatone, il viso coperto da un groviglio di boccoli color sangue.
Semir provò a parlare nonostante l'affanno, avvicinandosi con cautela: <<Ti ringrazioh!>> sgranò gli occhi imbarazzato. Non se n'era accorto prima. O comunque aveva dato la priorità ad altro. Dello scricciolo erano rimaste ben poche piume, impastate tra sangue e pelle, sul corpo nudo della ragazza che ora gli si parava di fronte.
Senza tanti complimenti quest'ultima gli pose una mano tra collo e mento, senza però premere troppo sulla laringe, sollevandolo da terra. Lo esaminò e... Lo annusò!?
<<A posto.>> fu il suo responso. Lo lasciò ricadere malamente.
<<Muoio di fame! Tu col tuo mangime... UFFA!>>
Gli offrì una mano per rialzarsi e lui si sollevò, senza parole. Lei lo spaventava leggermente... Era decisamente troppo forte per il suo piccolo corpo.
Sotto ordine della ragazza si misero in cammino, uno accanto all'altra passando tra gli edifici. Una normale passeggiatina delle undici.
Qualcosa non tornava nel percorso. Semir si accorse che le stradine non si interrompevano mai: parevano continuare all'infinito, senza mai confluire nella strada principale o in vicoli cechi. Dopo aver seguito le indicazioni -non senza palese meraviglia- Semir decise di porre una semplice domanda. Con cautela ed utilizzando il tono più carezzevole di cui disponesse, chiese:<<Dove stiamo andando?>>
<<In un posto più sicuro.>> lei si guardò addosso <<Magari un negozio di vestiti.>> rise rumorosamente, con spontaneità e senza tante cerimonie.
Quel suono singolare e poco melodico lo rallegrò.
Si ritrovò ad esaminarla, tanto per tenersi occupato ed ignorare il dolore. La cosa che lo colpì di più, dopo gli occhi, fu lo scuro rosso cremisi dei capelli: spettinati, con qualche boccolo qua e la ancora intatto, scompigliati e sporchi, ma comunque belli e... caratteristici. Dava l'idea di un pulcino appena uscito dall'uovo. Sangue a parte.
<<Ti piace quel che vedi?>> chiese lei, notando il suo sguardo con vago compiacimento.
Semir non si scompose particolarmente:<<Hai dei bei... Capelli.>>
<<Ah, è così? Una ragazza au naturelle non ti fa nessun effetto? Non badare al sangue...>> ne tolse un po' dal viso, per poi leccarlo via dalle dita.
<< Ho dovuto cambiare forma velocemente. Non è stato piacevole.>> pigolò.
<<Stai bene...?>> Lei annuì.
<<Alla gamba pensiamo tra poco, tranquillo.>> non aveva granché scelta. Per ora poteva sopportare.
<<Sarà una domanda inappropriata, visto il momento ma... Ti piacciono i maschietti?>> Semir arrossì vistosamente. Non fu tanto per la domanda, quanto per la spontaneità con cui era stata posta: priva di sarcasmo, malizia o... Diffidenza. Tentò di darsi un contegno, alzando le spalle.
<<Mmm, allora com'è il repertorio maschile da queste parti?>> chiese lei. Pareva avesse colto la sua reazione. Il suo tono non era mutato. Forse fu questa schietta tranquillità a rilassarlo ed a permettergli di rispondere in modo sincero, seppur cauto e timido:<<Scarsino in realtà. I pochi appetibili sono troppo presi con le fidanzate e pieni di pregiudizi.>> La sentì ridacchiare: aveva una voce acuta, infantile ed esotica, della quale non riuscì ad identificare l'accento.
Egli proseguì, laconico:<<Una volta ci ho provato con un mio amico... È stato chiarissimo nel rifiutare ma almeno non mi ha ferito. Non troppo. È stato uno sbaglio rischioso: l'amicizia vale molto di più dell'amore.>> forse ora si stava sbilanciando un po' troppo.
Lei non disse nulla: proseguì, assorta in qualche meditazione. Dopo un po' svoltarono bruscamente, entrando di forza in un negozio di abiti di seconda mano.
Stranamente l'allarme non suonò. Semir cominciò a credere che non fosse stato un caso.
Lei sembrò notare i suoi dubbi<<La verità, tutta insieme, ti scombussolerebbe. Facciamo un po' alla volta ok?>> si guardarono negli occhi per un momento, poi cominciarono a perlustrare il negozio.
<<Ti consiglio di trovare qualcosa anche per te: non ci fermeremo molto spesso.>> aggiunse, scomparendo in mezzo agli appendiabiti (non era molto alta). Lui si chiese dove volesse portarlo.
<<Abbastanza lontano... Dal tuo amico. Leonard La Reine. Non ci sono molte altre possibilità. Se anche tornassi a casa non avresti un attimo di pace. I tuoi non avranno problemi, finche sei lontano, tranquillo.>> non lo rassicurò per niente.
Perciò adesso era un fuggiasco? Scappato di casa per andare chissà dove. La cosa non lo disturbava particolarmente: presto o tardi se ne sarebbe andato comunque.
Decise di porle alcune domande.
<<Sei tu che mi hai scritto la lettera? Parlavi di Leo, vero? Cosa sai di lui? Cosa gli è successo, anzi cosa sta succedendo in generale?>> si vergognò, conscio di aver chiesto troppo, tutto insieme.
Dopo qualche secondo la senti parlare:<<La lettera non è stata un'idea mia, ma sono stata io a consegnartela; serviva a distrarre l'entità che ti ha attaccato poco fa. Un essere capace di manipolare gli oggetti e le menti... Ma comunque non molto furbo. Il linguaggio sibillino del nostro messaggio doveva essere una semplice distrazione per esso. Ti stava tenendo d'occhio da un po'. Per il rest...>> sbucò fuori dai mucchi di abiti come un piccolo suricata e lo spinse con foga verso i camerini, chiudendosi con lui in uno di essi.
<<Ci sta cercando. Per ora non sa dove ci troviamo, ma cerca di farci uscire allo scoperto.>>
Non aveva avuto il tempo di indossare altro che una felpa di parecchie taglie più grande. Sotto di essa, tremava.
Semir si appoggiò alla parete di legno cercando di calmarsi, ma la tesa atmosfera glielo impedì. Dopo qualche istante percepì un forte aroma di cenere profumata spargersi nell'aria. Lo trovò gradevole. Era lei ad emanarlo. Trovandosi in uno spazio stretto lo sentì forte ed intenso.
La osservò. A dirla tutta, nonostante la sporcizia ed il sangue secco, immersa in quella felpa abnorme era quasi carina.
Decise di riavviare la conversazione:<<Che situazione equivoca...>> disse in un falsetto forzato.
Ella rise nervosamente ma continuò ad agitarsi, stringendosi la testa tra mani, piegata in due. Sembrava stesse soffrendo. <<Vuole... Stanarmi... Non ho speranze... Mi conosce... Io sono>>
"Sua"
La voce gli risuonò direttamente in testa.
"Magari potresti consolarla"
<<Non concentrarti sul pericolo... Anche se ci cercano, non ci troveranno.>> Le parlò ancora, con dolcezza, senza però dir nulla di particolarmente incoraggiante.
Cosa conosceva di lei, del resto? Come poteva consolare qualcuno di così ignoto?
Alla fine decise di accostarsi a lei, porgendole il braccio perché vi si appoggiasse. Ella si aggrappò ad esso stringendo forte e poco per volta smise di tremare. Le sue mani erano calde in maniera appena sopportabile. Pareva stesse bruciando dall'interno.
<<Mi chiamo Semir, ma ora che ci penso immagino che tu lo sappia già... Vorresti... Raccontarmi di te?>> lei lo guardò perplessa, come se le avesse posto una domanda inusuale, così aggiunse:<<Vorrei conoscerti un po'... Visto che mi hai salvato.>>
<<Io sono... Qualcosa che tu non potresti capire... È una cosa normalissima. In tanti anni nessuno ha mai provato a comprendere. Puoi aiutarmi senza farti troppe domande, sarebbe più facile per entrambi.>> sospirò lei.
Semir si accigliò ma non si mosse. Dopo alcuni minuti di silenzio teso rispose:<<Non credi di essere presuntuosa? Potresti darmi la possibilità di capire almeno?>>
"Tu sei uno scettico, un amante della normalità. Ammetteresti nella tua vita ciò che va fuori dall'ordinario comune, un elemento atipico?"
Si sporse verso di lei guardando nel tramonto dorato di quegli occhi.
<<Ascolta un po'. Lo scetticismo per me è solo un buon filtro da applicare al ragionamento. Ciò non mi limita mentalmente. D'altra parte, pensare che qualcosa non possa avvenire o esistere solo perché non siamo capaci di immaginarcela è da coglioni, scusa il francesismo. Le cose avvengono senza l'approvazione umana: a noi sta solo accettarle.
Parliamo di ordine: mi piace, sì, ma ciò non significa che io dipenda da esso! Amo gli schemi precisi ed ordinati, la fatuità di una condizione destinata a terminare.>> si schiarì la gola <<Veniamo a te... Sei strana? Sono contento che tu sappia di esserlo, che ne sia consapevole... Tutti i giorni vedo persone strane girare per le strade nello strenuo tentativo di uniformarsi alla consueta bizzarria, giudicata da tutti come "la normalità". >> fece un gesto teatrale coprendosi gli occhi e portando una mano in alto con il palmo in su:<<Eppure non ho ancora visto persone normali. Ne ho viste di simili, mai di uguali; di finte ed ipocrite a frotte... Segregate nella routine, tra convenzioni vecchie e nuove, belle e brutte. Non è normalità questa, solo banalità: una rispettabile scelta di vita. Credimi però se dico che non c'è solo questo, pensarlo significherebbe far di tutta l'erba un fascio. Per dirti tutto quanto c'è da raccontare... Mi ci vorrebbe l'eternità. Cosi è. Deliziosamente strano, come un meraviglioso quadro iridescente.>> riprese fiato <<Non liquidarmi con un 'non potresti capire', per favore! Pur in mezzo al pericolo, lontano da casa... Dalla famiglia che amo... Io voglio sapere. Non potrei accettare il torto del tuo silenzio, non se si tratta del mio più caro... Amico.>>
La figura nel buio a fianco a lui avvicinò il viso al suo per scrutarlo, solleticandogli il naso con i ciuffetti spettinati. Vagò nella buia profondità degli occhi del ragazzo. Lui fece lo stesso. Sul volto della (molto) giovane donna era nata un espressione di sincero stupore e persino sollievo...
Era davvero strana. Guardando in profondità, a Semir parve di scorgere le tracce di un vissuto incredibilmente lungo dietro quelle fattezze giovanili.
La ascoltò parlare:<<Non saprei da dove cominciare... Mi conosci da così poco eppure sembri così fiducioso, mi parli così apertamente, con franchezza. Non ne afferro il motivo.>>
Semir fece spallucce:<<Sarà l'adrenalina, o forse solo la mia stupidità. Ho taciuto troppo spesso, riguardo i miei pensieri. Volevo solo farti capire che posso accettare ciò che mi dirai, per quanto improbabile possa apparire. Valuterò se crederti o meno, certo, ma prima devo ascoltarti... Hai la mia attenzione.>>
Ella annuì e rispose lentamente:<<Cercherò di non essere prevenuta, almeno con te. Te lo devo, suppongo.>>
Semir si mise comodo e stette a sentire, paziente.
<<Io non ho un nome a differenza tua. Detto semplicemente... Sono un ombra.>>
<<Non in senso letterale. Vero?>>
<<Più o meno. Sono una proiezione fisica e psichica di una forma tangibile, un frammento di personalità con fattezze fisiche e caratteristiche psicologiche appartenenti alla propria origine: la persona a cui appartengo sta lentamente perdendo se stessa ed io sono uno dei frammenti della sua personalità. Lei non sa di me...>>
<<Mi sembri più di un'ombra. Comunque, chi ci sta cercando è la persona di cui parli, per caso?>>
<<Sì, ma non spontaneamente. Qualcuno la sta usando: usa il suo corpo per fare i suoi porci comodi. Temo i suoi piani, Semir. Io non voglio sparire: non voglio che lei sparisca.>>
Il ragazzo la guardò con un ultimo interrogativo in testa: lei chi? La ragazza senza nome aggiunse:<<Si chiama Ambra e per alcuni versi potrebbe dirsi una ragazza normale. Solo per alcuni versi.>>
Si alzò ed aprì lo sportello del camerino. A vedere la sua rinnovata calma, sembrava che il pericolo fosse momentaneamente cessato. Gli fece cenno di seguirla.
<<Perché tu sia al sicuro dovrò tenerti d'occhio. Sei troppo scosso. Emani stupore, agitazione, euforia e pensieri. Flussi sconnessi ma comprensibili... E rintracciabili. Lei come me può interpretare la tua attività cerebrale.>>
<<A me è parso che fossi tu quella agitata.>>
<<Avevo paura, sì.>> Parve abbattersi leggermente.
<<Allora vediamo di stare calmi entrambi.>>
<<Ottimo.>>
<<Potete leggere nel pensiero?>>
<<Naaah. Percepiamo le emozioni intense e le decodifichiamo, aiutandoci con le emanazioni e le secrezioni ormonali più evidenti. Non è proprio la stessa cosa.>> Semir annuì con il mezzo sorriso di chi ascolta una lingua ignota ma non vuol fare una figura troppo brutta.
Lei gli assicurò che avrebbe evitato di "leggerlo". Probabilmente mentiva.
Entrambi si diedero una lavata con una doccia di fortuna (il tubo, rotto sul momento, di un lavandino).
La cosa non piacque a lui (l'acqua era gelata) quanto divertì lei. Dopo un po' anche Semir riuscì a ridere.
Mentre si vestivano, dandosi le spalle, Sem ebbe un pensiero.
<<Posso darti un nome?>> lei arrossì, grata del fatto che Semir non potesse vederle il viso. Quando lui si girò ella fece spallucce, cercando di nascondere il rossore delle guance.
<<Che ne dici di Wren? Significa scricciolo, in inglese: penso che vada bene per entrambe le tue forme.>>
Un verso non identificato.
<<Scontato. Non mi piace.>> Semir ci pensò su.
<<Lily? Lilith?>>
<<Non mi piace il primo. Troppo pacchiano il secondo..>>
Lui sbuffò, pentendosi di essersi offerto.
<<Gertrude?>> rise vedendola alzare il dito medio e continuò a punzecchiarla.
Alla fine propose il nome di sua madre.
<<E' perché rido spesso?>> lui non disse niente, sorrise e basta.
<<Ilaria va bene... Mi piace.>>
La guardò mentre finiva di vestirsi e poi mentre si asciugava meglio che poteva i capelli. Quasi tutti gli arti presentavano cicatrici invecchiate e sbiadite. Qua e là si vedevano segni di bruciature.
<<Ne avete passate tante... Tu ed Ambra. Cose brutte intendo... Sbaglio?>> chiese Semir con voce grave, affrettandosi però a scusarsi per l'indiscrezione. Lei aveva notato il suo sguardo.
<<Ne ho anche qua sotto, sai?>> fece scendere la mano sinistra fino ai pantaloncini.
Semir fece un sorrisetto vago, ribattendo.
<<Sotto il pannolino?>>
<<Assorrate.>>
<<Niente sorelle... Sul serio, sei "piccola".>>
Ilaria scosse la testa:<<Solo esternamente. E tu sei proprio gay.>> ignorò il suo tentativo di rispondere e continuò:<<Mi pare scontato dirlo, ma la condanna della la vita è la sofferenza. Non ti stupire delle cicatrici, che siano fisiche o meno.>>
<<Forse la tua Ambra è semplicemente stanca di ricevere nuove ferite.>>
Lei scosse la testa. Lo guardò mestamente. <<La sua fragilità non sta in quello. Qualcosa cerca di contaminare l'ardore della sua forza, aggrappandosi ai suoi dubbi ed alle sue idiosincrasie: in questo modo sembra che sia tutta un'idea di Ambra.>>
<<Una sorta di subdola possessione, come nei film?>>
<<Già, ma l'acqua santa non servirà.>>
<<Leo cosa centra in tutto ciò?>>
<<Sinceramente credo che il tuo amico sia solo un cinico coglione... Ma ad Ambra piace: il conflitto emotivo potrebbe farla rinsavire nel caso l'affrontasse. Egli è abbastanza distaccato da non ferirsi troppo e vicino il giusto per aiutarla. O meglio, questo sarebbe il piano se lui non se ne fregasse di lei.>> fece una smorfia ed un cenno a Semir <<L'idea di implicarti è stata di una persona che sembra conoscere Ambra e Leonard. Non so molto altro di lei, a parte che fa paura... In effetti preferirei non parlarne.>>
<<Hai iniziato tu.>> osservò lui: Ilaria alzò le spalle. Cambiarono discorso.
<<Una cosa: questa entità, a cui la tua origine è soggetta, ha già fatto del male a qualcuno?>>
Lei si morse il labbro.
<<Non male fisico... diretto.>> rispose alla fine. Non ancora.
Ella spalancò la porta del bagno, e si fermò, dandogli le spalle.
<<La mia Ambra non potrebbe sopportare nemmeno l'idea di far soffrire i bambini. Non posso parlare per l'essere che la manipola. Non lo capisco e francamente, non voglio. Ci ha separate... Spero solo che il tuo amico si svegli a far qualcosa.>> l'ultima frase risuonò, colma di rabbia accumulata.
Per un po' rimase solo, dopo essersi asciugato e rivestito (aveva preso 'solamente' un ricambio, rammaricandosi un po' del furto). Pensò all'amico di una vita, ora probabilmente in pericolo, sempre che le parole di Ilaria fossero veritiere.
Leo poteva essere una persona incredibile, con la giusta spinta. La maggior parte delle volte però, era semplicemente una persona triste. Intelligente e dolce, ma fragile e mellifluo. Nonostante il suo apparente anticonformismo tendeva ad essere trascinato dalla corrente, o a lasciarsi trascinare..
Non dubitava che stesse lottando, nel suo modo così insolito, o che avrebbe agito. Si chiedeva solo quanto potesse fare. Non che lui avesse granché altro nel repertorio.
Uscì dal bagno. Ilaria gli si avvicinò frettolosamente, dandogli modo di capire che era ora di andare. Lui le porse la mano, decidendo di darle fiducia. Lei lo abbracciò direttamente, senza cerimonie. Si mossero insieme guidati dall'improvvisa esplosione di colori nella stanza. Scomparvero, lasciandosi dietro qualche vetro rotto ed un po' di confusione tra gli scaffali. Viaggiarono per un po', scivolando in mezzo a tracce di colore e attimi di buio totale.
Semir si trovò a pensare che avrebbe potuto lasciare dei soldi per ripagare i danni.
<<Se guardi nell'abisso...>> scherzò lui a bassa voce, scrutando le strisce di tenebra intorno a loro.
<<L'oscurità non è male.>> osservò Ilaria, pensierosa.
<<Era solo per dire...>>

Letizia e l'incubo del nonsense

Era tutto buio. Maledettamente buio... Immaginava di essere cosciente ma non vedeva nulla, nonostante gli occhi sgranati.
Si sollevò, mettendosi seduta, sentendo un attenuato dolore presso la spalla. Per un istante le apparse l'immagine di una mano ampia, che scendeva verso le sue gambe...
Scosse la testa, sentendola dolere: doveva averla battuta per bene, cadendo a terra. Si alzò in piedi, tremando leggermente. Doveva riacquistare il controllo al più presto, ma per adesso si sentiva fin troppo stordita.
Non accennò nemmeno a sfiorare la porta: si avvicinò al letto, appoggiandosi sul muro mentre camminava. Non riusciva ad orientarsi nel buio. Solo il suono dei suoi passi le sfiorava i timpani.
Trovò a tastoni un lenzuolo scomposto. <<Dove sei, Bra?>>.
-Dove sono io?- la seconda domanda le giunse ancor più spontanea.
No, non c'era tempo per gli interrogativi. Era nella sua camera, ovviamente. Prima di tutto cercò il telefono per contattare la segreteria. Sparito. Ok... Incominciò a muoversi a tastoni, sfruttando l'acutezza da poco acquisita dei quattro sensi rimasti a sua disposizione. L'ambiente le apparve inalterato, ad esclusione dello specchio in bagno, ridotto in un ammasso di cocci penzolanti.
Per qualche strano motivo l'occhio cominciò a farle male.
Raccolse da terra uno dei frammenti, lasciandolo subito ricadere. Tastando i rimasugli appesi all'intelaiatura dedusse che doveva essere stato colpito con forza. Forse con un pugno, viste le tracce di sangue secco. Nel cestino del bagno trovò un flaconcino per medicinali.
Merda. Ambra aveva avuto una crisi? Probabile.
I suoi sbalzi d'umore tendevano ad essere distruttivi...
Ritornò in camera e notò che la finestra era aperta.
L'aria all'esterno recava un leggero sentore che le ricordava la sorella:<<Di nuovo in giro a fare la scimmia sui cornicioni...>>. Normalmente la cosa non l' avrebbe turbata, ma era sicura di non trovarsi in una situazione normale. Sua sorella si trovava chissà dove, probabilmente intenta a creare problemi. Lei era chiusa in camera, incapace di intervenire.
Fece per girarsi ma poi cambiò idea.
-La porta non si tocca-
Pensava di essere abbastanza agile per calarsi all'esterno... Ma nel buio? Entrò nuovamente nella stanza da bagno e raccolse uno dei cocci, ignorando il dolore che partiva dallo zigomo fino al sopracciglio. Tornata alla finestra lo scagliò fuori. Non sentì alcun rumore di sotto.
Si avvicinò al davanzale fermandosi di colpo, allarmata dal tipico sibilo di un oggetto in caduta. Solo che questo si avvicinava dal basso, invece che cadere dall'alto.
Sopra di lei, più o meno dove avrebbe dovuto esserci la terrazza, sentì il rumore di un vetro sgretolato: come se qualcosa stesse masticando il coccio. Sporse la testa nel buio impenetrabile, ignorando la totale contrarietà della sua mente. Il rumore era cessato.
Qualcosa le sfiorò i capelli.
Lei arretrò di scatto.
Vieni bella signorina. E' facile. Devi solo buttarti: ti romperai in tanti pezzi, come questo vetro, QUESTA VOLTA PER DAVVERO.
<<Sti cazzi.>> Chiuse violentemente la finestra.
Si avvicinò alla parete di sinistra rispetto alla finestra, pensando al da farsi.

Poteva permettersi di urlare? Diede una sbirciata alla finestra.
Nessun movimento.
Una luce bianca ed intensa la abbagliò. Si fece nuovamente buio ma non per molto: una sequenza di flash la accecò costringendola a coprirsi gli occhi. Dopo qualche secondo la luce si fece fissa. trasformandosi un lume soffuso, simile alla luce del tramonto. Qualcos'altro inoltre era cambiato: la parete che separava la sua stanza da quella adiacente era sparita.
La scarsa illuminazione le permise, una volta entrata, di guardarsi intorno con circospezione. L'interno non variava molto rispetto a quello del suo appartamento: due letti di media grandezza con le coperte abbandonate a terra, un comodino con sopra un abat-jour impolverata, un bagnetto pulito ed anonimo. Anche qui nessun telefono. In più un cucinino scarsamente attrezzato e qualche quadro. Silenzio tombale. Guardò in ogni angolo senza trovare nessuno, nonostante sui materassi si notasse ancora impressa l'impronta dei corpi. Quella stanza era stata certamente abitata.
Non aveva mai visto nessuno uscirne. Ne dagli altri alloggi.
A dire il vero i bambini le erano parsi gli unici veri ospiti all'Impression.
Le era capitato di parlarne con il personale del residence, ottenendo spalle alzate e risposte vaghe. L'unica spiegazione decente le era stata data da un facchino che la guardava come fosse una pornostar.
In sostanza gli adulti non si muovevano dalle stanze. Un fenomeno curioso se esteso a tutto un albergo.
-Che vogliano la loro intimità?- scosse la testa, sospirando. La verità era un'altra, e lei ne era a conoscenza. Cosa stava combinando sua sorella?
A questo punto immaginò di poter controllare tranquillamente le altre camere (se aperte), vista la situazione. Non vedeva alternative. Tentò nuovamente il trucco della parete, schermandosi prontamente gli occhi, ma questa volta non funzionò. Poteva tornare indietro ma non proseguire... Non in quella maniera.
Si diresse verso il suo esiguo bagaglio, estraendo dei vestiti comodi ed indossandoli insieme ad un paio di scarponi. Trasse a sé il pugnale in ceramica regalatole dalla madre: uno dei pochi favori che le doveva...
Ripensandoci l'immagine della donna che le aveva dato la vita stava sbiadendo nella sua memoria, ad una velocità allarmante... Non lei. Mai avrebbe voluto o potuto dimenticarla. La sua fine dolcezza, l'intelligenza... L'omertà ed il menefreghismo. Desiderava conservare tutto questo di lei.
La finestra era nuovamente aperta.
Che cosa c'era là fuori? Un mostro? Ne aveva incontrati, di quelli. Il primo dei tanti aveva messo in cinta sua madre. Fortunatamente una sola volta. Letizia lo riteneva uno dei tanti stronzi privilegiati dal fato.
"Solo semplice ed indifferente susseguirsi di eventi, questa è la vita: causa ed effetto, nessun fine ultimo o primo. In soldoni, il destino non c'entra una beata minchia."
Che?
"E proprio in questo sta la fregatura: non c'è morale univoca che tenga, le cose avvengono e basta. La vita avanza senza logica, giustizia o fine che non sia l'autoconservazione. Uomini e mostri dominano indistintamente..."
-Ti prego, risparmiamelo. Pensavo che non volessi più parlarmi.-
"Ci manchi, di qua, bellezza. Il tuo viso incazzoso terrebbe su il morale." una pausa "Ambra sta peggiorando. Non è il suo disturbo... Qualcuno sta cercando di controllare le sue azioni. Una specie di parassita o qualcosa del genere."
-Precisa, come al solito.-
Letizia deglutì lentamente e pose una domanda, fuori dalla sua testa:<<Sono morta? Posso ancora raggiungerla?>>
"Chi lo sa... Chiaramente in quel bagno hai avuto un' illusione, nulla di più. Beh, anche un bello shock. Il tuo cuore potrebbe aver ceduto. O no. In ogni caso sei finita in un luogo differente. Ti ricordi quello che ti ho spiegato su di lei..."
Annuì, svelta.
-Si, si. Niente poemi per favore. Ho mal di testa e tu non aiuti, Sofi. Sei in contatto con qualcuno oltre a me?-
"Due persone. Non posso dirti di loro... Sai, nel caso tu ti faccia catturare..."
-Catturare?-
"Fossi in te alzerei le chiappe. Il piccolo stronzo ti sta cercando. Poco alla volta sta imparando a muoversi qui dentro, a rompere le barriere di questa realtà. Non capisco... Lei non sembra porre alcuna resistenza."
-Comunque non dovrebbe essere pieno di gente qui? Quelli che spariscono dall'altra parte...-
"Non giro spesso da queste parti, ma credo che siano già stati digeriti. Oppure si nascondono. Io ti consiglio di uscire: qui non posso far nulla, né coprirti né..." la voce si spense.
Letizia fece un lungo sospiro. La sua informatrice sembrava avere problemi di trasmissione.
Prese anche il suo vecchio mazzo di chiavi (conservava anche quello, ma non certo per tornare a casa) ed una borsa sgualcita. Non si sentì per niente pronta ma uscì lo stesso, usando, per scaramanzia, la porta dell'altra stanza.
Il corridoio vuoto e tetro l'accolse, avvolgendola con il suo freddo saluto.
In libri e film gli autori si sbizzarrivano per dare a dimensioni come questa nomi semplici ed eleganti, allo scopo d'incutere timore con una sola parola: inferno (o inferi, anche se non si tratta propriamente della stessa cosa), aldilà, aldiqua, oltre, altrove. Lei si era immaginata una definizione molto più schietta ed adatta alla gente comune: "Il puzzolente postaccio". Con gli anni e col calare della sua, precedentemente inculcata, fede religiosa, aveva adottato questa formula quasi come una battuta, nonostante una parte di lei ancora ci credesse. In lei avevano dominato logica e materialismo.
Poi erano arrivate Ambra e qualche anno dopo, Sofia. Una bambina indomabile, instabile, pericolosa e mezza gattara ed una vocina nella sua testa, fin troppo indipendente. Una vocina molto interessata alla sua nuova sorellina acquisita. Non ne aveva mai parlato con Ambra. Lei non sembrava saperne niente. La loro presenza aveva fatto vacillare molte delle sue convinzioni e probabilmente, la sua sanità mentale.
Si incamminò, controllando stanza per stanza. Tutte aperte ma vuote. Ovunque, un sentore di malinconica mancanza. Di quando in quando vedeva pareti quasi completamente ricoperte di impronte nerastre.
Proseguì verso l'ala opposta ma non vi trovò nessuno... Scese lungo la rampa di scale. Un dettaglio curioso le rimase impresso durante l'esplorazione: in tutte le camere, documenti e fotografie erano spariti insieme ai loro proprietari.
Esplorò a fondo l'ultimo appartamentino. Stava per uscire quando sentì squillare un cellulare da qualche parte. Proprio di fianco a lei c'era uno sgabuzzino che non aveva notato entrando. Nelle altre suite non ce n'erano di simili.
Oltre la porticina trovò un telefonino malconcio ma funzionante ed alcune ragnatele che si curò subito di distruggere.
Fortunatamente non era stato inserito il blocco schermo. La schermata mostrava una conversazione ancora aperta, fra i messaggi.
"Non mi sto divertendo molto, non ho niente da fare a parte chattare con te."
"Esci all'aria aperta invece di fossilizzarti al chiuso" il messaggio si chiudeva con un'emoticon seccata.
"Sono troppo sciupato, non ne vale la pena."
"Sciupato? Mandami una foto, che voglio ridere"
"Va bene, va bene, aspetta..." Seguiva un selfie sfocato, fatto in fretta e furia. Raffigurava un tipo smunto, dal colorito quasi cereo, vagamente sorridente.
C'era qualcuno alle sue spalle... in ombra presso l'entrata; sul pavimento sedeva un grosso cane dalla pelliccia scura, sporca, le possenti mascelle aperte, la lingua penzolante. Aveva già visto quel cane.
La conversazione proseguiva con altri due messaggi, rimasti senza risposta.
"Hai preso un cane? Non pensavo che li lasciassero tenere..."
"Ehi, mi rispondiii?"
Tenne con sé l'apparecchio e tornò al corridoio, pensosa.
Una voce bisbigliò, da qualche parte. Bene.
Sentì dei passi marcati e pesanti venirle incontro. Benone...
Uscire dalla finestra l'avrebbe condotta ad un volo di circa sei metri, ma il vero problema era il funzionamento della gravità là fuori. Che il suo inseguitore l'aspettasse sul pianerottolo era più che scontato. Decise di andare verso il pericolo a testa bassa.
I passi si fecero sempre più vicini, eppure non vide nessuno davanti a sé. Raggiunse le scale e frattanto sentì avvicinarsi sempre di più... Qualunque cosa fosse.
Improvvisamente sentì un forte colpo sulla schiena e cadde carponi.
-Oh, gioca sporco, il bastardo-
Una forza invisibile la sollevò da terra. Si abbatté sul suo stomaco, mozzandole il fiato... La lasciò cadere sul pavimento, ansante.
Provò a sollevarsi con fatica, tentando nel mentre di riprendere a respirare regolarmente.
A qualche metro di distanza un'alta figura umanoide torreggiava su di lei e ciò che la circondava, rivolgendole uno sguardo sprezzante. Non poteva permettersi di affrontarlo con il fiato corto...
<<...Chi sei?>> domandò nella speranza di prendere tempo.
La sagoma la squadrò e dopo qualche istante rispose con una voce vagamente familiare.
Voi non ci avete mai dato un nome vero... Eravate troppo impegnati a ripulire la vostra sudicia terra da ciò che non vi piaceva. Ormai neppure noi ricordiamo più come ci chiamiamo.
Vedendolo venire innanzi, chiese:<<Voi chi? 'Ndo so' iti tutti? 'Ndo sta mi sorella?>> sentì un suono disarticolato e raccapricciante, una sorta di dissonante risata vetrosa.
<<Sai qualcosa che la riguarda?>>
Ne so abbastanza in effetti. Me ne sto prendendo cura io.
Emise di nuovo quel suono macabro. Si arrestò di colpo.
Non sono sicura che mi piacerà finirti... Ma rischi di crearmi problemi. Non posso farci niente.
Letizia sentì i polmoni svuotarsi ed il fiato abbandonarla. Una morsa tremenda la stava stritolando. La sollevò da terra e continuò a comprimerle il torace, inesorabilmente. Sentì le costole protestare con tanti scricchiolii dolorosi... Innumerevoli puntini le comparvero davanti agli occhi e la vista le venne meno per la mancanza di ossigeno. Il pensiero continuò a vagare come un ultimo fugace delirio, fino a ritrovare l'immagine della sua preziosa Ambra... Correva a piedi nudi in mezzo alla nebbia, verso di lei... Lentamente vide la sua figura esile delinearsi nella pallida luce. Era così felice di vederla, come al solito allegra ed esternamente, felice.
Lo scenario cambiò d'un tratto.

La ragazzina le stava di fronte adesso, ma era seduta sul bordo di un water, le braccia appoggiate pigramente sulle gambe insanguinate, il corpo sudicio, coperto solo da una felpa logora e la pelle color caffelatte tappezzata di lividi, tra i quali spiccava un gonfio occhio nero. Il cubicolo era aperto e Letizia era semplicemente entrata senza aspettarsi quell'immagine: la vide seduta lì, lo sguardo basso, stanco e assente.
<<Mi lasci cagare in pace?>> mormorò la ragazzina.
Letizia ammutolì. Non voleva andarsene. Curiosità e pena la trattenevano.
<<Non mi sembra che tu stia molto b...>> la rossa sollevò un po' la testa.
<<Come sto sono cazzi miei.>> fece per alzarsi, ma Letizia le sbarrò la strada, con un forte peso a premerle nel petto. Quella annuì.
<<Va bene. Fuori i soldi. Poi giù le mutande. Non ho tutto il...>> il primo impulso che la donna provò fu quello di mollarle uno schiaffo. Il braccio era già sollevato e pronto. A bloccarla fu lo sguardo calmo della bambina: in attesa del colpo.
Abbassò il braccio, vergognandosi.
<<Ti hanno...>>
<<Non mi hanno pagata... Chissene fotte. Neanche tu hai nulla, vero? O non ti abbassi a pagare.>> con un sorriso mesto sul volto s'inginocchiò, avvicinando le mani logore ed insanguinate all'allacciatura dei pantaloni di Letizia. Questa la fermò nuovamente, chinandosi.
<<Ti pago se vieni con me. A casa mia. Ti fai una doccia, una dormita...>> disse senza pensare.
<<Fai la schizzinosa? La mia lingua non puzza tanto quanto il resto, tranquilla.>> ridacchiò la rossa.
<<ZITTA.>> le prese le morbide e zozze guance tra le mani, fissando quegli occhi d'ambra e sentendosi sprofondare per la vacuità con cui essi la ricambiavano. <<Stai a sanguinando. Non so cosa ti abbiano fatto, ma io non ne farò parte: voglio solo aiutarti. Vieni da me, per favore.>> si inumidì le labbra. Guardò la bambina. La osservò sostenere il suo sguardo e poi scuotere la testa lentamente.
Poco a poco la piccoletta prese a scivolare, gli occhi sempre meno aperti, fino ad appiattirsi tra il muro ed il wc.
<<Tu e la tua pietà, andate a farvi fottere, ok...?>> mormorò la bambina, con voce impastata.
Letizia si sporse verso di lei e l'afferrò. Quella lottò molto più di quanto si aspettasse la ragazza, ma era già stremata e non riuscì a liberarsi. Appena fece per uscire, tenendola in braccio, ella si aggrappò al bordo dell'entrata. Letizia tentò di smuoverla, tirandola con tutte le sue forze. Le afferrò il braccio, ignorando i suoi versi di protesta ed i morsi. Sentendo che stava per perdere la sua presa, la bambina emise un mugolio piagnucolante ed animalesco, pietoso ed angosciante.
<<MOLLAMIIIIII!>>
-Allora stattene là!-
No. Urlò a sé stessa di non mollare, nonostante parte di lei lo desiderasse.
-Non fare la cosa più facile. Falle male, piuttosto che lasciarla da sola. Non lasciarla. Neanche per sogno. No. No. No. NO.-
<<NO!>> strillò Letizia <<TI PREGO... PER FAVORE! Lascia che ti aiuti...>> supplicò.
Poco a poco la ragazzina allentò la presa. Alla fine il suo braccio ricadde, molle e floscio. Sostò inerte tra le braccia della donna, piangendo in silenzio. Era magra e minuta, tanto che una volta calma, Letizia (all'opposto alta e robusta) non ebbe problemi a reggerla. La bambina non si mosse e nemmeno reagì ulteriormente.

Mentre uscivano dal bagno, Ambra appoggiò una guancia impastata di muco, saliva e lacrime sulla spalla indolenzita della donna. Non singhiozzava più. Quasi non respirava. Non si era mai sentita così bene. Stretta in quell'abbraccio goffo e rude, si addormentò.

"Quella bambina porta guai, lo sai?"
-E con ciò, a te che importa?-
"Tanto. Pensami come una stalker."
-Spero tu stia scherzando.-

Erano di nuovo una di fronte all'altra: Ambra la osservò, assorbendola col suo sguardo furbo, mite e profondo. Si sporse sulle punte, tentando di superarla in altezza, ma era troppo bassa, come sempre.
Le sue dita erano nuovamente sporche di rosso: questo però non era il suo. In quell'istante il dolore abbandonò Letizia: le strinse le mani, tingendole del sangue del suo, del loro padre.
Non aveva nulla di cui vergognarsi.
Ella sollevò le braccia verso il suo viso e l'afferrò tra le mani.
<<Stai per crepare e ti immergi negli aneddoti? Svegliati, deficiente!>>. La vocetta squillante di Ambra si mescolò a quella profonda ed alterata di Sofia. Insieme la riportano alla realtà. Per un momento vide un'infinità di piume rossicce.

Aprì gli occhi. Non poteva respirare. Si alzò in piedi. Non respirava. Mosse pochi passi verso la creatura. I polmoni parvero implodere, diffondendo il dolore in tutto il torace. Alzò Lo sguardo e camminò decisa verso il mostro. Era fatto di carne ed ossa, come tutti i suoi simili che abitano il mondo. Viscere fragili, un corpo senza vere difese.
La pressione scemò di colpo. Poi il fiato rientrò nei polmoni... Il dolore fu cosi forte e bruciante da farla lacrimare ma, dopo pochi passi incerti, riprese a camminare.
Infilò la mano in tasca ed afferrò con forza il mazzo di chiavi: il pugnale le era caduto.
L'essere la guardò con meraviglia, grugnendo, frustrato per il fallimento.
Senza alcun preavviso le si scagliò contro con furia. Venne sbalzata contro la ringhiera. L'impatto fu doloroso, ma lo incassò e si rialzò con fredda decisione, appena in tempo per schivare un nuovo assalto.
L'essere mandò in frantumi il solido marmo dipinto. Si voltò, aspettandosi di veder cadere il suo aggressore. Dove cazzo era?
Un sibilo la raggiunse, seguito da un altra stoccata. Finì nuovamente sulle dure piastrelle: rotolò velocemente e si rialzò, buttandosi verso la parete per evitare il nuovo assalto in arrivo.
Troppo impetuoso, condizionato dalla rabbia. Mentre le sfrecciava davanti lei si sporse premendo un braccio sul muro e lo raggiunse in un istante. Con l'altro braccio lacerò la pelle dell'avversario. Pochi secondi dopo si volse, brandendo ancora il mazzo di chiavi da lei stessa affilate. L'umanoide barcollò e cadde, gemendo. Letizia fece un passo verso di lui fremendo dalla voglia di infierire, poi ripensandoci si diresse verso i gradini.
Un forte spostamento d'aria la spinse in avanti, facendola rotolare per le scale...
Finalmente si fermò, dolorante e mezza morta. Nonostante lo stordimento alzò la testa, sentendo un urlo stridulo e sofferente proveniente dall'alto.
COSA CREDI DI FARE, LETIZIA?
La sagoma scese le scale, perdendo forma. Quello che si rivelò essere un involucro, un semplice travestimento, si sgretolò, rivelando la figura di un bambino. In realtà era difficile dire se si trattasse di un maschio o una femmina. Prima però aveva parlato di sé al femminile.
Urlò, straziandole le orecchie. Alle sue spalle la parete si frantumò.
Letizia si alzò con non poca fatica. Strinse nuovamente il mazzo di chiavi.
La bimba infernale strillò, facendo la voce grossa, ma tradendo ancor di più la paura:<<SMETTILA, PER FAVORE... NON. FUNZIONERA'. DI. NUOVO!>>. Dalla gamba le sgorgava del liquido nero.
Corse via. In quel momento non avrebbe potuto fare altro per sopravvivere. Raggiunse il portone d'ingresso ed uscì, allontanandosi da quell'agonia straziante.
Conosceva quella voce -no, non è vero-, ma non riusciva a capacitarsene.
-Non la conosco.-
Quando la porta si richiuse alle sue spalle, calò il silenzio.
Per un momento rimase immobile, rimirando lo spettacolo che le si parava davanti. Ebbe la tentazione di scoppiare in una risata isterica, ma si trattenne. Ormai le era chiaro il menù della serata.
Nella tetra luce rossastra, incupita dall'aria caliginosa, sfilavano esseri dall'aspetto fiammeggiante, figure umanoidi ed animalesche. Esse danzavano incandescenti nel crepuscolo. Come fuochi fatui scomparivano o sbiadivano per poi ricomparire dal nulla. Molte di loro stavano riunite in mezzo alla strada alberata. Che dire degli alberi? Ingrigiti come se avessero mutato il legno in pietra, nascondevano le fronde sotto terra, lasciando scoperte soltanto le grandi ed estese radici. Queste si riversavano pigramente a terra, dando qualche sbuffo ogni tanto, come serpenti esausti e stesi al sole. Dal terreno sbucavano alcuni dei rametti più bassi (o più alti, questione di punti di vista), ricoperti di foglie.
Questo solo in una parte del paesaggio... Nel mentre, tutt'intorno la ghiaia risaliva verso il cielo per poi cadere, con lentezza, ignorando le noie della gravità. Lo stesso destino toccava a sabbia e terriccio. Rimaneva intatta solo la strada sterrata davanti a Letizia, la cui terra rimaneva immobile ed ostinata a non muoversi, almeno per ora.
Attenta a ciò che la circondava, la ragazza si mise in cammino con un andatura leggermente claudicante. Sorrise. Quel folle paesaggio era una benedizione dopo il grigiore dell'Impression.
Si chiese cosa fare riguardo a quella cosa. Nella sua testa sentiva ancora il suo urlo stridulo. Improvvisamente si sentì tirare indietro.
-Me ne sto andando.-
Pronunciò le parole successive ad alta voce, sicura di essere ascoltata:<<Se fai del male ad Ambra, passerò il resto della mia esistenza a far sì che tu rimpianga di non essere morta dissanguata. Non mi importa a chi dovrò farla pagare.>>
Lo strillo si attenuò fino a scomparire.
Le creature fatte di fiamme e luce si voltarono a guardarla. Anche loro dovevano averla sentito.
<<C... Chiedo scusa.>> era piuttosto imbarazzata.
<<Si figuri.>> tuonò una delle figure, con quella che sarebbe dovuta essere una voce conciliante. Le altre annuirono e dopo qualche secondo scelsero di ignorarla per poter riprendere la loro festa.
Si tranquillizzò: per un istante aveva temuto di finire carbonizzata.
Sospirò mestamente. Non sarebbe tornata indietro, non ancora. Doveva trovare un modo per difendersi ed orientarsi in una realtà non sua, cercare di uscire da lì e salvare sua sorella.
Di Sofia nessuna traccia, tra i suoi pensieri.
Camminò con una sola meta, un forte richiamo dentro di sé a spingerla, tra folgori evanescenti ed esseri che ribaltavano il concetto di assurdo. Passo dopo passo.
Camminò.

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