Capitolo III
Riuscì a mettere qualcosa sotto i denti per colazione. Sgranocchiò qualche galletta con del thè (tanto per variare).
"Buongiorno Leo!"
Bevve un altro sorso.
-Buon giorno... Come dovrei chiamarti? Forse, voce nella mia testa?-
"Che immaginazione... Puoi chiamarmi come ti pare."
-Ma sei maschio o femmina?-
"Femmina furbacchione..."
-Non mi dirai il tuo nome, o sbaglio?-
"Cosa cambierebbe? Non sei nemmeno sicuro che io esista... Basterà che continui ad ascoltarmi."
Non avrebbe mancato di farlo.
Questa volta il receptionist arrivò e gli fece un cenno distratto: sembrava imbronciato ma nascondeva la cosa fingendosi occupato a leggere un manuale di botanica. Leonard si chiese se prima o poi si sarebbero presentati decentemente... Probabilmente nessuno dei due si sarebbe mai spinto oltre un saluto schivo e qualche occhiata breve.
Salutò i ragazzi, dopodiché tutti quanti andarono in spiaggia. Fecero nuovamente dei giochi con il pallone e per un po' la giornata proseguì da sola, simile per molti versi alla precedente.
Passarono altri due giorni durante i quali una vaga routine andò delineandosi.
Sonno profondo, senza altri sogni; uscita di mattina presto; impaccio; conversazioni vuote al punto giusto; imbarazzo; spiaggia; noia; osservazioni; giochi; noia; risate; sguardi imbarazzati; noia; barzellette e storie; banalità e noia. Tutto sommato quel loop poteva dirsi rassicurante.
Bastava affrontarlo con la giusta predisposizione d'animo.
Tenendo questo a mente decise cambiare itinerario almeno ogni due giorni.
La mattina seguente lui ed i ragazzi si riunirono presso una piccola, ma accogliente, terrazza sul tetto dell'Impression e fecero colazione insieme, per poi dirigersi verso il "Giardino delle meraviglie".
Si trattava di un lembo di terra agghindato con piante di ogni qualità e dai colori sgargianti, che creavano un esplosione di tinte molto suggestiva.
Un giardino in stile giapponese insomma. Soddisfatto dalla mite accoglienza di quel piccolo ambiente, Leonard si sedette su di una panchina all'ombra di una magnolia. Osservò i ragazzi scatenarsi, correndo e ridendo a crepapelle. Si mise più comodo e chiuse gli occhi. Da dove gli arrivava tutta quell'energia?
-Da un corpo e da un metabolismo più forti...- Ovviamente.
<<Da una minor dose di svogliataggine e seghe mentali...>>
<<Io sono fatto così. Ti piacerei se fossi differente?>>
<<Non saprei.>>
La voce non proveniva dalla sua testa... Non adesso. Era roca, mascherata.
Si guardò intorno con foga ma non c'era nessuno nelle vicinanze... I ragazzi si erano sparpagliati.
Due mani, piccole ed esili, gli coprirono gli occhi. Lui le coprì con le sue. Un acidulo odore di sudore gli giunse alle narici.
<<Sei reale?>>
<<Purtroppo sì.>>
<<Perché... Come fai a...>>
<<Prendilo come una sorta di potere. Ascolta: non servirà a nulla che io e te ci vediamo. Non dobbiamo conoscerci per forza e nemmeno capirci.>>
<<Perché?>>
<<Porto grane.>>
<<Dimmi almeno qual è il tuo nome... Per favore.>>
<<Sofia. Me lo sono dato io.>>
<<Sei piccola.>>
<<Già.>>
Lei girò attorno alla panchina, ma Leonard tenne gli occhi chiusi. Un respiro leggero e tiepido gli sfiorò il mento sbarbato, ormai ruvido.
Sentiva su di sé l'incombenza di quella presenza, persino ora. La temeva.
-Cosa sono io per te?- Pensò, cercando di imprimere nella domanda parte del suo... Risentimento? Che altro... Curiosità.
Non la sentì allontanarsi.
<<Fai un po' pena come animatore, sai?>> esclamò qualcuno, a pochi metri da lui.
Leonard alzò la testa e vide la ragazza attraente con l'eterocromia. Aveva un espressione seria e severa in volto e puntava il suo sguardo glaciale verso di lui. Sembrava infastidita, nonostante mantenesse un portamento rilassato e sciolto. Era piacevole da guardare. Non solo quello: nemmeno il fisico passava inosservato. Per essere precisi oltre che alta (lo superava di qualche centimetro); era muscolosa visibilmente, ma senza esagerazioni; magra ma non troppo e comunque ben dotata nelle curve, incorniciate da una maglietta smanicata e leggermente aderente e dai pantaloni di jeans. Il suo viso presentava tratti molto netti e marcati: zigomi lineari, un naso un po' arcuato ma sottile, labbra rosee, carnose ed ampie al punto giusto... Senza dimenticare gli occhi. Davano il tocco finale a quella donna che pareva rispecchiare l'idea di forza e di fierezza, almeno quanto una valchiria. Non in pochi dovevano aver sbavato dietro a quei tratti.
Sotto molti aspetti poteva definirsi bella. Leonard lo capiva benissimo e nonostante non rispecchiasse i suoi gusti estetici, non negava di...
<<Scusa ma che hai? Te sei incantato?>> domandò lei, con una voce grave e perplessa la quale tradiva un lieve accento romano.
<<Stavo riflettendo... Perdonami.>>
Un lampo di cupezza attraversò quello sguardo, turbandolo leggermente.
<<Ci conosciamo per caso?>> gli chiese lei secca, questa volta con un italiano spoglio di qualsiasi cadenza.
<<Non mi sembra proprio, perché lo chiedi?>>
<<Mi sta dando del tu.>>
<<Hai parlato per prima dandomi del tu... Mi sono solo adeguato.>> si sentiva lui un po' scocciato, adesso.
Lei ci pensò su, senza distogliere lo sguardo, facendo scrocchiare le dita.
<<In effetti... Chiedo scusa. A parte questo, non dovrebbe intrattenere i ragazzi?>> mentre parlava si rilassò nuovamente.
<<S'intrattengono tanto bene così...>> disse provando ad assumere una certa aria di complicità. Non funzionò: la ragazza rimase imperterrita.
<<Mi chiedo per cosa sia pagato lei, in tal caso.>>
Non aveva senso discutere: era inequivocabilmente nel torto.
Come approccio iniziale non era stato un successo: rimproverato come un bambino...
Si alzò con rassegnazione e decise di fare un giro per vedere cosa stessero facendo i membri del gruppo (e soprattutto per evitare di essere rimproverato ulteriormente).
Prima che potesse fare un passo lei gli porse la mano:<<Visto che ormai ci siamo parlati, mi presento: mi chiamo Letizia Volta, lieta di conoscerti.>> pronunciò la formula di presentazione con tono cordiale e nemmeno troppo meccanico.
<< Leonard La Reine, piacere>> che cavolo di stretta potente! Cercò di rispondere con altrettanta forza e sicurezza, ma non fu molto soddisfatto del risultato.
<<Scusa, si pronuncia... La Renn? No... Ren? Oppure la enne è muta?>>
Leonardo fece spallucce, poi rispose vagamente:<<Tutti la pronunciano come vogliono. Perciò...>>
Per nulla soddisfatta Letizia sospirò sbottando:<<Io non sono "tutti".>>
Sostenendo lo sguardo, nonostante il disagio, il ragazzo precisò in fretta:<<La enne si pronuncia. Ren.>>
<<Nome inglese e cognome francese.>> Ella lo sorprese sorridendo leggermente, soddisfatta. Se ne andò con un <<Vabbè, a dopo>>, sparendo tra i giovani arboscelli che facevano capolino dalle aiuole. Leonard fece lo stesso, ma muovendosi dalla parte opposta, fino a raggiungere la sponda di un torrentello artificiale di ottima fattura, sul quale si affacciava un vecchio salice piangente: gli piacque il senso di solitudine che ispirava.
Vide due ragazzini seduti a terra in prossimità della sponda del piccolo corso d'acqua. Giocavano, modellando l'argilla fresca, totalmente assorti nelle loro creazioni.
Se non ricordava male erano due irlandesi o almeno così aveva dedotto dal loro accento. Li salutò animatamente e loro riposero agitando timidamente le braccia. Chiese ai due di dirigersi verso l'entrata del parco ed aspettarlo là, in attesa che il gruppo si radunasse. Li lasciò ai loro giochi e riprese a cercare gli altri. S'imbatté in una coppietta sdolcinata che ridacchiava su un ponticello di legno: non li disturbò più del dovuto; poi trovò Francisco (detto Cisco), un tredicenne sufficientemente maturo ma gracile, trasandato (il tipetto pallido del primo giorno) e secondo uno schema classico e radicalmente diffuso, oggetto di scherno e bullismo. Il ragazzetto si era messo subito al suo seguito dimostrandogli approvazione (contraccambiata da Leo). I due camminarono per qualche minuto, parlando amichevolmente di scuola. Non solo, andavano d'accordo su molti altri argomenti: l'amore per la quiete e per le piante per fare un esempio. D'un tratto furono entrambi sommersi da una piccola cascata di foglie di betulla: sentirono un imprecazione provenire dall'alto e pochi secondi dopo qualcuno saltò giù da un ramo.
Leo la salutò con la mano, mentre il piccoletto si nascose leggermente alle sue spalle. La ragazzina concesse ad entrambi un mezzo sorriso, poi aggiunse un:<<Ciao Franci>> roco, prima di girarsi e correre via.
<<Ahem... Non pensar male per piacere. Dalia non è molto socievole, ma sa essere simpatica... Quando vuole.>> buttò lì Francisco, dopo che se ne fu andata. Sembrava perplesso.
<<Sono uno dei pochi a cui rivolge la parola quando non è arrabbiata, sia a scuola che... Beh, ovunque. Lei di solito sale su gli alberi per stare da sola: io non ci provo neanche, sennò mi faccio male.>> Leo avrebbe preferito cambiare discorso ma l'altro continuò:<<Una volta una professoressa ci ha chiamati... Non mi ricordo bene, assoli, o qual cosa di simile. Tu sai che significa?>>
Si morse leggermente l'interno della guancia e scosse la testa, prendendo nel mentre a pizzicarsi il palmo della mano sinistra, senza pensarci. Non se ne accorgeva sempre. Cisco invece parve notarlo e per un po' tacque, temendo di aver detto qualcosa di inappropriato.
Per un momento una scintilla di delusione attraversò i suoi pensieri. Scioccamente aveva sperato di essere seguita... Almeno da uno dei due.
Una strana euforia aveva spinto Dalia a spingersi fin troppo in là, correndo più di quanto il suo organismo le potesse permettere. Almeno era di nuovo da sola.
Qualcuno le tirò leggermente la t-shirt. Fu tentata di girarsi di scatto e gridare, solo per avere il tempo di divincolarsi e fuggire un'altra volta, ma sfortunatamente i suoi polmoni erano già abbastanza occupati.
<<Giochi con noi?>> le chiese una vocina particolarmente acuta alle sue spalle.
Si voltò, provando nel farlo fatica ed una pesantezza insolite. Fu colta di sorpresa, trovandosi naso a naso con un viso familiare.
<<Ti senti male?>> la domanda parve giungere da molto lontano.
In realtà si sentiva leggermente confusa: troppe domande e di colpo, troppa poca lucidità. Batté le palpebre per lo stupore, cercando d'identificare la persona che aveva davanti. Si soffermò, come faceva sempre, sui capelli. Una parte di lei ne rimase incantata: erano di un inquietante ed intenso color sangue, quasi sicuramente una tinta.
<<Cos'ha?>> finalmente una domanda non rivolta a lei. A porla era stata una ragazzina dai grandi occhioni color smeraldo, spaventosamente in risalto su di un viso troppo piccolo, nascosto in parte dai capelli castani chiari e... niente da fare, erano gli occhi ad attirare l'attenzione: era tutta occhi. Quest'ultima sedeva su di una radice, pochi metri più in là.
La più vicina assunse un'espressione severa, ma la sua voce restò calma.
<<Ansima ed è pallidissima... Lo vedi anche tu no, Sara?!>> si rivolse a lei <<Hai problemi al cuore o qualcos'altro di simile?>>
Doveva dire qualcosa, giustificare il suo stato momentaneo. Il ritmo del suo respiro era ancora alto ed era madida di sudore... I pensieri parevano perdere forma e confondersi, ma riuscì a biascicare qualcosa tra una boccata e l'altra:<<Ho solo... corso un... po' troppo.>> parole che non suonarono per niente rassicuranti, neppure a Dalia.
Qualcuno, di fianco a lei tirava ancora il lembo della sua maglietta. Una bambina. Non sembrava capire bene la situazione, ma stava al suo posto, senza dire una parola.
La ragazza dai capelli rossi la guardò con apprensione, socchiudendo leggermente i due occhi a mandorla, dalle iridi color violetto (lenti a contatto?). Sentì le gambe ancora più molli, ma prima che cedessero la rossa la afferrò, impedendole di cadere. Capiva molto poco di ciò che le stava accadendo intorno, ma si sentiva bene tra quelle braccia. Sorrise debolmente.
<<Forse ha un calo di zuccheri o una carenza di ossigeno...>> di nuovo 'occhi a palla', questa volta parlando da più vicino.
<<Già. Mi daresti una mano, adesso?>>
La bambina si era spostata ed osservava la scena con gravità ed una stoica serietà dipinte sul volto.
Il mondo intorno a Dalia si riempì di puntini grigi, di suoni sconosciuti, confusi a tratti, altrimenti perfettamente distinti.
<<Ascolta la mia voce... >>
...
Fruscio di foglie... passi veloci sull'erba umida.
<<Cerca di camminare... Così>>
<<Non farla stare in piedi, deve sdraiarsi>> gridò 'Occhi a palla'.
...
Una bella facciata sul terriccio fresco, con tanto di rametti e foglie per abbellire i capelli.
Ciò fu più che sufficiente per riportare Leonard, dal suo incedere distratto, alla realtà.
Intorno a lui la natura, quieta, scandiva lo scorrere del tempo con suoni lievi ed irregolari, dolci nella loro piccolezza; solo una canzone lontana turbava questa calma, ma era canticchiata talmente male da essere irriconoscibile.
Alla sua destra Francisco si abbassò e con una faccia tra il preoccupato ed il divertito, gli porse una mano. Si tirò su da solo, grugnendo un secco ringraziamento, mentre tentava di ripulirsi. Una volta alzatosi iniziò ad ispezionare la zona.
Si trovavano in una piccola radura circolare, circondata da vari tipi di alberi riuniti in cerchio, come ad osservare quel che accadeva al loro cospetto.
Al centro dello spiazzo c'era un grosso tavolo da thè, circondato da suoi simili, ricolmi di bignè, pasticcini e tazzine, appoggiati su vassoi argentei.
Leo fischiò per lo stupore, vagando con lo sguardo.
<<E' il cerchio dei fantasmi!>> la vocina di Anna li fece sobbalzare... La bambina si fece strada tra le sedie, senza curarsi del chiasso che faceva muovendosi.
Raggiunti i due nuovi arrivati si fermò a guardare i vestiti di Leo, ancora sporchi. Lui sorrise imbarazzato. Prima che potesse parlare fu interrotto da una voce bassa e lievemente pedante:<<Si chiama cerchio delle fate ed è fatto di funghi, non di alberi... Scema...>>. A parlare era stato un ragazzo a alto e robusto, seduto ad uno dei tavoli, la testa appoggiata sulle braccia conserte, nascosta tra di esse.
Leo guardò meglio i tavoli: era tutto di plastica, dolci, piatti, fiori, persone.
E per di più, si trattava di un omaggio al racconto di Alice nel Paese delle Meraviglie, uno dei suoi libri preferiti!
Vagò ammirato con lo sguardo: dalla piccola protagonista, riprodotta con tinte un po' più tetre, almeno rispetto alla rappresentazione classica, ai nonsense del cappellaio matto, della lepre marzolina e del ghiro (quest'ultimo accoccolato dentro una tazza vuota).
Non erano soli: tutto interno si riunivano animaletti e fiori vagamente umanizzati, stinti e rovinati dalla pioggia, ma comunque pressoché integri.
<<Il cerchio di cui parli si può creare con ciò che si vuole purché sia simbolico... Se vuoi fare il saccente almeno informati bene.>> cinguettò una terza persona, dall'altra parte della radura, rivolta al ragazzo robusto. Leo distolse leggermente lo sguardo dalla scenetta e scorse il viso tondo, sarcastico ed impudente della rossa Ambra. Per un istante, la sua mente si svuotò piacevolmente.
Parlò automaticamente, senza batter ciglio:<<Più che altro, Gabri, non insultare a caso la gente>>. Il ragazzo non rispose. Si alzò con esagerato autocontrollo e fece per girarsi, ma esibendo il dito medio di nascosto... Tanto nascosto che entrambi lo videro perfettamente. Leonard si limitò a scuotere la testa con -disprezzo- disappunto. Ambra fu meno diplomatica: si alzò e si mosse verso la figura dell'imponente quindicenne, ora in piedi, immobile ed impettito, lasciandosi il sarcasmo alle spalle.
<<Rifallo.>> si avvicinò senza alcuna timidezza <<o sei tanto codardo da doverti nascondere? Con la tua mole, poi!>>Via via che parlava il timbro della sua voce si faceva più grave e minaccioso. Gabri incassò il colpo e d'un tratto irrigidì i muscoli.
<<Fottiti nanetta...>> biascicò tra le labbra, senza ottenere altro che una risata di scherno dall'interessata.
<<Tira fuori le palle, prima che ti cadano e comportati da uomo.>> lo istigò lei, inclinando la testa.
Ora i due si trovavano a poco più di un metro di distanza. Uno tesissimo, con le grosse braccia leggermente alzate, intimorito ma per nulla innocuo; l'altra sul piede di guerra, seria, ma quasi del tutto a suo agio. Mentre si chiedeva se intervenire o continuare a godersi lo spettacolo, a Leo vennero in mente una miriadi di esilaranti varianti della scena, tra cui l'immagine di un rinoceronte contro un diavolo della Tasmania o magari un facocero contro un ghiottone.
Ambra fece per muoversi in avanti, piegò le gambe e inclinò in avanti il busto abbassando il baricentro, il braccio sinistro con il pugno pronto a colpire... E colpì. L'impavido animatore La Reine, dritto nello stomaco.
Subito Leo si pentì di essersi intromesso ed il suo corpo piegato in due fu d'accordo. Rimase agonizzante per un minuto buono.
Ambra, dapprima scioccata passò dalla sorpresa alla rabbia ma, prima di poter dire qualsiasi cosa, fu zittita. Leonard sibilò col fiato mozzo:<<IDIOTI>> si ripeté un paio di volte come se volesse imparare a memoria l'aggettivo. Si raddrizzò, nonostante le scariche di dolore all'addome.
<<Se volete ammazzarvi, fatelo quando non ne rispondo io!>>
Si girò di scatto.
<<TU. Gabriele.>> questo, che doveva aver perso molta della tensione di prima, sobbalzò <<fatti un beeel giro. Poi torna all'ingresso di questo santissimo parco. Un'altra cosa.
Pensa. Attentamente. Prima di aprire la bocca. MOLTO ATTENTAMENTE!>> questa volta Gabri non fece una piega. Se ne andò con un sommesso crepitio di foglie calpestate. Anche Francisco se ne andò senza che Leo dovesse dir niente. Inconsapevolmente o meno gli stava facendo un favore.
Restavano Ambra ed Anna. L'ultima non aveva aperto bocca durante quella barzelletta di litigio. Restava silenziosa dietro una seggiolina, le mani strette attorno all'intelaiatura, sbiancate per la tensione, il labbro tremolante.
Senza saper che altro fare Leonard si limitò a darle un goffo buffetto in testa. Lei rimase rigida.
Si rivolse ad Ambra.
Solo allora si accorse della terza persona che si trovava insieme a loro.
Come poteva essersi persa?! Quel luogo era facile da attraversare, una volta capita la disposizione delle stradine. Pensava di esserci arrivata: allora perché non trovava alcun punto di riferimento? Strade su strade su strade su strade...
Stava cercando aiuto. Le avevano detto di cercare aiuto.
<<ALLORA PERCHÉ NON TROVO NESSUNO CHE POSSA DARMI AIUTO?>> si ritrovò a gridare. Stava girando da troppo tempo, senza vedere anima viva.
Uno scricchiolio. Alle sue spalle.
Un dannatissimo scricchiolio!
Qualcosa la fece cadere all'indietro. La spinse letteralmente. O qualcuno, che lei non era riuscita a vedere.
Tu
D'istinto serrò le palpebre, un infantile gesto per allontanare ciò che la spaventava. Sapeva che qualunque cosa l'avesse spinta non se ne sarebbe andata.
Sentì un paio di nuovi scricchiolii accanto a sé.
Le avrebbe fatto male?
Tu sei come me, lo sapevo...
Non voleva. Non voleva soffrire, non senza guardare.
Mulinò goffamente le braccia verso l'alto e sbarrò i grandi occhi, cogliendo per un attimo uno stralcio di nuvola cinerea, proprio sopra di lei. Allora arrivò il dolore.
Le strappò un urlo che subito fu mozzato da una serie di scariche consecutive.
Mentre i suoi muscoli si contraevano involontariamente in tutto il corpo, la sua mente smise di funzionare.
Per la prima volta in tutta la sua vita pensò alla morte e sperò che giungesse, con tutto il cuore.
Non essere infantile. Si forte, ragazzina.
La voce incorporea tacque.
Non percepiva alcun rumore. I colori stingevano sotto il suo sguardo stremato.
Le contrazioni scemarono poco a poco lasciandosi dietro un senso di gelo formicolante...
Priva di forze, la ragazza guardò il celo nuvoloso, sentendo le prime gocce di pioggia cadere e scivolarle sul viso.
Al centro del più largo dei tavoli stava sdraiata una ragazzina, perfettamente immersa nell'atmosfera della festicciola immaginaria. Con una mano porgeva una tazza di finta porcellana al cappellaio matto per fare cin cin, mentre con l'altra faceva roteare un cucchiaino tra le dita.
Leonard la riconobbe come l'amica di Cisco. Ancora più pallida della prima volta...
Senza prestargli attenzione Ambra le si avvicinò, e le tastò il polso.
<<Il battito è lento e non hai una bella cera... Non credo che farti camminare sia una buona idea...>> di rimando l'altra sbuffò, ma la sua espressione tradì gratitudine verso l'infermiera improvvisata.
Si rivolse a Leo, guardandolo sottosopra dal tavolo.
<<Ciao... >> salutò timidamente.
Cominciò a piovigginare.
Leo rispose al saluto, domandando poi cosa fosse successo alla ragazza. Vide Ambra fare spallucce con un espressione indecifrabile.
Fu la convalescente dai capelli corvini a rispondere:<<Anemia... Di solito dovrei evitare gli sforzi eccessivi>> socchiuse gli occhi e per un attimo si morse il labbro <<e poco fa ho corso davvero troppo...>> indicò Ambra <<Lei mi ha trovata e... Non ricordo altro.>>
Leo annuì grave.
<<E' collassata dopo pochi passi. Avevo mandato Sara a chiamarti, ma svampita com'è deve essersi persa.>> proseguì Ambra, sovrappensiero.
Leonard la ascoltò parlare e dopo aver riflettuto per qualche secondo si pronunciò:<<Potrebbe essere con gli altri, all'ingresso del parco: direi di andare là tutti insieme. Nel caso non la trovassimo tornerò a cercarla.>> Ambra ed Anna annuirono (quest'ultima ancora leggermente scossa). Leo proseguì:<<Posso portarti io, sempre che non ti crei problemi.>> rivolto alla ragazzina.
<<Nessun problema.>> rispose lei, senza né malizia né imbarazzo <<Mi stavo giusto annoiando. La gente finta è noiosa quasi quanto quella vera...>> -un mostro di simpatia- <<comunque io mi chiamo Dalia, non credo di essermi presentata il primo giorno>> mentre parlava si mise seduta sul bordo del tavolo e tese le braccia verso Leo. Egli a sua volta si abbassò e se la issò sulla schiena con scarsa fatica.
<<Molto piacere>> sbuffò.
Nel mentre la piccoletta del gruppo si avvicinò ad Ambra, con espressione supplichevole. La ragazza le lanciò un' occhiataccia appositamente esagerata e le parlò in falsetto:<<Te lo scordi, usa le tue gambette!>> poi sul suo viso comparve nuovamente il solito sguardo sornione. Anna cercò di simulare la faccia più offesa che avesse in repertorio e si mise in cammino a grandi passi... Dalla parte sbagliata.
Dopo averla richiamata partirono tutti insieme.
A metà del percorso Ambra si scusò per il pugno, ammettendo che non si sarebbe limitata a quello, se Leo non si fosse intromesso. Disse che le era già capitato di aver a che fare, da ragazzi ben più grandi di Gabriele... E non sapeva solo difendersi.
Leonard accettò le scuse, senza aggiungere inutili ramanzine: non ne aveva mai capito l'utilità ed in realtà non voleva capirla. Quella ragazzina era già abbastanza matura di suo... Per quanto gli riguardava.
Verso la fine del tragitto si trovò a pensare a cosa avesse attirato la sua attenzione, sentendola parlare. L'accento che entrambe cercavano di mascherare. Quando ne parlò ad Ambra ella si rabbuiò.
<<Qualche hanno fa, ho passato del tempo a Roma, dalla famiglia di Letizia... In quel periodo ho assunto la parlata del posto per forza di cose.>> spiegò lei, abbassando la testa laconica <<Leti non vuole dare a vedere le sue origini e nemmeno ricordarle a sé stessa, perciò ha fatto di tutto per cancellare il suo accento ed ha chiesto a me di fare lo stesso>> Leonard notò la sua reticenza e non fece altre domande, ma né lui né la piccola Anna (Dalia si era addormentata e sbavava vistosamente sulla spalla del ragazzo) poterono nascondere la loro curiosità. Notandolo, fece un sorriso imbarazzato ed aggiunse:<<Non parlatene con lei, per favore: la fa stare male.>> nel dire ciò mantenne il sorrisetto e l'andatura saltellante, ma i suoi occhi vagavano distanti, dove solo lei poteva vedere. Dopo un po' diresse quello sguardo vacuo verso Leo e mantenendolo, chiuse la mano ad artiglio e se la passò distrattamente sul volto, più volte, lasciando con le dita leggeri solchi rossi sulla pelle.
Raggiunge l'entrata di un parco di media grandezza. Ragazzini. Piccoli umani. Tutti riuniti, intenti a starnazzare e rincorrersi.
Inutile sregolatezza.
Sprecano le loro vite rotolandosi nel fango dell'inettitudine. Ragazzini senza vera voglia di conoscere, terribilmente apatici nella loro frivolezza, sfilano per la stradina lastricata. Li osserva da lontano, ben nascosta e si riscopre avversa nei loro confronti. Non ha la minima voglia di avvicinarsi. La prenderebbero per una stramba. Li compatisce.
"O forse sei solo gelosa"
Quel poco di curiosità che potrebbe permettergli, se coltivata, di accrescere la loro conoscenza ed i loro spiriti, va spegnendosi dalla fine dell'infanzia. Hanno conoscenze risultanti da un'istruzione nozionale, magari sono bravi studenti, ma le utilizzano solamente allo scopo di adattarsi. Questi umani sono senza speranze... Non si accorgono che il loro mondo sta crollando.
"E il tuo?"
D'altra parte inizia a pensare di non essere migliore. Ora si sente, al contrario, peggiore.
Una creatura umanoide, apatica, il cui essere è solo pensiero razionale ed intenzione, sintetizzati in una forma fisica... Azioni consecutive, dettate da una volontà incerta.
Pensiero. Ella ignora cosa renda la sua attuazione tanto importante.
Forse esso, che spingendosi al limite può portare ai confini dell'eccepibile, non è altro che un dono scomodo, che va gettato dopo l'uso... Se non prima.
"Hai finito di filosofeggiare a vuoto? Il pensiero? Una dote, meravigliosa aggiungerei."
Si sente strana. Normalmente non da giudizi e si mostra indifferente. Fredda. Precisa. Protegge gli esseri viventi perché sente di doverlo e volerlo fare. Nient'altro. Si sposta in continuazione e non prova sentimenti: mai.
Ora qualcosa è cambiato. Non è più la stessa dopo aver sentito quel richiamo... Dopo aver visto morire l'uomo e la donna nel vicolo. Immagini di un passato che non conosce la tormentano...
In più, la voce incorporea. Non è per niente piacevole: vorrebbe capire il significato di tutto ciò ma i ricordi le sfuggono repentinamente come la sabbia tra le dita, lasciandola insoddisfatta ed irritata.
Emotività.
Non la tollera.
È inaccettabile!
Non riesce a capire cosa sta succedendo in quel luogo, ma sa che l'entità è nelle vicinanze. La si sente ovunque... Anche se in quel parco la sua presenza è più debole.
È incredibilmente potente, e non sembra essere sola...
"Nemmeno tu. Presto o tardi ci faremo una bella chiacchierata."
Giunti all'arco floreale sovrastante l'entrata del parco, Leo e le ragazze trovarono l'intera comitiva in attesa. Tra loro c'era anche Sara, la quale nonostante i vestiti sporchi e la palese spossatezza si limitò a dire di essere caduta come spiegazione.
Il gruppo si mise velocemente in marcia. Avrebbero fatto una deviazione verso un altro hotel della catena, il 'Baroque', per allungare un po' il giro (i ragazzi avevano supplicato Leo) e far riposare Dalia. Leonard propose persino di chiamare i suoi genitori, ma la ragazza rifiutò l'offerta.
<<Loro non ci... Hanno di meglio da fare.>> fu la sua risposta.
Leonard si sentiva molto inquieto ma non riusciva ad afferrarne il motivo. Proseguirono con calma fino ad arrivare presso l'hotel. Era come dire... decisamente sfarzoso e singolare.
Sulla facciata c'era una scritta dai caratteri ordinati, dorati e pieni di svolazzi: 'Hotel Baroque'.
La seconda cosa che tutti notarono fu il silenzio, piatto ed innaturale.
Entrarono in un padiglione ampio ed illuminato da alcune grandi finestre, una pianta simile a quella dell'Impression, ma più rifinita.
Al centro della sala era appeso un grosso lampadario, terribilmente pacchiano in tutto il suo sfarzo esagerato. Videro che non c'era nessuno alla reception, ne altri in giro, del resto...
L'interno sembrava completamente deserto: i turisti potevano essere usciti, ma il personale?
Leonard si avvicinò al bancone laccato. C'era un registro sopra di esso: lo sfogliò. Trovò un foglietto con un'annotazione scritta in fretta e furia a penna, cerchiata più volte ed in parte cancellata:
'Non c'è più nessuno Sono rimast un'ombra. Non so dove nascondermi. L'uomo di pa
questo: non lasciare che porti via nessu porta via gli altri Alvaro'
Leo non sapeva cosa pensare... Il biglietto era poco leggibile ma sembrava importante, almeno per la persona che l'aveva lasciato. Pareva che chiunque l'avesse scritto si trovasse alle strette. Era un ultimo lascito... Un avvertimento. Su cosa?
Un avvertimento per Alvaro. Il suo datore di lavoro?
Mise il foglietto in tasca.
Si sentiva strano. La testa gli doleva e le membra erano diventate pesanti.
Nonostante ciò si spinse verso il bivio da cui era possibile arrivare alle stanze: due strade opposte confluivano in altrettanti corridoi, dalle luci abbaglianti, rese ancora più forti dal mobilio tirato a lucido. La strada di fronte a lui conduceva ad una scala larga, elegante e curata come il resto dell'edificio.
Gli sembrò di sentire un lamento prolungato ma smorzato. Proveniva dal piano superiore. Sentì i battiti accelerare. Mise un piede sul primo scalino, poi però gli venne in mente una cosa... I ragazzi erano sotto la sua tutela: non poteva esporli a rischi, né lasciarli soli.
-Un po' comodo, ma comunque vero-
"Puoi farli uscire e salire da solo."
-No-
"Puoi tornare dopo. Hai sentito quella voce."
"No... Non sono sicuro."
"Io sì."
Scosse la testa. Il silenzio era totale e per un momento temette che gli altri se la fossero data a gambe lasciandolo solo... Poi si girò e vide che erano semplicemente ammutoliti. Sembrava che temessero di rompere quella rigida immobilità priva di suoni.
Persino Letizia, che di solito si manteneva distaccata e fredda, sembrava inquieta. Teneva gli occhi sbarrati ed ora guardava lui, ora si guardava intorno con movimenti lenti. Nel suo viso era impressa un espressione allarmata, testimoniata dalla piega della bocca, dalla tensione facciale... Non era la sola ad essere turbata.
In quanto a Leo... Credeva che quello fosse l'ultimo posto dove avrebbero dovuto restare.
Qualcosa non li voleva là dentro.
<<BENE!>> esclamò, facendoli sobbalzare <<abbiamo girato abbastanza: facciamo retro-front e torniamo!>>.
Nessuno protestò. Ubbidirono in fretta e si diressero verso la stradina lastricata che conduceva alla struttura. Cisco rimase fermo per un momento, prima che Dalia lo spronasse con una debole gomitata. Leonard chiudeva la fila, a malincuore. Davanti a lui stava Letizia, che ora aveva assunto un espressione sospettosa ed interrogativa.
Il ragazzo si girò per chiudere la porta e notò qualcosa che avrebbe preferito ignorare: seduto al bancone c'era qualcosa che prima non si era visto: simile ad un essere umano, ma dall'aspetto deforme... Guardandolo bene scoprì che si trattava di qualcosa che non avrebbe dovuto essere laggiù. Era uno spaventapasseri a grandezza naturale: i suoi vestiti anneriti si attenevano al cliché dell'uomo di paglia, ma al posto dell'imbottitura c'era solo cenere.
Esso lo stava fissando col volto di pezza, fatto di cuciture. Piegò la testa e poi alzò il braccio: prima si aggiustò il cappello da contadino e poi lo salutò con un guanto imbottito che fungeva da mano.
Leonard sentì la gola arida. Sbatte le palpebre e vide che lo spauracchio non c'era più: al suo posto stava eretto un grosso cane nero che sembrava un incrocio tra in dobermann ed un danese. Anch'esso guardava verso di lui, le fauci socchiuse in quello che sembrava un inquietante sorriso.
Scese dalla sedia, incominciò a venirgli incontro e...
La presa forte e sicura di Letizia lo fece retrocedere, mentre con l'altro braccio la donna chiuse il portone.
Restarono per un momento faccia a faccia, entrambi scossi. <<Grazie>> le disse, tirando un sospiro di sollievo.
<<Hai visto anche tu?>>
<<Sì.>>
<<Cosa...>>
<<Non ne ho idea, ma possiamo discuterne dopo.>> Lei accennò un sorriso mesto ma sincero, poi si girò, avviandosi a passo lesto verso il gruppo che si stava allontanando.
Leonardo la seguì senza esitazione.
Arrivati al loro hotel Dalia raggiunse la sua stanza, saltando la cena e rifiutando accompagnamenti.
Quel giorno cenò con gli altri, ma senza molte chiacchiere. Dei suoi genitori nessuna traccia e nemmeno degli altri. Leonard si disse che dovevano aver cenato prima, senza convincersi completamente. Doveva essere un caso. Lui e Letizia non ebbero occasione di parlare: lei sembrava evitarlo.
Finito il lavoro andò a dormire presto, evitando di incrociare altre persone. Con una sola eccezione: un uomo imponente di ritorno dai bagni, che non lo degnò di uno sguardo.
Lesse un po' prima di mettersi giù. D'improvviso si chiese, una volta tra tante, perché avesse fatto domanda per quel lavoro. Non era proprio da lui. Si sentiva fuori posto. Non riuscì a togliersi dalla mente quell'interrogativo.
Sentì lei dargli la buonanotte, pacata e dolce. Non rispose.
Escono dall'edificio: sono tutti spaventati ed inquieti.
Attende che si allontanino. Si avvicina nuovamente ed entra dalla finestra lasciata aperta poco prima, un lampo candido ed argenteo nell'aria fredda, giungendo in una stanza vuota. Ogni cosa fa supporre che sia stata occupata fino a poche ore prima: una sigaretta consumata in un posacenere, una rivista di moda buttata per terra, un paio di occhiali da lettura appoggiati ad un comodino e nemmeno un filo di polvere.
Spinge la porta. Questa si muove docilmente sui cardini cigolanti. Inizia ad attraversare il corridoio. Qualcosa disturba il silenzio: un bisbiglio accennato che riecheggia ovunque risultando totalmente incomprensibile. La cosa non la tocca.
Non si vede nessuno nei dintorni.
Alcune delle porte sono aperte ed attraverso gli spiragli s'intravedono sprazzi delle camere: per lo più ci sono giocattoli, libri per ragazzi, qualche videogame, disegni... Nessun segno apparente della presenza di adulti, ad esclusione della camera nella quale ha fatto irruzione. Improvvisamente sente lo zampettare veloce di un quadrupede, piuttosto grande a giudicare dal rumore, in lontananza. Si fa guardinga, ma non riesce ad individuare la sorgente del rumore.
Non vuole bestie tra i piedi. Questa poi, teme sia tutt'altro che innocua. Pare che sia il momento di scatenarsi.
Ella dà libero sfogo alla sua natura, liberandosi oltre i limiti del semplice involucro fisico: rilascia energia e surriscalda l'aria intorno a lei. Lucenti scariche ambientali le aleggiano intorno, fuoriuscendo dalle sue braccia. Parte di esse si consolida, prendendo la forma di una spada.
Si aspetta una reazione da parte dell'animale. In effetti il rumore è più vicino, ma ora proviene dall'alto. Non accenna a retrocedere. Anche lei si muove, pronta a difendersi o, ancora meglio, attaccare. Si ferma all'improvviso: il rumore è cessato ed i suoi sensi prima acuiti si placano. Un movimento, proveniente da dietro la porta accanto a lei la distrae.
La parete esplode ed un lampo scuro la colpisce, squarciandole il petto in più punti e lanciandola contro la porta, che si sfonda sotto l'urto. Attraversa la stanza in aria e cade per terra frantumando parte del pavimento.
È frastornata, paralizzata dal dolore. Impotente. E' una sensazione nuova e terribile.
<<Oh, merda...>> Il grido la riscuote. È un ragazzo. In piedi vicino a lei, osserva la scena dapprima con sguardo implorante, poi con orrore. Fortunatamente la parete ha impedito che risentisse dell'onda d'urto o che fosse colpito dalle schegge.
La massa scura prende forma, consolidandosi in un cane nero. Fiamme azzurrognole avvampano sul corpo enorme... Si erge, possente, nell'arcata della porta distrutta, in procinto di attaccare nuovamente.
Ella si alza a fatica, il corpo debole, pesante e terribilmente stanco... Perché non riesce a combattere?
Non ha fatto altro che pavoneggiarsi, credendosi superiore a tutti, dando semplice sfoggio della sua miseria... Ma le sue motivazioni non sono nulla ed ora i nodi vengono al pettine, la sua inutilità è messa a nudo.
La spada è inutilizzabile, infranta davanti a lei.
Si frappone tra la creatura ed il ragazzo, proprio mentre questa attacca... Ha appena il tempo per farsi scudo con le braccia: il cane le corre incontro saltando all'ultimo momento e le si aggrappa addosso con gli artigli, azzannandole una spalla. Il fuoco innaturale che avvampa sul suo corpo è straziante. E' diverso da qualsiasi forma di energia con cui abbia mai avuto a che fare.
Non ha scelta: afferra l'animale infernale e lo respinge con le braccia, impedendogli di mordere ancora, poi si getta all'indietro e finisce contro la finestra della camera, agguantando il ragazzo all'ultimo momento.
Cadono per due piani contro la dura terra.
L'uomo è salvo, anche se tramortito: lei gli ha fatto da scudo, evitandogli l'impatto col terreno.
...
Vede sfocato... tutto sbiadisce lentamente...
Il cane è sparito, dissolto in aria... che bella consolazione.
"Questo dovrebbe insegnarti a non impicciarti negli affari altrui. Non sei in grado di cambiare le cose, e non ne avrai mai la possibilità... Guardati: sei un relitto. La grandezza di un tempo è sfumata insieme ai tuoi ricordi"
Sa di essere debole. Ha solo evitato di ammetterlo, di confessarlo a sé stessa.
"Hai dimenticato tutto quanto... Tutto quello che hai fatto... Che tristezza. Ti sei scordata di me. Non rammenti nemmeno il tuo nome"
Aveva un nome?
Non importa, non ha più forze, nemmeno per pensare, neppure per ascoltare...
"Oh, no, vedi di non morire. Ti dirò il tuo nome: non scordarlo nuovamente, Ofelia."
... Ofelia...
Tutto si fa scuro dinnanzi a lei. Acque nere la inghiottono, permeandola...
Ma è tutto così incredibilmente insignificante. Non vale la pena di affrontarlo.
Federico rimase immobile per qualche minuto, tentando di raccapezzarsi dopo quello che era appena accaduto. Almeno era uscito da quella stanza... Positivo all'estremo. Bene.
Ora, doveva solo trovare qualcuno che gli desse aiuto.
Si sedette sulla strada ghiaiosa sul retro all'albergo, alzando la testa per vedere chiaramente l'edificio. O meglio, guardò il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi.
Era sparito. Come poteva un colosso di due piani essere sparito, così nel nulla!?
Guardò la donna che l'aveva salvato proteggendolo e tirandolo fuori da quella situazione... Indossava abiti scuri e formali, ritoccati per garantire movimenti fluidi, che le davano un'aria mascolina. Ora però erano stracciati e bruciacchiati, soprattutto la parte superiore. Federico arrossì leggermente, distogliendo lo sguardo. Sembrava poco più giovane di lui, almeno come statura e silhouette ma aveva un viso molto più vecchio. Non aveva rughe, la pelle era perfetta, ma i lineamenti erano decisamente maturi. Era incredibilmente pallida, dai tratti occidentali, a parte gli occhi, leggermente a mandorla. I capelli erano di un bianco talmente puro da sembrare innaturale. Federico la trovò molto bella.
Non riusciva a capacitarsi del sacrificio con cui l'aveva tratto in salvo. Avrebbe potuto aiutarlo a calarsi dalla finestra, scappare oltre i resti della porta distrutta... Non fosse stato per la cazzo di bestia di fuoco...
Chissà dove si trovava adesso.
Una creatura simile non se ne sarebbe andata così facilmente, non dopo quello che le aveva visto fare...
Si avvicinò alla donna e constatò la mancanza di battiti. Non respirava. Non gli importava: in ogni caso non voleva lasciarla... Notò che le ferite erano aperte ma anche che, al posto del sangue, s'intravedeva una luce violetto-argentea all'interno degli squarci.
Per qualche motivo che non seppe spiegarsi gli sembrò di avere una statua di fronte, un marmo deteriorato ed incompleto ma comunque incantevole.
Gli era sempre stato detto che lui era in grado di vedere le cose per come stavano veramente ed egli credeva che fosse viva, perciò non l'avrebbe lasciata.
Provò a sollevarla. Era pesantissima... Ma non rigida. Era già un buon segno.
-Che maleducato, non si fanno commenti sul peso delle signore!- Pensò divertito.
Decise di rimandare le domande a dopo.
Non aveva bendaggi o simili perciò la coprì semplicemente con la felpa che aveva indossato durante la notte: gli abiti di lei erano a brandelli e gli sembrò il minimo.
Si fece forza e se la caricò sulla schiena stringendo i denti.
Camminò per un po' ma per qualche motivo non riuscì ad orientarsi: non trovò nessuno dei punti di riferimento che ricordava di aver visto all'arrivo. Erano completamente dispersi in un andirivieni di strade sterrate e viuzze ghiaiose, immersi nella nebbia, senza alcun punto d'arrivo visibile.
All'improvviso la ragazza ebbe un sussulto: lui s'inginocchiò e dopo averla appoggiata cautamente a terra, le carezzò la testa con dolcezza, passandole le dita fra i candidi capelli.
La guardò negli occhi: due pozzi di un nero bluastro, in mezzo ad un pallore interrotto solo dal rossore intorno alle orbite.
Federico si chiese se stesse soffrendo: doveva essere così, anche se la sua espressione non tradiva altro che una profonda stanchezza.
<<Tranquilla: sto cercando un posto sicuro per entrambi... Ti ringrazio per prima, per avermi salvato. Ti devo molto.>> non trovò altre parole.
Prima che potesse pensare a qualcos'altro da dire, la mano fredda di lei gli oscurò la vista. Tra i suoi pensieri si fece strada l'immagine di una sorta di giardino. Era inspiegabilmente sicuro di sapere come raggiungerlo.
<<Possiamo andarci se vuoi, però dovrò nuovamente trasportarti sulla schiena. Posso?>>
<<S...i>> gli rispose lei con voce rotta, muovendo appena le labbra.
Se la caricò nuovamente sulla schiena e proseguì.
Dopo un po' assunse un andatura più veloce e cominciò a sentir diminuire la fatica per effetto del rilascio di endorfina. Vide delle siepi ed alcuni ciliegi: incominciò ad attraversare il parco. Sudava incessantemente. Arrancò per un'altra mezz'ora.
Si fermò presso una fitta siepe, al limitare di una radura circolare. Incespicò su una sedia e crollò sfinito sull'erba.
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