Non potremo essere più diversi
5
Il gruppo si mosse e varcò l'entrata dello stabilimento per accedere alla spiaggia, ma proprio mentre Aurora posò i piedi sulla passerella, una voce giunse alle loro spalle.
«Ehi aspettatemi! Ci sono, scusate il ritardo», Marco li raggiunse trafelato. I capelli nerissimi e ribelli sugli occhi che oscillavano senza sosta, un paio di jeans e una semplice polo blu. Ad Aurora iniziò a battere il cuore senza preavviso, mentre dentro si riscoprì a sorridere come una bambina. Tutti i ragazzi gridarono un "era ora" e poi un "sempre con calma tu!". Poi Marco salutò le nuove arrivate trattenendo il suo sguardo proprio su Aurora, che scrutò con inaspettato interesse.
«Ciao frana», disse lui sfoderando un sorriso perfetto.
«Ciao Marco», lo salutò lei sentendo una strano formicolio sulle labbra quando pronunciò il suo nome. Credette di vedere gli occhi di Marco sorridere e per un attimo si immerse nel marrone caldo del loro colore.
Aurora seguì gli altri, ma non prima di sfilarsi i sandali bassi e di sistemarsi la piccola tracolla. Camminare sulla spiaggia di notte, sotto quel cielo stellano, immersa nella semioscurità le conferiva uno strano senso di pace. Il rumore dell'acqua che bagnava la riva, che andava e tornava bagnandole i piedi. E fu in quel momento che Aurora si estraniò perdendosi nei suoi pensieri, nelle sensazioni della sabbia fresca sotto le piante dei piedi. Era una persona introversa, spesso necessitava di qualche momento di solitudine, di silenzio.
Olga e Martina parlavano con Andrea e Cosimo, altri ragazzi e ragazze del gruppo li seguivano rimanendo un po' più indietro. La musica in lontananza suonava Lady Gaga. Era tutto come doveva essere. Aurora percepì qualcuno camminarle accanto e risvegliandosi da un sogno si voltò scorgendo Marco che con le mani in tasca e l'espressione rilassata la stava guardando. Era una quindicina di centimetri più alto di lei e dovette sollevare lo sguardo per guardarlo negli occhi.
«Stai bene?» chiese il ragazzo improvvisamente.
«Certo, perché non dovrei?» Sorrise.
Si strinse nelle spalle «Non lo so, te ne stavi qui da sola».
«Mi piace il silenzio e il suono del mare», fece un bel respiro percependo l'odore della salsedine e dell'umidità di quella sera.
«Una poetessa», sorrise lui. «Cosa studi?»
«Faccio il liceo classico, sono passata in terza. Tu?»
«Scientifico, passo in quarta. Speriamo di avere un programma di fisica più interessante quest'anno, altrimenti mi annoio», rispose lui e Aurora fece una faccia strana. «Perché mi guardi così? Fai il classico, sarai sicuramente una secchiona». Accennò un sorriso impertinente.
«Ma per niente! Sono pessima, passo sempre per miracolo. Beh, sono solo due anni. Dicono che il terzo sia uno dei peggiori».
Marco la guardò di sottecchi «Beh è vero, è uno dei peggiori».
«Sei tremendo! Perché dirmelo adesso? Poi, ma veramente ti piace la fisica? Che orrore!»
Lui rise inarcando le sopracciglia «Sì, mi piace tanto. Voglio fare l'ingegnere un giorno».
«Hai un bellissimo sogno, io ancora non ho le idee così chiare. Mi piace scrivere, ma non so ancora niente. Punto alla sopravvivenza per il momento», ad Aurora scappò un risolino e quando si rese conto della naturalezza con cui stava parlando con Marco rimase spiazzata. In genere non riusciva a mettere tre parole in riga quando parlava con un essere di sesso maschile, oppure aveva l'ansia perché si sentiva sempre da meno o inadeguata. Invece con Marco era tutto diverso, per la prima volta in assoluto. Era un qualcosa che le metteva i brividi.
«Certo che non potremo essere più diversi, ma come si dice... gli opposti si attraggono», sentenziò lui inchiodandola con gli occhi scuri.
Aurora perse un battito. Era serio?
Non sapeva cosa dire, in genere era una vera frana a rispondere a quel genere di affermazioni e ancora non aveva capito in che senso lo avesse detto. Probabilmente stava scherzando.
Si schiarì la gola «Già, così dicono. Quanto è lontano questo posto?» Cambiò discorso.
Lui rimase in silenzio squadrandola da capo a piedi «Non molto, siamo quasi arrivati. Ti sei rabbuiata?» La guardò come se volesse trapassarle il cuore.
«Assolutamente no», gesticolò con le mani in modo impacciato.
«Bene», si limitò a dire lui prima di avvicinarsi repentinamente a lei e sollevarla tra le sua braccia.
Aurora rimase interdetta «Cosa... che stai facendo?» Balbettò quando si sentì stingere dalle sue braccia salde. Le mani roventi sulle sue gambe bruciarono di una strana e sconosciuta sensazione.
Non avrebbe mai fatto una cosa del genere, giusto?
«Ti faccio sorridere e...». Lui però non riuscì a concludere la frase perché Aurora si divincolò dalla sua presa e per sbaglio lo colpì in faccia con una ginocchiata. La ragazza si sentì di nuovo libera dalla sua presa quando toccò di nuovo terra con un balzo. Marco era piegato in avanti con una mano sulla bocca.
L'aveva fatto di nuovo, si voleva davvero sotterrare.
La ragazza si avvicinò subito a lui sentendo il volto andare a fuoco per la vergogna «Oddio, scusami scusami. So che ti ho fatto male questa volta». Gli sfiorò una spalla con la mano, in modo involontario per attirare la sua attenzione. Marco sollevò lo sguardo su di lei con un sorriso sghembo e un leggerissimo accenno di rosso sul labbro inferiore.
«Mi hai proprio preso di mira, dimmi la verità».
«É colpa tua, mi hai presa alla sprovvista». Provò a giustificarsi la ragazza.
«Adesso ti tocca. Un bacino per farti perdonare», si sporse inaspettatamente verso di lei.
«Come?» Aurora non si mosse, mentre Marco si avvicinava a lei con l'espressione divertita, ma proprio a qualche centimetro di distanza lui decise di ruotare il volto porgendole la guancia.
Aurora spinta da una sconosciuto desiderio di scoperta decide di poggiare le labbra sulla guancia di quell'assurdo ragazzo e sembrò che tutto si fosse fermato di fronte a quel semplice, innocuo e ingenuo contatto. Qualcosa si attorcigliò introno al suo cuore, ma dette colpa all'imbarazzo del momento. Quel contatto tra le sue labbra ardenti e la guancia fredda di Marco sembrò durare molto di più di qualche millesimo di secondo, come se fosse a rallentatore.
Lui si ritrasse e dopo averle lanciato uno sguardo dolce, le sorrise e si allontanò per tornare dai suoi amici. Non ci fu neanche il tempo di riflettere sull'accaduto che giunsero alla festa, dove luci stroboscopiche illuminavano uno spiazzo di sabbia. Una folla di ragazzi e ragazze in mezzo a ballare e a divertirsi. Fu così che l'intero gruppo del bagno Stella, compreso delle nuove arrivate si lanciò nella festa. Aurora era felice, si divertiva mentre ballava con le sue amiche. Si dimenarono sulle note di Just Dance di Lady Gaga, uno dei tormentoni di quell'anno, mentre la pelle si imperlava si sudore. Aurora si arrotolò la camicia fino ai gomiti, sudata fradicia per colpa di quei salti scatenati che facevano salire la sabbia. Ballò abbracciando le sua amiche, insieme ai ragazzi che la fecero volteggiare su se stessa così tante volte che le girava la testa. Non aveva bevuto niente, non lo faceva mai. Aveva paura degli effetti collaterali.
In mezzo al caos generale, alla musica, a quell'estate già nel suo pieno, Marco era scomparso dopo nemmeno mezz'ora dal loro arrivo. Aurora si era poi persa nell'improvviso divertimento di quella serata. Quando giunse mezzanotte, e le luci si spensero, uscirono tutti quanti sulla passeggiata. Aurora, sbadigliando, aprì la piccola tracolla nera per prendere il cellulare e mandare un messaggio a sua madre per avvertila che sarebbe tornata presto. Del resto c'era il coprifuoco e non poteva permettersi di fare tardi. Quando si rese conto che il cellulare non c'era più si lasciò andare a una imprecazione.
«Merda! Mi hanno rubato il cellulare», si passò una mano tra i capelli, ormai tornati il solito groviglio ingestibile per colpa dell'umidità e del sudore.
Le sue amiche dispiaciute le si avvicinarono cercando di capire se poteva esserle caduto, ma era chiaro che glielo avessero rubato. Provarono a fare qualche squillo, ma dava sempre irraggiungibile. Perfetto, la serata si era conclusa benissimo.
«Che succede?» Marco comparve alle spalle del gruppo, riunito in quel momento attorno ad una panchina.
«Non ci credo, c'eri anche tu? Non me lo ricordavo nemmeno!» Lo prese in giro Pietro, con la camicia sbottonata fino a metà petto e le maniche arrotolate fino ai gomiti. Anche lui era sudato fradicio.
«Spiritoso come sempre» Marco roteò gli occhi, rimasto impeccabile.
«Niente, mi hanno rubato il cellulare e per di più è tardi, dobbiamo tornare a casa. Mia mamma ci uccide, lo sapete», disse Aurora sospirando e rivolgendosi alle sue amiche.
Si incamminarono sulla passeggiata deserta, senza scarpe. Eh si, perché i geni dei loro nuovi amici avevano suggerito di lasciarle al bagno Stella sotto la casetta di plastica dei bambini perché sarebbero passati dalla spiaggia e dopo, durante la festa, sarebbero state d'intralcio. Il problema era che era molto tardi e avrebbero fatto prima passando per la passeggiata, anche se voleva dire farlo scalze.
Dovevano assolutamente lavarsi i piedi con la varichina prima di andare a letto.
Mentre camminavano nel silenzio di una passeggiata ormai deserta, con i bar e i negozi chiusi, chiacchierando della serata che avevano passato tutti insieme, si ritrovarono davanti un pezzo di strada piena d'acqua. Il proprietario del locale doveva aver innaffiato i vasi di fiori che circondavano lo spazio a lui riservato per i tavoli. Aurora sbuffò, ma non gliene importava niente di camminare scalza in mezzo a quell'acqua scura. Ormai sporca per sporca, si disse. Poi non era un tipo schizzinoso, per lo meno non come Olga che si era bloccata prima della primissima mattonella bagnata.
Marco apparve di nuovo accanto ad Aurora e quando lei abbassò gli occhi sui suoi piedi notò un piccolo particolare.
«Come mai tu hai le scarpe e noi stupidi stiamo camminando scalzi?» chiese lei senza riuscire a essere seria.
«Me le sono portate dietro, non te ne sei accorta?»
«No, ma sei stato più furbo di me».
«Vieni qua, ti porto io», disse lui bloccandola lievemente per un braccio.
«In che senso? Tranquillo non è un problema, ormai i miei piedi sono neri». Ridacchiò lei.
Lui però le si parò davanti e si accucciò per permetterle di salirgli sulle spalle. Lei lo guardò aggrottando la fronte chiedendosi se fosse serio, ma lui non si mosse, anzi, continuò ad esortarla a farsi portare in spalla.
Alla fine Aurora cedette e con un balzò si agganciò con le braccia al suo collo, mentre lui le teneva le cosce ben salde ancorate ai suoi fianchi. Aurora si sentiva un piccolo Koala, mentre il cuore era partito alla riscossa contro il suo petto. Sperò che in quella posizione, con il suo petto appiccicato alla sua schiena, lui non potesse percepire quelle vibrazioni. Lui al contrario camminava disinvolto, come se stesse trasportando lo zaino della scuola.
«Ti sei divertita?» le chiese mentre Aurora faceva di tutto per non dover essere costretta ad appoggiare il mento sulla sua spalla.
«Molto, è stata davvero una bella serata. Tu dov'eri? Sei sparito». Si morse la lingua.
Percepì un sospiro prima di udire una risposta piatta «A telefono».
«Per questo ti sei portato le scarpe?»
«Esatto. Per non consumarmi le piante dei piedi sulla pietra mentre facevo su e giù». Le sembrò di percepire le sue labbra tirate in un sorriso, mentre a lei scappò un risolino.
«Hai fatto bene allora. Peccato comunque, è stato divertente».
Rimasero in silenzio. Aurora si sentiva quasi al sicuro, cullare dalla stretta di Marco. Quando per sbaglio appoggiò il volto nell'incavo del collo del ragazzo percepii un profumo buonissimo che non seppe descrivere con precisione, ma sapeva in uno strano modo di serenità. Di biscotti appena sfornati, probabilmente alla cannella. Sapeva di casa. E lei probabilmente era troppo stanca per formulare un pensiero sensato.
«Comunque stai meglio con i capelli mossi» sussurrò Marco strappandole un sorriso e accendendole una strana felicità dentro.
«Grazie». Arrossì violentemente.
«E mi dispiace per il tuo telefono, anche se parliamoci chiaro era inguardabile» percepì il suo sorriso impertinente.
«A me piaceva!» Adorava il suo Nokia color oro che si apriva ruotando su se stesso. «Poi senti chi parla, quello con il cellulare femminile rosa». Rise.
«Era di mia madre e non me ne frega niente di questi aggeggi, non voglio esserne schiavo» sentenziò chiudendo il discorso. Certo che sembrava davvero un ragazzo serio con dei sani principi, a volte non sembrava affatto avere solo diciassette anni.
Lo spiazzo ridondante d'acqua era finito e Marco appoggiò Aurora per terra. Quel movimento fece aderire i loro corpi in una semi carezza imbarazzante per entrambi, ma rimasero in piedi vicini, come se nessuno dei due volesse allontanarsi.
Forse è vero: gli opposti si attraggono sempre.
🌹Spazio autrice🌹
La piccola storia sta prendendo forma. Fatemi sapere se vi piace.
Un abbraccio, Amelie.
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