Parte 23
Jack
"Dove mi stai portando?"
"Pazienta, siamo quasi arrivati."
"Neanche un indizio, uno piccolissimo?"
Lascio andare un respiro.
"Il primo posto che mi sono sentito di chiamare casa..." Scendo giù per la rampa. "Ecco, ci siamo."
Le spalanco la portiera, invitandola a scendere dall'auto. La prendo per mano e la guido attraverso il parcheggio sotterraneo.
Dopo una lenta risalita fino al sessantesimo piano, usciamo dall'ascensore: rumore di tasti picchiati, profumo di carta e caffè.
Cerco di entrare nella sua testa e percepire quello che mi circonda con i suoi occhi bui.
"Mi sa che siamo davvero in alto." Lo sussurra appena, non sapendo dove si trova.
È di una tenerezza disarmante.
"Benvenuta a '360°'." Soffio quelle parole al suo orecchio.
"La tua rivista!" Sorride entusiasta.
"Lo so, non è un ristorante di lusso, ma ho pensato che ti sarebbe piaciuto fare un tour della mia vita lontana dai drammi!"
"Che cosa stiamo aspettando? Mostrami il tuo Mondo!"
Camminiamo lungo i corridoi; qualche testa si alza al nostro passaggio, accenna un saluto e torna china sui tasti.
"La redazione occupa diversi piani. Ogni reparto è stato collocato in postazioni ben precise. Ci occupiamo di tutto: politica, viaggi, moda, gossip... Pensa ad un argomento e io ti posso assicurare che troverai una pagina a lui dedicato. Ci avvaliamo anche di personale esterno, contratti freelance. '360°' è una famiglia allargata; ho scelto personalmente ogni membro del mio team. La parola eterogeneo l'abbiamo inventata noi."
"Jack, ciao. Non pensavo di trovarti qui a quest'ora."
"Ciao, Nicol. Sono solo di passaggio, speravo di passare inosservato e sgusciare verso il mio angolino senza essere visto." Stringo la mano della donna al mio fianco. "Nicol, ti presento Judy Medly. Judy, lei è Nicol Tep, la mia segretaria personale e i miei occhi quando non sono in redazione."
"Molto lieta, Nicol." Judy porge subito la destra.
"Piacere mio."
"Se non ci sono problemi, vorrei finire il tour..."
"Certo. Ti mando una e mail su un nuovo possibile acquisto. Ho letto alcune pagine online di un ragazzo che sta scrivendo un diario di viaggio. A mio avviso, è davvero promettente."
"Magari sul tardi gli darò uno sguardo. Adesso, scusaci, ma dobbiamo proprio scappare."
Dopo un saluto frettoloso, raggiungiamo finalmente la porta del mio studio.
"Benvenuta nella mia umile dimora."
"Fammi immaginare: ufficio d'angolo con vetrate enormi, angolo bar, bagno privato, divano spazioso di pelle..."
"E io che volevo stupirti! Comunque ti sei dimenticata del mio povero ficus!" La accompagno fino al sofà. "Vuoi qualcosa da bere?"
"Acqua, grazie."
Torno da lei con le nostre bevande e mi accomodo. Judy afferra la bottiglietta mentre io inizio a sorseggiare il mio drink.
Starei ore a guardarla, così, immersi nel silenzio.
A chi voglio raccontarla, dopo un solo minuto, i miei buoni propositi sono già andati a farsi benedire. Devo frenare ogni istinto che mi chiede a gran voce di pomiciare con lei, come due ragazzini.
"Ritorna al presente, Jack. Non faremo nulla di sconveniente in questa stanza."
Mi entra nella testa, mi legge.
"Dai, racconta. Cosa ti ha spinto a creare tutto questo?"
Caccio via ogni mio pensiero impuro e concentro lo sguardo sul bicchiere tra le mani.
"Non cosa... Chi. William Ross, il mio professore di lettere all'università. In poche parole: un gran bastardo." Sorrido mentre i miei pensieri viaggiano nel passato.
"Sbaglio, o sento della tenerezza nella tua voce?"
Annuisco.
"In realtà, non abbiamo iniziato con il piede giusto. Diciamo che non stavo vivendo un periodo roseo della mia adolescenza." Eufemismo del giorno. "Ricordo ancora il nostro primo scontro. Avevo iniziato da un paio di mesi il primo anno alla Northeastern University."
"La NEU a Boston!?"
"Ci ho vissuto praticamente tutta la vita, prima di venire qui a New York. Ci siamo trasferiti appena mia madre ha avviato le pratiche per divorziare da mio padre."
"Scusa, ti ho interrotto. Vai avanti."
"Dicevo, avevo iniziato il mio primo semestre universitario.
Di giorno seguivo le lezioni, di notte lavoravo in un pub come lavapiatti, per racimolare un po' di soldi. Quel mattino, quando ho raggiunto l'aula, ero talmente stanco che mi sono addormentato sul banco." Mi strofino la faccia con la mano, al ricordo delle notti in bianco. "Ad un certo punto, un tonfo a un millimetro dal mio orecchio mi ha svegliato di colpo. Era stato così improvviso che ero caduto persino dalla sedia. Il bastardo aveva preso in prestito i libri dei miei compagni e quando aveva raggiunto un numero soddisfacente, li aveva sbattuti tutti insieme vicino alla mia testa. Se ha finito il pisolino, la pregherei di riconsegnare i volumi ai suoi colleghi e seguire la lezione." Scimmiotto la voce roca del professore. "Una figura di merda plateale!"
"Immagino l'imbarazzo." Ridacchia.
"Mi conosci, non sono uno che si imbarazza tanto facilmente. Appena mi sono ripreso dallo spavento, gli ho detto che era stato lui a prendere tutti quei libri, quindi non era compito mio restituirli ai legittimi proprietari. Poi mi sono alzato, raccattato le mie cose e sono uscito dall'aula. Non ho fatto neanche due passi che ero di nuovo a terra, con lo zaino a mo' di cuscino, e ho ripreso a dormire. Persino il suono della campanella non era riuscito a svegliarmi."
"Che cosa è successo?"
"Acqua. Una intera bottiglietta d'acqua."
"Ti ha inzuppato?"
"Sì, e offerto una tazza di caffè."
Non ho nulla da darle in cambio.
'Beato colui che non si aspetta nulla, perché non verrà deluso.'
Gilbert Keith Chesterton.
Penso che andremo molto d'accordo, Signor Meiser.
"Fiducia. La mia se l'è guadagnata pian piano."
Una piccola stretta e Judy mi riporta per un attimo al presente.
Afferro le nostre bevande e le poso sul tavolino di vetro davanti a noi.
Torno da lei e me la stringo al petto; riprendo a ricordare.
"Ero il migliore del suo corso. Studiavo come un matto e lavoravo nei momenti liberi, o meglio, praticamente tutte le notti. A volte mi scordavo di mangiare e mi toccava accontentarmi delle noccioline scadenti che offriva il pub. Da lavapiatti, sono passato a servire in sala, poi dietro il bancone; ho fatto praticamente tutta la gavetta.
Dormivo ancora durante le sue lezioni, me lo permetteva; era l'unico che sapeva cosa stavo attraversando. Perché Lui c'era in quel locale: veniva spesso a trovarmi, sorseggiava il suo Cognac e parlava con me di letteratura.
Un giorno, con i contanti, mi aveva allungato il suo numero privato."
Per qualsiasi cosa, chiamami.
"L'ho infilato nel portafogli, senza alcuna intenzione di utilizzarlo veramente.
Non potevo immaginare la piega che, da lì a poco, avrebbe preso la mia vita.
Non potevo immaginare di dover seppellire mia madre."
Professor Ross, sono Jack... Jack Meiser. È successa una cosa... Non so davvero a chi chiedere... Ho bisogno di aiuto.
"William mi ha dimostrato ancora una volta che avevo riposto la mia fiducia nella persona giusta: dopo il funerale, ci ha preso con sé.
Io e Josh siamo diventati come dei figli per lui. Non si era mai costruito una famiglia, non ne sentiva il bisogno. Eppure, ci ha accolto nella sua casa: ci ha mandato dallo psicologo, aiutato nelle spese, con le rette.
È stato come un padre. L'unico che ancora oggi mi sento di poter chiamare con quel nome, anche se non gliel'ho mai detto.
Grazie alle sue conoscenze, ho trovato lavoro in un piccolo giornale. Ho cominciato dal basso, di nuovo, e piano piano mi sono fatto largo fino a vedere i miei pezzi pubblicati."
'Com'è inutile sedersi a scrivere se non ti sei prima alzato a vivere.'
Perché mi citi Thoreau? Forse non sono stato all'altezza delle tue aspettative?
Hai appena iniziato il tuo percorso, ma non pensare che qualche piccola pubblicazione facciano di te uno scrittore, un giornalista. Vivi, Jack, e poi impugna la penna e inizia a tracciare la tua storia.
"Testa sul collo e piedi ben piantati a terra; mi ha tenuto ancorato alla realtà. Mi ha guidato fino alla fine dei miei studi, fino al giorno della mia laurea."
Jack Meiser.
Congratulazioni, figliolo. Ottimo lavoro.
Nessuna citazione?
'Il modo per iniziare è quello di smettere di parlare e iniziare a fare.'
Questa non la conosco.
Walt Disney, Jack. Il caro, vecchio, Walt.
"Deve essere molto fiero di te, di tutto quello che hai costruito in questi anni."
"Purtroppo non mi è dato saperlo. William è venuto a mancare tredici anni fa."
'Vivere è la cosa più rara del mondo: la maggior parte della gente esiste, questo è tutto.'
Oscar Wilde.
Jack, grazie a te e a tuo fratello, sono felice di poter affermare di aver vissuto davvero.
"Mi dispiace."
"È stato un grande uomo. Un onore conoscerlo e accompagnarlo in un pezzetto di vita.
Se all'inizio è stato lui a prendermi per mano... alla fine è stato il mio braccio a sostenerlo fino all'ultimo dei suoi giorni."
Restiamo in silenzio, quasi a celebrare il ricordo del mio mentore.
Con le dita accarezzo il fianco morbido di Judy, mentre godo del suo tocco sul petto.
Un continuo dare e avere.
"Come ti è venuto in mente di aprire una tua rivista?"
"Sempre grazie a Lui.
Pochi giorni dopo il funerale, mi ha contattato il suo avvocato. Aveva fatto testamento lasciandoci tutto in eredità: la sua casa, il denaro guadagnato nel corso della sua carriera. Tra i vari documenti, una lettera: 'La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.' Arthur Schopenhauer.
Mi sono fatto coraggio e ho iniziato a scrivere il mio libro. Ho deciso di realizzare la mia rivista."
"Doveva essere una persona meravigliosa."
"Un gran bastardo. L'uomo migliore che io abbia mai conosciuto."
Judy
"Ti va di andare a mangiare un boccone?"
"Qualcosa di veloce, domani ho una giornata abbastanza stressante ad attendermi. E poi non voglio sfruttare troppo Alex. Queste ore di babysitteraggio, mi costeranno care."
"Facciamo così: ordiniamo del sano cibo d'asporto, prendiamo Angel e andiamo ad abbuffarci da te. Cosa ne pensi?"
"Mi sembra una buona idea. A te l'onore di avvisare Alex." Ridacchio.
"Malefica!"
Lo sento premere qualche tasto e un secondo dopo rimbombano gli squilli nelle casse dell'auto.
"Pronto, Jack!"
"Ciao, Biondina. Io e la mamma stiamo venendo a salvarti. Passiamo a prendere qualcosa di buono da mangiare... Preferenze?"
Mi porto una mano davanti alla bocca e tossisco un 'Codardo'. Per tutta risposta lo sento bisbigliare 'Furbo, semmai' nella mia direzione.
"Cinese! Che bello, ti fermi da noi tutta al notte?"
"Angel..."
"Ah! Siamo in vivavoce a quanto pare. Ciao, Mamma."
"Tesoro, vai a prepararti, tra..."
"Mezz'ora siamo da te. A dopo, Angel!"
"A dopo."
La telefonata si interrompe e cala il silenzio. Ma è una questione di pochi istanti e la voce di Jack irrompe nell'abitacolo.
"Cosa c'è da ridere?"
"Diciamo che la tua undicenne è... terribile e spettacolare insieme. Lo sai che è a conoscenza..."
"Di cosa? Parla chiaro, per favore."
"Che noi abbiamo fatto sesso."
"E chi glielo avrebbe detto, di grazia?"
"Colpevole. Ma, a mia discolpa, mi ha preso contropiede e non ho saputo ribattere in altro modo."
"In poche parole, ti ha fregato! Quella ragazzina è terribile! Tutta suo padre!"
"Ben... Com'era?"
Immagini, fotografie della nostra vita insieme, sgusciano fuori dai cassetti della memoria.
Prendo un respiro che sa di nostalgia.
"Timido, anche se non voleva darlo a vedere. Non era assolutamente romantico, ma poi ti stupiva con piccoli dettagli. Parlava poco, mai a sproposito, ma se voleva qualcosa... ti rigirava fino a quando non gliela concedevi." Sorrido al ricordo. "Mi amava e adorava il nostro piccolo angelo. Quando ha saputo che sarebbe stata una femmina, parlava alla pancia chiamandola Principessa.
Ci siamo sposati l'anno dopo la sua nascita. Quando ho varcato la porta, Ben mi aspettava davanti al Giudice di Pace con lei tra le sue braccia.
Angel dormiva serena, sapeva che lui l'avrebbe protetta per sempre.
L'unica promessa che non ha potuto mantenere."
"Di cosa è morto?"
"Tumore alle ossa, uno dei mali peggiori. Persino la morfina, alla fine, non gli dava sollievo. Ma lui sorrideva sempre, anche nel dolore.
Faceva il meccanico; prima di ammalarsi aveva iniziato ad aggiustare una vecchia Mustang per Angel. Ci lavorava nei ritagli di tempo, voleva che fosse perfetta, sicura per la sua bambina. Ma sono comparsi i primi sintomi e la macchina è rimasta a prendere polvere nel garage. Dopo la sua morte, a volte ci ritornavo per vederlo ancora nella mia testa. Lui, con la sua tuta blu, i baffi di grasso sulla faccia sorridente, mentre ci rincorreva con le mani sporche... e la nostra piccolina che scappava ridendo fino alle lacrime."
Lacrime, quelle che adesso spingono per cadere oltre i miei occhi al solo pensarci.
Una presa salda mi circonda la mano.
"Sai... Angel crede che sia stato Ben, a portarti da noi."
Mi mordo la lingua; forse ho sbagliato a dirglielo.
Cala un silenzio che sa di riflessione.
"Grazie, Ben, per avermi trascinato nel suo Studio. Se per te va bene... da qui ci penso io. Mi prenderò cura delle tue donne."
Gli argini si spezzano. Anche la voce.
Stringo più forte le dita alle sue.
"Grazie, Ben." Lascio andare quelle parole, un po' tremante.
Libero un po' di spazio nel mio cuore e permetto all'uomo al mio fianco di riempirlo.
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