Parte 2
Un profumo di caffè appena fatto aleggia tra le mura.
Ombra al mio fianco scodinzola come una matta.
"Karen?"
"Buongiorno, ragazze. Ho appena fatto il caffè, te ne verso una tazza?"
La voce della mia segretaria ci accoglie mentre varchiamo la porta d'ingresso.
Lascio la presa sul guinzaglio e sento i passi della mia fedele cagnolona che si dirigono verso il cucinino.
"Per te un biscottino, vero?" Ombra abbaia piano in risposta.
Mi abbasso per appoggiare la borsa e mi tolgo il cappottino che va a finire sull'attaccapanni dietro la porta. Con il mio navigatore mi dirigo nella direzione dove sento sgranocchiare.
"Grazie, ormai a casa non lo prendo più. Angel deve ancora prenderci la mano con la moca. Mi ha detto che è a tanto così da capire la quantità di macinato da mettere." Faccio segno con le dita. "Forse le faccio un favore se acquisto una macchina con le cialde, ma si sta impegnando talmente tanto che non la vorrei deludere."
Una risatina.
"Quella bambina è un vulcano."
Una tazza mi arriva prontamente tra le mani, afferro il manico e inizio a sorseggiare la bevanda calda.
"Il primo appuntamento è tra mezz'ora, si tratta di Lucas Tucks. Ti ho già preparato la registrazione dell'ultima seduta." Efficienza è il suo secondo nome.
"Perfetto, allora io mi dileguo nell'altra stanza. Prima che mi dimentichi... dovrebbe arrivare un pacco per te."
"Per me?"
"Sì, da parte del vulcano." Non posso che sorridere a quel nomignolo.
"Non mi dirai altro, vero?"
"Bocca cucita! Non me lo perdonerebbe se ti rovinassi la sorpresa! Vado di là, grazie ancora per il caffè!"
Mi dirigo a passo sicuro verso la porta che dà al mio ufficio personale. Un sorriso sulle labbra si dipinge al pensiero dell'acquisto che il giorno prima Angel aveva insistito che facessi per Karen.
Mamma, pensa a quanto le sarà comodo lavorare con un auricolare al posto del telefono! Potrà muoversi liberamente e restare sempre connessa con i clienti! L'altra settimana, per recuperare i documenti che le servivano, quasi si strozzava con il cavo.
È proprio da lei preoccuparsi per tutti.
Trovo la maniglia della porta e varco la soglia, un lieve profumo di lavanda mi raggiunge. Tocco la scrivania, faccio il giro e prendo posto sulla poltroncina. Quando sento con la mano libera il piccolo dispositivo di registrazione, premo il pulsante e inizio ad ascoltare la seduta precedente.
Sono mesi che Lucas mi intrattiene con i suoi problemi con le donne. Un uomo insicuro, cresciuto dalla madre e dalla nonna materna, senza aver mai avuto una figura maschile su cui fare affidamento. Rimasto solo all'età di quarantacinque anni, cerca di trovare il suo posto nel mondo e, magari, una donna da amare. Ma tutti i suoi appuntamenti finiscono sempre alla stessa maniera: rifiutato.
Inizio a formulare piccoli appunti e quando li ho ormai chiari in testa, mi giro verso il PC, indosso l'auricolare e inizio a riportare i dati.
Ci sono voluti alcuni mesi dopo l'incidente, ma con l'ausilio di alcuni aiuti vocali e dopo aver imparato a memoria la tastiera del computer, sono tornata ad essere autonoma.
Sono persa nei miei pensieri quando un lieve bussare mi indica che il mio paziente è arrivato.
"Avanti."
"Buongiorno."
"Lucas, prego si accomodi."
Sento dei passi pesanti che si dirigono verso la finestra.
Il rumore della pelle mi indica che ha preso posto.
Anni prima avevo arredato quello spazio con mobili neutri, una poltroncina di fronte alla scrivania e una chaise longue. Ho sempre lasciato che i miei pazienti avessero la possibilità di accomodarsi dove ritenevano di essere più a loro agio.
Ricordo ancora i dettagli della stanza: i soprammobili color pastello per ravvivare gli spazi, i quadri paesaggistici che decorano le pareti grigio chiaro, uno per ogni stagione, e i tomi di psicologia, ormai inutilizzati, lasciati sugli scaffali a prendere polvere. Insomma, nulla di troppo personale che potesse gettare luce sulla mia privacy. Col tempo, non ho fatto grandi cambiamenti, se non prendo in considerazione la morbida cuccia per Ombra, messa in un angolo per quando mi devo trattenere fuori orario.
Scambiati i soliti convenevoli, premo il tasto per registrare il colloquio e mi immergo nella testa del mio paziente.
La pausa pranzo arriva come una manna dal cielo.
Le energie che devo impegnare ad ogni incontro, mi lasciano sempre un po' spossata.
Entrare nelle loro menti, leggere le loro emozioni solo dal timbro della loro voce o dalla scelta delle parole che utilizzano per rispondere alle mie domande, comporta un lavoro non indifferente.
La mimica facciale è sempre stata un punto a mio favore per compiere il mio dovere verso i miei pazienti, ma da alcuni anni a questa parte ne devo fare a meno. Così mi trovo ad estrapolare le informazioni da ciò che le persone mi lanciano. Persino lo scricchiolio della pelle che riveste il mobilio, mi è utile per capire le emozioni di chi ho di fronte. Ogni particolare che catturo lo faccio mio, lo custodisco gelosamente.
Mi scrollo la fatica di dosso e mi concentro per arrivare, sana e salva, alla tavola calda al fondo della via. Ombra si ferma appena raggiungiamo la nostra destinazione, si sposta verso sinistra e mi tocca la gamba con il muso. Alzo la mano fino a quando non trovo la maniglia. Spalanco la porta, un campanellino sulla nostra testa avvisa i camerieri della nostra presenza.
"Ciao, Judy. Ciao anche a te, Ombra."
"Ciao, Max. Hai ancora un tavolo disponibile per noi?"
"Certo. Non c'è Karen, oggi?"
"No, ha avuto dei problemi a casa e nella pausa pranzo le arriva il tecnico, ma mi ha detto di salutarti."
"Ah, grazie."
Noto una sorta di dispiacere nella voce, ma Max si riprende subito e ci guida verso il primo tavolo disponibile, mi aiuta ad accomodarmi e prende ad elencare il menù del giorno.
"Dalla bava che sta producendo, penso che la nostra amica qui sotto, prenderebbe tutto e anche il bis."
Scoppiamo a ridere.
Dopo aver deciso, scosto la sedia, dico ad Ombra di aspettarmi e mi dirigo verso la toilette per lavarmi le mani.
Anche se non ho mai visto il locale, conosco a memoria la disposizione della sala e, grazie al mio navigatore personale, riesco a destreggiarmi senza problemi. Devo anche ringraziare Max che ha sempre un occhio di riguardo e cerca di farmi sedere in posizioni strategiche, in modo tale da permettermi di muovermi senza difficoltà.
Mi sto insaponando le mani quando sento la porta del bagno aprirsi, un lieve profumo maschile mi arriva alle narici. Di riflesso mi giro verso questo.
I passi della persona appena entrata si fermano al lavandino vicino al mio. Mi soffermo ancora un momento per respirare l'odore che mi attrae come un'ape al miele.
Sento uno sbuffo divertito e mi rendo conto che il mio attardarsi, possa esser visto in maniera sbagliata.
Chiudo l'acqua e cerco il dispenser della carta per asciugarmi le mani. Con il piede localizzo il cestino dei rifiuti e la butto.
"Ti piace?"
Il silenzio, ristabilito dalla chiusura dei rubinetti, viene spezzato da una voce profonda e roca.
È troppo vicino per i miei gusti, mi costringo, pertanto, a fare una leggera marcia indietro, stando attenta a non perdere la cognizione dello spazio.
"Come, prego?"
"Ti piace quello che vedi?"
Mi scappa una risata per la scelta delle parole appena pronunciate.
"Mi sa che ha frainteso."
Sposto il corpo e con la mano cerco il mio bastone, lo trovo e lo porto difronte a me.
Mantengo un sorriso sul viso mentre faccio oscillare il mio navigatore alla ricerca di possibili ostacoli che potrebbero sbarrare il mio cammino.
Una risata mascolina riverbera per tutta la stanza, fino a penetrare nelle mie ossa.
Premo sulla porta ed esco, proseguo fino a raggiungere il mio posto, dove la mia labrador nera mi sta aspettando paziente.
Mangio senza fretta, accompagnando il cibo verso il centro del piatto, ogni tanto allungo un grissino verso il basso.
Il cellulare interrompe il mio pasto; accetto la chiamata domandandomi chi potrebbe essere.
"Pronto?"
"Sono Karen. Judy, la situazione è più lunga del previsto, in più ho mezza cucina allagata. Non penso di arrivare in tempo per le due."
"Nessun problema. Non ci sono appuntamenti, giusto? Mi dedico ai fascicoli sul PC; spero solo di non fare danni."
"In realtà, ho preso una telefonata prima di chiudere, dovrebbe passare un nuovo paziente. Te la senti di occuparti del ricevimento? Altrimenti gli telefono e rimando ad un altro giorno."
"Ma no, figurati, ci penso io. Poi domani riguardiamo insieme gli appunti e prepariamo il file. Karen, prima di lasciarti allo tsunami della tua cucina, volevo solo dirti che Max mi ha chiesto di te. Era un po' triste quando ha scoperto che non mi avresti raggiunto."
"Davvero?"
"Te l'ho detto che è cotto!"
"È così carino. Non riesco davvero a capire cosa possa vedere in me!"
"Non cominciare, sei stupenda! Ne riparliamo domani, non mi piace quando ti butti giù!"
"Va bene. Ci vediamo domani allora. Porto i cornetti per farmi perdonare!"
"L'hai detto! Per me crema! Ciao, Karen."
"Ciao, Judy."
Quando il cameriere torna con il conto, afferro il portafoglio e inizio a toccare le banconote fino a quando non ho raggiunto la cifra. Sto per porgerla, ma il mio gesto viene bloccato.
"Oggi è tutto offerto."
"In che senso?"
"Un uomo mi ha detto che ti voleva offrire il pranzo."
"Chi?"
"Non l'ho mai visto, ma ha già pagato entrambi i conti e si è dileguato."
"Non so cosa dire."
"Non dire nulla." Ridacchia divertito.
"In realtà, vorrei scambiare due paroline con te. Hai tempo?"
"Sì, l'orario di punta è finito ormai."
"Quanto ti piace Karen?"
Un colpo di tosse gli sfugge dalle labbra.
"Sarò cieca Max, ma non sono sorda."
"Mi hai preso alla sprovvista. Karen... è bellissima e così allegra e indipendente e intelligente."
Non riesco a trattenermi e le mie labbra si aprono in un sorriso.
"Perché non la inviti ad uscire."
"Ho paura di un suo rifiuto. Sono solo un cameriere." Lo fermo subito.
"Datti una possibilità. Karen non è una ragazza superficiale, il suo metro di misura non è il lavoro o la macchina che guidi."
"Anche perché non ce l'ho nemmeno l'auto."
"Hai capito cosa intendo. Domani cercherò di portarla con me, il resto sarà in mano tua." Penso abbia annuito.
Mi alzo e dopo aver indossato il cappottino, afferro il mio bastone, il maniglione di Ombra e vado verso l'uscita.
"A domani, Max, passa un buon pomeriggio."
"Grazie, Judy! Ci vediamo domani, non vedo l'ora."
Prima di procedere fuori dal locale, tocco l'orologio al mio polso: "È l'una e trentacinque minuti." Perfetto, ho tutto il tempo di portare la mia amica verso il parco per farla correre un po'.
Appena avverto il cambiamento sotto le suole delle mie scarpe, lascio andare Ombra che parte per una corsetta liberatoria.
Se quando mi muovo devo tenere i sensi all'erta, nel momento in cui mi fermo i miei pensieri prendono il sopravvento.
Lontana da tutti, famiglia, lavoro e amici, è in questi attimi che mi permetto di essere triste. Potessi, urlerei pure per cacciare i demoni che mi tormentano.
No, quelli li lascio uscire di notte. Strisciano via dai miei inutili occhi, silenziosi come serpenti.
Il passo affrettato di Ombra mi distoglie dalle mie elucubrazioni, il suo tartufo bagnato tocca le mie dita.
"Pronta? Torniamo indietro, piccola. Andiamo a conoscere una persona nuova."
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