Parte 17
Odore di disinfettante.
Disinfettante misto a qualcos'altro.
Cerco di mettere ordine nella mia testa confusa.
"Ti sei svegliata, finalmente." Quella voce profonda.
Il suo timbro viscerale mi entra dentro, dissipa le ragnatele nel mio cervello.
"Sono in ospedale?" Deglutisco a vuoto.
"Sì." Lascia andare un sospiro eterno.
"La seduta... Angel!" Le mie sinapsi si rimettono in moto.
Mi alzo di scatto, ma vengo colta dalle vertigini.
"Ehi, calma. È tutto a posto. La tua ragazzina è qui con noi, si è assopita poco fa. Tu, piuttosto, come stai?"
Una sua mano mi afferra prontamente, diventando il fulcro della mia precaria stabilità. Un mugolio e il pelo morbido di Ombra mi sfiora, mi calma all'istante.
"Ciao, musona. Ci sei anche tu! Perché sento odore di patatine?"
"Abbiamo fatto un pasto poco salutare mentre aspettavamo che ti riprendessi."
"Dov'è?"
"Qui, su una poltroncina. Ho corrotto un'infermiera per averla."
La mia bambina. Si sarà spaventata a morte.
"Grazie."
"Sei stesa lì sopra a causa mia... Non credo di meritare un ringraziamento per questo." Colpevolezza, rimpianto.
"Ho esagerato, ma la colpa è solo mia. Conosco i miei limiti..."
"E li hai superati a causa della mia insistenza. Non succederà più... Perdonami." Ribatte prontamente.
Scuoto piano la testa.
"Karen era qui... È tornata allo Studio, voleva sistemare gli appuntamenti. È passato anche mio fratello. Ho parlato con lui, gli ho raccontato tutto. È stato... liberatorio. Come se mi fossi tolto un macigno dallo stomaco."
Accenno un sorriso. Non posso che esserne felice.
"Avrei solo voluto che questo... questo mio coraggio ritrovato, non comprendesse un viaggio in ambulanza."
"Mamma? Mamma, ti sei svegliata!" La mia undicenne.
"Ciao, tesoro!"
Si butta tra le mie braccia e scoppia in un pianto liberatorio.
"Scusa. Ti ho fatto preoccupare." Le accarezzo i capelli, ne saggio la morbidezza.
"Stai bene, è questo che conta. E poi, c'era Jack con me. Non siamo mai state sole..."
L'esitazione nella sua voce mi mette in allarme.
"Cosa non mi stai dicendo?"
Tira su col naso e riprende un po' mogia.
"Penso che zia Alex... sia furiosa con me e Caterina."
Inarco un sopracciglio con fare interrogativo.
"Che cosa avete fatto? Anzi, no, non dirmelo. Non penso di essere ancora abbastanza sveglia per ascoltare qualsiasi cosa voi abbiate combinato." Muovo un braccio per circondarla meglio, ma qualcosa mi fa desistere dal proseguire.
"Ti hanno messo una flebo. Biondina, fai la guardia alla mamma; vado a chiamare l'infermiera, così la avviso che si è svegliata."
La Biondina, come l'ha chiamata lui, assente in risposta.
I passi sicuri mi comunicano che siamo rimaste sole. Sto per aprire bocca, ma Angel mi interrompe.
"Avevi ragione."
"Ho sempre ragione, ma, di grazia, per cosa questa volta?"
"È davvero un uomo buono. Si è preso cura di te, di me." Ha paura di proseguire, le stringo il braccio per spingerla a terminare. "Sono stata cattiva. Ero preoccupata, arrabbiata e gli ho detto delle cose brutte. E invece lui mi ha consolata... mi è stato vicino."
"Non lo incolpi per tutto questo?"
"L'ho fatto. Ma adesso so, lo capisco. Ci siamo chiariti."
"Vorrei continuare ad aiutarlo, se per te va bene."
Flash della nostra conversazione nel mio studio, mi scorrono in testa, elettrici.
Non abbiamo finito.
C'è altro, ma non penso che lui sappia, che se ne renda conto.
È come se avesse sigillato qualcosa, lo avesse chiuso in una cassaforte, dentro la sua testa.
Ma io l'ho percepito, l'ho toccato.
"Certo. Ma questa volta devi essere più"
"Cauta. Hai ragione, farò più attenzione. Ti voglio bene, tesoro."
"Siamo una Squadra! La migliore, Mamma."
"Hai proprio ragione, Angel. La migliore!"
Una volta sfilata la flebo, firmo la mia dipartita da quel luogo che troppe volte ho calpestato in passato.
Sono stata paziente, accompagnatrice, visitatrice, ancora paziente.
La nascita di Angel.
La malattia di Ben.
L'incidente.
La nausea dettata dai ricordi amari, risale acida su per l'esofago. Deglutisco e la ricaccio da dove proviene.
"Qualcosa non va." Non me lo sta chiedendo.
Nego, ma le gambe mi tradiscono; aforisma del giorno: mi sento uno schifo.
Un braccio muscoloso mi sostiene, un petto caldo mi accoglie.
"Ti prenderei in braccio, ma non vogliamo che la biondina davanti a noi, si preoccupi ancora di più. Ho la macchina parcheggiata qui fuori, un piccolo sforzo e siamo arrivati. Aggrappati a me, ok?"
"Grazie. Ma tu non mi lasciare o ti toccherà raschiarmi via dal pavimento."
"Mai. Se me lo permetterai..." Si blocca, riordina i pensieri e riparte. "Sono esattamente dove voglio essere. Cambierei solo la location."
Ridacchiamo insieme.
La nottata tra le sue braccia torna vivida sulla mia pelle. Non posso frenare il rossore che imperterrito colora le mie guance.
"Non so a cosa tu stia pensando, ma non smettere. Me lo confiderai più tardi, quando saremo lontani da orecchie troppo giovani per ascoltare certi discorsi."
Adesso sento caldo, ovunque. La sua voce, il suo profumo mi ubriacano più della spossatezza che tutta questa giornata mi ha lasciato in corpo.
Appena varchiamo le porte scorrevoli, l'aria fresca che serpeggia tutt'attorno a noi mi rinvigorisce. Senza tante cerimonie, caccia via l'odore di medicinale che a causa del mio ricovero, ristagnava nelle mie narici come un ospite sgradito, ma che non puoi, per forza maggiore, mandare via.
Angel ha inviato messaggi a tutte le interessate, per confermare il nostro rientro.
Il suo nervosismo, per l'imminente ritorno a casa, è tangibile.
"Siamo arrivati."
"Purtroppo." Sospira.
"Ci penso io, Biondina. Ci parlo io con Alex."
"Dieci punti a tuo favore se non mi mettono in punizione." Controbatte Angel.
Mi sento tagliata fuori dal loro botta e risposta.
"Cinque, se non ti rinchiude in camera e butta via la chiave."
"Ho paura di sapere..." Una mano mi stringe, mi tranquillizza.
"Aspettate qua, chiarisco una cosa e torno a prendervi." La portiera non fa in tempo ad essere spalancata che viene prontamente richiusa.
"Perché zia Alex dovrebbe avercela con te?"
"Mamma, per ora devi solo sapere che ti voglio bene e qualsiasi cosa io abbia fatto... è stato dettato dalla mia giovane età."
"Confortante, Angel. Davvero confortante."
"Sta tornando. Porto Ombra nel cortile sul retro, ci vediamo dentro."
L'aria fresca entra nell'abitacolo. Sto per fare un passo avanti per sgusciare fuori dal sedile, quando mi sento sollevare.
"Jack! Non devi, sono pesante!"
Uno sbuffo mi accarezza la guancia.
"Tu, pesante? Sono un uomo formato matrimoniale, tesoro, sei una piuma per questi muscoli."
E li sento, tesi, marmorei, mi sostengono senza fatica alcuna.
"Angel potrebbe..."
"Siamo solo io e te, nessun altro all'orizzonte. Alex è rientrata e la ragazzina l'ho vista scivolare dietro casa con la labrador..."
"Cosa c'è? ... Jack, così mi fai preoccupare!"
"Scusa. E solo che mi sono appena reso conto che siamo arrivati. Dentro ci sono le tue amiche, le persone che stimi e non penso di essere il benvenuto. "
Non posso lasciarlo proseguire.
Non ci riesco.
Non dopo tutto quello che ha fatto per me, per mia figlia.
Con le dita cerco il suo viso; accarezzo i lineamenti marcati. Percepisco la ruvidità della barba appena accennata, le labbra morbide da cui emette fiati strozzati.
L'altra mano si muove da sola; forse il cuore a comandarla, la testa non di certo.
Così, incorniciato nei miei palmi, lo avvicino e lascio che i nostri respiri si uniscano, si mischino.
Diventiamo labbra, denti e lingue.
Palpiti e scosse.
Impossibile capire dove uno inizi e l'altro finisca.
Mi scosto leggermente, prendendo atto delle mie azioni.
Fronte contro fronte, riprendiamo fiato come dopo una maratona.
"Ringrazio di averti in braccio o la nostra entrata sarebbe molto imbarazzante." Lascia andare un sospiro strozzato.
Inarco per un istante le sopracciglia, per poi distenderle appena afferrato il senso.
La sua voce si fa seria, decisa.
"Non ti lascerò fare marcia indietro, non dopo questo. Qualsiasi cosa succederà appena varcheremo la soglia, o nei prossimi giorni, appigliati a questo istante. Quando torneranno i dubbi, le perplessità, aggrappati a queste sensazioni."
Annuisco, incapace di proferire parola e mi lascio trasportare fin dentro casa, al sicuro.
Anche se, a dire il vero, tra le sue braccia mi sento già al sicuro.
Mi sento a casa.
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