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Parte 14

Jack

Da un momento all'altro si sveglierà, me lo sento; il suo respiro non ha la stessa cadenza tipica del sonno profondo.

Ho passato la notte ancorato a lei, nessun incubo ha infestato il mio riposo.
Il naso tuffato tra i suoi capelli neri, le mani a circondare le sue curve; ho vissuto ancora e ancora il nostro bacio, le sue labbra rosse, fino ad addormentarmi sul suo collo perlaceo.
Il divano non è mai stato così comodo come stanotte.

Quante prime volte?
Una donna nel mio appartamento.
Un solo bacio e nulla d'altro.
Una notte lunga un abbraccio.
Quiete ristoratrice, nessun tormento al mio risveglio.

Probabilità che questo possa essere un inizio? Bassissime.
La conosco. Appena si sarà destata farà dieci passi indietro, quando io, per la prima volta, vorrei farne dieci in avanti.
Come biasimare un suo dietrofront quando sarà a conoscenza dell'oscurità che mi trascino, di questo bagaglio ingombrante che è il mio passato.

Dovrei lasciarle i suoi spazi, ma non ne ho la forza, la volontà.
Lei è una donna per la quale vale la pena combattere, anche contro me stesso, se necessario.
Lottare contro i miei demoni, la mia priorità; impossibile non confessarle i miei peccati, svelarli proprio a lei per la prima volta.
Sarò assolto o condannato dalle accuse che mi tormentano da quel giorno, quando la mia famiglia si è spezzata irreparabilmente?
Lascerò a lei il giudizio finale.
Qualsiasi sarà il verdetto, ho bisogno di mettere un punto a tutto questo putridume che mi infesta dall'interno.

Ho sviluppato muscoli sul mio corpo per compensare l'antro vuoto che ho dentro.
E che cosa ho ottenuto?
Nulla.
I fantasmi del passato si specchiano ancora su ogni superficie riflettente su cui poso lo sguardo.

Judy

Mi sveglio.

Morfeo, dopo anni vorrei ancora la tua compagnia.
Vorrei restare tra queste braccia.
Vorrei ancora la schiena premuta contro un corpo caldo.
Vorrei sentire il suo fiato solleticarmi i capelli.

Mi scosto piano, mentre faccio mente locale della stanza estranea alle mie abitudini.

Ieri, ormai è giunto al termine.

"Buongiorno." Sussurro roco alle mie spalle.

"È già giorno?" Per quanto ho dormito?

"È l'alba per essere precisi. Ti va una tazza di caffè?"

Annuisco. Le sue labbra premono sulla mia guancia e il nostro bacio torna vivido sulla mia pelle. Brividi su tutto il corpo corrono inesorabili.
Sorrido tristemente a quel ricordo, perché tale deve restare.

"Amaro, giusto?" Ricorda i miei gusti.

Sento i suoi passi allontanarsi da me, si incammina verso la cucina senza attendere risposta.
Nonostante il caldo che aleggia nella stanza, sento freddo a causa del distacco. Mi stringo con fare protettivo tra le braccia, con l'intento di ristabilire il calore eclissato.

"Av... avrei bisogno del bagno." Mi alzo titubante, non riesco ad orientarmi. 

La sua mano mi stringe il fianco, prendendomi alla sprovvista e mi accompagna. Torno bambina, ma con il corpo e la mente di donna, situazione al quanto frustrante; la voglia di battere i piedi a terra è tanta.

Ho bisogno di un momento da sola per ricompormi.
Mi porto i palmi al viso e non trovo barriere, mi schianto contro le cicatrici lasciate in bella mostra.
Rimango ferma per qualche minuto davanti al lavandino, la porcellana fredda unica compagna delle mie elucubrazioni.
Caccio indietro le lacrime che premono dietro le palpebre serrate e mi lavo la faccia.

Se solo...

No. Caffè e torno a casa.

"Ecco qua. Attenta è bollente." Afferro il manico per non scottarmi.

Raggiungo piano il tavolo, teatro della nostra cena.

"Dovresti chiamare Alex. Ieri sera l'ho sentita, ci ha pensato lei a Ombra."

"Grazie. Per quanto riguarda ieri"

"Voglio raddoppiare le sedute."

Non riesco a proseguire, mi ha colto di sorpresa.

"Prima elimino quello che ho dentro la testa, prima cancelleremo queste fastidiose etichette." Raccoglie le idee. "Ma se non riuscirò a cacciare la tossicità che mi porto dentro, sparirò dalla tua vita."

Resto a bocca aperta, liquido scivola sul mio viso; il solo pensiero della sua dipartita mi fa male.
Prontamente le sue dita asciugano le tracce della fuggitiva, prima che questa cada nell'ignoto.

"È un sì? Sono pronto a saltare i pasti, verrò all'orario di chiusura... non mi interessa."

"Qual è il tuo obiettivo, Jack? Lo fai per te stesso o... o lo fai per me? Non sono un caso umano da aiutare. Non puoi più salvarmi, perché non c'è più nulla da salvare. Non sono"

"Non andare avanti, ti prego. Ingoia qualsiasi cosa tu voglia dire. Non sei un caso umano, togliti dalla testa che io ti reputi tale. Sei una donna forte, una bellissima... donna forte." La sua voce è potente, profonda, a tratti arrabbiata.

Poi un sospiro amaro, da troppo tempo trattenuto, esce dalle sue labbra.

"Judy, non credo valga la pena scommettere su di me; molto probabilmente non merito neanche la pace che tanto bramo."

Salvami

Quella richiesta rimbomba dentro la mia testa per tutto il week end. Mi muovo come un automa dopo aver rivestito i panni di madre e amica.
Se con Angel riesco a passarla liscia, tanto è l'entusiasmo per il pigiama party appena terminato, con Alex è tutt'altra storia.
Ma la mia espressione deve essere valsa più di mille parole; mi ha stretta in un abbraccio lasciandomi lo spazio di cui ho bisogno, l'aria che mi serve per affrontare con lucidità una situazione ancora poco chiara.

affinché io possa essere degno di proteggerti

È lunedì mattina e ancora non sono riuscita a cancellare quelle parole.
Il telefono suona distraendomi dai miei pensieri.

"Pronto?"

"Quando posso venire per il prossimo appuntamento?" Jack.

Il cursore è sulla cartella, ma l'agenda è piena, affollata da altri pazienti.

"Hai impegni per pranzo?"

"Jack, non ho posto per questa settimana."

"Lo immagino, per questo ti sto chiedendo se hai impegni per pranzo. Prenoto del buon cibo d'asporto, magari oltre allo stomaco riesco anche ad aprire la testa." Ironia mal celata.

"Va bene. Dodici in punto, ti aspetto."

Karen esce per la pausa, contrariata per questo appuntamento dell'ultimo minuto. Mi tocca rassicurarla una decina di volte, fino a quando, un po' riluttante, mi lascia sola nello Studio.
La porta che si apre mi mette in allarme.

"Sono io. Ho trovato Karen e mi ha lasciato entrare."

"Quanto ti ha minacciato?"

"Abbastanza da non voler sapere quali torture possa avere in serbo per me, nel caso questa oretta dovesse andare male."

Ci accomodiamo nel mio ufficio. Tra noi la scrivania, diventata meta del nostro picnic.

"Sei sicuro che non ti rovinerai l'appetito con questa seduta?"

"Ho un obiettivo da raggiungere. Non accendi il registratore?"

Scuoto la testa e mi tocco la tempia, accennando un sorriso.
Mi costringo a tornare seria prima di cominciare.

"Tuo padre..." Gli lascio dello spazio, aspetto che lo riempia.

"Gli assomiglio, siamo praticamente due gocce d'acqua. O per lo meno lo eravamo; ho messo su un po' di muscoli dall'ultima volta che ci siamo visti."

Butta giù un sorso liquido, prima di vomitare le parole che da troppo tempo trattiene nella pancia.

"L'ultima volta è stata in un'aula di tribunale. La stessa che lo ha riconosciuto colpevole dell'omicidio di Kimberly Carter, per la morte di nostra madre."

Resto scioccata dalle sue parole.

"Mi... Mi dispiace, non potevo immaginare."

Jack, prenditi cura di Josh. Dovete essere forti, una squadra... I miei ragazzi. Vi voglio bene.

"Le sue ultime parole erano per noi. Il sangue le macchiava i capelli, il viso contorto dal dolore, il respiro strozzato color cremisi.
Ma lei pensava a noi.
È morta tra le mie inutili braccia; questi palmi hanno visto l'ultimo fiato uscirle dalle labbra spezzate dai tagli. Il suo cuore, così buono, ha ceduto dopo anni di tormenti, mentre la stringevo su un pavimento freddo, dentro quelle mura che lei riempiva con la sua sola presenza." La voce rotta dal rimpianto.

Non resisto, mi alzo e lo raggiungo.

"È colpa mia, Judy, non sono stato in grado di proteggerla! Neanche Josh. Sono totalmente inutile!"

"Come potevi sapere?"

"Lo sapevo, mi aveva avvisato mio padre. Albert Meiser me lo aveva annunciato e io non gli ho creduto."

"Non l'hai uccisa tu. Tu non sei... quel Signor Meiser. No, tu sei Jack Meiser. Non sei Albert, non sei tuo padre."

Precipita nel suo dolore e io con lui.
Mi cedono le ginocchia e mi schianto ai suoi piedi, il mio viso ad un palmo dal suo, percepisco il suo respiro affrettato.
Cerco di prendere aria. Afferro le sue mani appena sento i suoi palmi tremanti sul mio viso, mi avvolgono.
Siamo fiato contro fiato.

"Sei Jack Meiser: figlio di Kimberly Carter, fratello maggiore di Josh, cognato di Amelia.
Direttore di una rivista, capo maggioritario di un telegiornale a livello nazionale.
Uomo che caccia in maniera elegante i taxisti e che non lascia sola una ragazzina sconosciuta in un Pronto Soccorso.
E sì, sei figlio di Albert Meiser, ma non sei lui!
Tua madre non lo ha permesso, crescendoti con dei valori e dei principi, con delle passioni.
Jack Meiser, sei tante cose, ma non sei un assassino.
Jack Meiser... sei un uomo da amare."

Le orecchie fischiano, non sento nemmeno più la mia voce.
Poi una bocca morbida sbatte contro le mie labbra. Spalanco le palpebre dalla sorpresa, una scossa e le richiudo.

Elettricità corre sulla mia pelle, arriva al cervello mandandolo in cortocircuito.

E mi spengo.

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