Parte 13
Sono circondata dal suo odore.
Lo sento nell'aria, nei vestiti, sulla pelle.
"Cosa ne pensi del cibo italiano?"
"Tovaglia a scacchi, tagliere di salumi, vino rosso." Recupero da un cassetto della memoria, i dettagli di un ristorantino dove ero solita andare a mangiare.
"E italiano sia! Pizza o pasta?"
Spaghetti! Da quanto tempo non mangio un bel piatto di spaghetti?
Rischio di fare un disastro!
"Pizza. Una capricciosa se possibile."
Lo sento mentre parla al telefono.
"Mezz'ora e arrivano! Preparo la tavola."
"Posso esserti utile? Se mi mostri il tavolo sono in grado di fare un lavoro decente."
"Ma sei mia ospite!"
"Lascia che ti aiuti."
Passo piano la mano sul top liscio della cucina cercando di immagazzinare i dettagli che sfioro lungo il cammino. Raggiungo il lavello e me le lavo.
"Non la usi spesso."
"Raramente. A causa del lavoro rincaso tardi la sera. A volte mi fermo da Josh e Amelia, altrimenti ceno fuori. Lascia che ti mostri l'appartamento."
Mi giro verso la sua voce. Una mano afferra la mia e mi chiede gentilmente di seguirla.
I miei polpastrelli conoscono tessuti, legni, marmi e piastrelle.
Il mio naso percepisce candele e piante.
Le mie orecchie osservano colori e panorami.
"Da come lo descrivi, deve essere un incanto là fuori."
"Non c'è paragone. Stasera la vista mozzafiato è dentro casa."
Sento caldo sulle guance, brividi corrono sulla pelle, il cuore accelera nel petto.
Labbra si posano sul dorso, ingabbiato nella sua stretta rassicurante.
"Mi hai promesso di fare il bravo." Mi esce solo un sussurro.
La mia sicurezza si è andata a nascondere, o a godersi lo spettacolo.
"Ti assicuro che mi sto trattenendo come non mi è mai capitato dover fare." Roco, profondo.
Ingoia le parole che vorrebbe lasciar andare.
Una bolla ci circonda.
Silenzio e respiri.
Silenzio e brividi.
Silenzio e noi.
DRIIN! DRIIN!
Sussulti.
La sfera scoppia.
Schianto di fronti.
"Ahi! Per essere così piccola... hai la testa dura!"
Mi massaggio il punto dolorante e inizio a tremare, fino a quando una risata esce prepotente dalla mia gola.
Alla mia si unisce la sua e creiamo un allegro concerto.
"Sono piena. Era davvero ottima."
"Non avevo dubbi, hai mormorato apprezzamenti per tutto il tempo!" Ridacchia divertito.
Faccio per alzarmi per sparecchiare il mio posto, quando mi sento trattenere.
"Lascia, ci penso dopo. Ti va un po' di musica?"
Annuisco in risposta.
Sento i suoi passi allontanarsi e cerco di imitarli.
Una melodia, pianoforte e archi, mi circonda.
Insicura tocco l'aria, passo dopo passo, cerco la mia destinazione.
Inciampo e la trovo. Mi schianto sul corpo che sicuro mi prende al volo.
"Scusa."
"Tutto bene?"
"Sì." Non dico altro, le parole non escono.
"Vieni, mettiamoci comodi."
Il divano ci accoglie, ci assorbe.
"Posso?"
Non so a cosa si riferisce la sua richiesta.
Un tocco alla caviglia e la scarpa scivola via, poi è il turno dell'altra.
"Fai come se fossi a casa tua."
Una coperta cala sulle gambe.
"Ho paura di sembrare indelicato." Le lenti mi vengono sfilate. "Come è successo?"
L'ultima volta che i miei occhi hanno guardato.
Quando ho pensato di essere arrivata al capolinea.
L'ultima cosa: la canna di una pistola.
"Un ex fidanzato di una mia paziente."
Percepisco la sua confusione.
Mi porto le mani al volto, lo sento ancora bruciare. Tocco la pelle cercando di ricordare com'era liscia, prima di quel giorno.
"Jessica, una mia paziente."
Rivedo il viso della ragazza, i suoi capelli scuri, neri come i miei, gli occhi castani sul viso pallido da folletto.
"La prima volta che l'ho vista era al pari di un fantasma, un involucro vuoto, l'ombra di sé stessa. Aveva conosciuto un uomo molto più grande, con un lavoro stabile, una bella auto. La trattava come una principessa: cene in ristorantini lussuosi, gite fuori porta, regali costosi.
Era felice. Tanto felice da non dar peso a quei piccoli scatti di rabbia."
Chiedeva scusa subito dopo.
Mi consolava quando piangevo. Ripeteva che non lo avrebbe più fatto.
"La portava a fare acquisti, sceglieva i vestiti, correggeva i suoi comportamenti. La plasmava esattamente come lui la voleva, come doveva essere per essere degna di stare al suo fianco.
E lei lasciava che tutto questo accadesse. Non aveva la forza di combattere, di andare contro le sue aspettative.
Violenza psicologica, fisica. Ha raschiato il fondo e con le sue ultime forze ha chiesto aiuto.
Ordine restrittivo e psicologo le strade da percorrere per salvarla da lui e dagli strascichi che si portava dentro a causa di quella mente malata.
Sono passati mesi di terapia. Piccoli sorrisi sul volto, tremolii scomparsi, l'aspetto curato: un nuovo ragazzo all'orizzonte.
Ad una seduta avevano partecipato in coppia. Ci teneva così tanto a lei da voler capire cosa doveva fare, o non fare, per poterle stare accanto."
"Sembra la fine di una fiaba d'altri tempi."
"Ma in questa, l'orco ritorna." Mi esce come un sussurro.
Parlarne dovrebbe farmi bene. Riviverlo mi lacera dentro.
"Era l'ultima paziente. Abbiamo indossato le giacche, chiuso l'ufficio con la promessa di vederci la settimana seguente.
Nessuna di noi aveva notato la figura di spalle al fondo della scala. Nessuna aveva dato peso all'uomo ubriaco sul marciapiede."
Sei solo una Puttana! Sporca, lurida, Puttana!
"L'uomo si era voltato, pistola alla mano, e aveva sparato." Deglutisco a vuoto.
"Una stupida pistola giocattolo, ma al posto dell'acqua... caricata con dell'acido."
Occhi inutili per il loro dovere, piangono ancora.
"Era talmente fatto, talmente confuso dalle sostanze... da scambiarmi per Jess."
Braccia che mi stringono, un petto forte diventa scudo contro i ricordi.
"Tutto questo... per un errore." Singhiozzo più forte, mentre con le mani premo sulle palpebre.
"Ssh... È tutto finito. Sei al sicuro adesso."
"Sono una persona orribile. Non sai quante volte ho desiderato di poter tornare indietro e restare al sicuro dentro le mura del mio Studio. Ma avrebbe colpito lei. Aveva già sofferto tanto, non si meritava anche questo.
E allora mi chiedo: cosa ho fatto io per meritarmelo? Aver perso il mio compagno di vita per un male incurabile, non era stato abbastanza? Crescere sola una bambina piccola... La mia Angel!" Le parole escono strozzate, arrabbiate, isteriche.
I miei incubi, le mie paure, i miei fantasmi.
Li metto in mostra per la prima volta dopo tanto tempo.
Jack è lo spettatore dello show che per anni ho celato allo sguardo del pubblico della mia vita quotidiana: Angel, Alex, Karen...
Se solo sapessero come mi riduco quando sono sola, del freddo che provo lontana dagli affetti che mi sono stati strappati via.
Se solo sapessero.
Provo dolore.
Starò bene.
Dopo.
Ora mi permetto di stare male.
Parole sussurrate.
"Si è addormentata. Mi ha raccontato dell'incidente. Puoi pensarci tu al cane? Non me la sento di svegliarla. Grazie, ti farò chiamare appena si alza domattina. 'Notte, Alex."
Il suo profumo. Morbidezza e conforto. Una stretta protettiva, calda. Una cadenza di fiato che mi culla.
Non riesco a fermarmi, non voglio.
Lo cerco e sfioro le sue labbra.
Premo e lascio che i nostri respiri si intreccino.
Non vado oltre.
Lo vogliamo entrambi, percepisco l'urgenza di varcare quella linea di confine.
Un piede dentro, uno fuori.
Un bacio che ne chiede altri cento. No, mille.
Mi volto dandogli le spalle.
La mia schiena si allinea con il suo corpo.
Tra le sue braccia torno a respirare.
Oggi me lo permetto.
Domani è un altro giorno.
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