Un Altro Enigma
Revisionato il 06/01/2021 a seguito di nuovi dettagli ne "Le Sfide di Apollo".
Se non volete spoiler, non leggete!!! 😛
Privi di forze, affamati e rassegnati, i due semidei avevano abbandonato i loro corpi contro un muro, lo sguardo fisso nel vuoto, mentre si appoggiavano l'una alla spalla dell'altro, inermi.
Non avrebbero saputo dire se si trovassero in quell'abisso da giorni, mesi... o anni.
Tutto sembrava vuoto e senza senso, una parte di loro sapeva di aver avuto uno scopo per intraprendere volontariamente quel viaggio, ma non sembrava importare più.
Erano visibilmente deperiti, disidratati e sporchi. Erano già stati nel Labirinto in passato, ed erano anche più giovani e sprovveduti.
Ma all'epoca, quello era un diverso Labirinto, nato da una mente geniale e contorta, sì, e anche sadica alle volte, ma non del tutto distruttiva e malefica. Erano riusciti ad uscirvi e rientrarvi in punti diversi, avevano trovato anche cibo e riparo, e per quanto sembrasse complesso e infinito, il Labirinto li aveva condotti a destinazione, alla fine.
Ma non stavolta.
Ora quel luogo sembrava la peggiore versione horror di quel Labirinto. Non vi era legge, né morale né fisica, lì dentro. Un momento correvano lungo un corridoio apparentemente innocuo, per trovarsi un attimo dopo schiacciati contro il soffitto di una stanza, senza nemmeno aspettarsi che potesse essere solo l'anticamera della dimora di qualche orribile mostro del quale anche la mitologia aveva dimenticato nome e sembianze.
Potevano ritrovarsi in una specie di tempio sotterraneo, una cupola dorata con affreschi raffiguranti storie di cui non avevano mai sentito parlare, belli da togliere il fiato, salvo poi restare orripilati dai corpi mummificati di quelle che dovevano essere state delle vittime sacrificali.
Avevano incontrato così tanti ostacoli, e rischiato la vita così tante volte, che avevano anche smesso di stare attenti, si buttavano in una stanza senza pensarci nemmeno più.
Non c'era giusto o sbagliato, lì sotto, né buono o cattivo; era solo un perenne e costante caos che metteva in discussione ogni loro convinzione sul mondo, confondeva ogni pensiero. Avevano cercato di smettere di pensare, perché ogni pensiero, lì sotto, era pericoloso.
Il Labirinto non attendeva altro che prendere ogni loro idea e trasformarla a proprio piacimento, solo per far torturarli.
E come se non potesse andare peggio, sembrava non esserci via d'uscita. Si erano detti prima di entrare che, se avessero incontrato troppe difficoltà in quel nuovo Labirinto, sarebbero potuti uscirne trovando una delle aperture sul mondo esterno. Ma, come avevano temuto all'inizio, il Labirinto non voleva mostrare le proprie uscite, realizzando così un altro dei loro timori.
Quel Labirinto, aveva un piano speciale, solo per loro.
Annabeth sembrava addormentata, ma rantolava piano, un flebile lamento... <<Ho fame...>> riuscì a dire con un filo di voce.
Percy sapeva che, aprendo lo zaino, avrebbe trovato l'ultima razione di cibo, una barretta energetica già iniziata, delle tante che avevano opportunamente diviso in pezzi quando avevano compreso la gravità della loro situazione.
Erano stati accorti, si erano portati provviste di cibo energetico a lunga durata ed ambrosia che potesse bastare loro per settimane. Ma quando avevano iniziato a rendersi conto che quel posto li teneva in ostaggio, avevano razionato sempre più le dosi, rimandato i pasti a quando avessero avuto davvero fame, per prolungare quelle riserve; riserve che ora, ormai, erano terminate.
Non mangiavano da giorni, avevano rimandato l'ultimo pasto per quando si fossero sentiti mancare. Forse era giunto il momento...
<<Ok... è rimasto un pezzetto di barretta energetica... Prendi...>> le porse cautamente il rancho, faticando anche ad alzare il braccio.
Annabeth corrugò la fronte, e provò ad inumidirsi le labbra screpolate <<No, è tuo... l'ultima volta giorni fa l'ho mangiato io e tu hai rimandato... quindi... quest'ultimo... è tuo.>> rispose piano, poco convinta.
Percy le sorrise dolcemente <<Ma no, ti sbagli... Ho mangiato anche io giorni fa... Dopo di te... Quindi questo è tuo... Non ricordi?>>
Non era vero, Percy aveva smesso di mangiare molti giorni prima di Annabeth, e le aveva sempre lasciato più razioni perché era sempre affamata e debole.
Lui poteva permettersi anche di restare privo di liquidi più a lungo e sopportare meglio la sete, e aveva sempre lasciato la sua parte di acqua ad Annabeth. Quando anche quella era finita, senza riuscire a trovarne lì sotto, Percy aveva iniziato ad usare i suoi poteri per radunare l'acqua presente come umidità nell'aria, per riempire le loro borracce per quanto possibile.
Ma questa procedura richiedeva un dispendio di energia, che lui non aveva più, e l'aria, ovviamente, era diventata sempre più secca man mano che loro avevano più bisogno di umidità.
Annabeth forse sapeva che lui la stava ingannando, o forse era talmente confusa da non riuscire davvero a capirlo, o forse la fame la convinse ad accettare quel gesto di altruismo a discapito del suo amato, ma gli disse <<Va bene...>> e mangiò l'ultima porzione.
Percy si girò per evitare di guardarla; la fame era tale che avrebbe potuto strapparle quel pezzetto di cibo dalle mani se non si fosse controllato. Forse... Avrebbe fatto anche di peggio... Laggiù non c'erano regole, dopotutto. Deglutì e chiuse gli occhi, cercando di non pensarci mentre la sentiva masticare.
Lui era notevolmente più forte a livello fisico, e più potente di lei. Era il più grande semidio mai esistito. Forse, se avesse mangiato, avrebbe potuto farcela. Avrebbe potuto riprendere il viaggio. Avrebbe potuto lasciare lei lì, ormai era spacciata... Ma lui no... Forse...
Era il Labirinto, si disse. Non doveva lasciarsi abbandonare a quei pensieri disperati. Più volte quel posto li aveva messi alla prova, ma lui sapeva chi era, non si sarebbe lasciato persuadere.
Lui l'amava più della sua stessa vita, ne era certo. E se quella era la fine, poteva essere felice di essere con lei, almeno.
La ragazza finì di mangiare, si riappoggiò al muro e si accoccolò di nuovo contro di lui; lui l'abbracciò con la poca forza che gli restava, e la baciò sulla fronte, poi appoggiò il mento sulla sua testa e chiuse gli occhi.
Sapeva che non avrebbe dovuto addormentarsi, non in quelle condizioni. Ripensò a quando aveva accettato quell'impresa, per un bene comune. Perché aveva accettato? Per chi? Per altri semidei sconosciuti che non avrebbero mai conosciuto il suo sacrificio e avrebbero potuto vivere in pace e sicurezza? Per figli di dei minori che non erano mai stati davvero in pericolo, al contrario di lui? Perché doveva essere sempre lui a salvare tutti? Non aveva combattuto già abbastanza, nella sua breve vita? Non aveva rischiato già tutto più e più volte? Non poteva vivere in pace e smettere di essere carne da macello per il solo divertimento di entità immortali?
Provò una profonda rabbia. Non era mai stato un tipo rancoroso, impulsivo certo, spericolato anche, ma non aveva mai serbato del vero rancore verso qualcuno, non era nemmeno vendicativo, al contrario di altra discendenza del dio del mare.
Aveva sempre evitato di lasciarsi davvero prendere dall'ira, perché negli anni aveva capito che quel sentimento poteva scatenare in lui qualcosa di incontrollabile e pericoloso. Aveva imparato a controllarsi, e ora non voleva che i suoi ultimi istanti fossero iracondi.
Inspirò profondamente, ed espirò a lungo, buttando fuori tutta quella negatività.
Lui sapeva chi era, avrebbe accettato richieste del genere sempre e comunque, per il bene di tutti. Lui era un eroe, la sua vita era servita a qualcosa, aveva salvato altre vite innocenti, evitato guerre inutili... Aveva cambiato il corso della storia in meglio... Forse.
Si lasciò andare al flusso di pensieri, e ad un certo punto, non pensò più. Non sperò più.
... Un rumore, costante, una specie di fruscìo, impercettibile. Un ripetersi di piccoli, veloci tonfi, in lontananza. E un ticchettio. Tutto appena percettibile.
Era un sogno? Sicuramente...
Percy aprì gli occhi, lentamente, e si guardò intorno. Erano in un corridoio, non ne vedeva le estremità, né da una parte né dall'altra, solo oscurità. E sentiva uno spostamento d'aria, verso di loro, da destra.
Una leggera brezza, era piacevole. Stava ancora sognando?
Ma se sognava, perché il suo cuore batteva più veloce? Perché quel rumore sembrava aumentare? Perché quella iniziale piacevole brezza portava con sé odore di... morte?
Spalancò gli occhi, vigile. Aveva più energie di quanto pensasse.
Iniziò a scuotere la propria fidanzata per svegliarla <<Annabeth... Annabeth sveglia... alzati!!>> c'era urgenza nella sua voce.
Annabeth mugugnò <<No... No non riesco...>>
Percy insistette <<Annabeth! Alzati veloce! Dobbiamo andare!>>
Ma lei si lamentò <<No... Sono stanca... Lasciami qui...>>. Era ancora mezza addormentata, non capiva, non reagiva.
Lui ormai era in piedi e cercava di mettere in piedi anche lei, cercava di riportarla in vita da quel torpore a cui si era abbandonata:
<<ANNABETH! ALZATI! ORA!>> gridò, la scosse con veemenza, la schiaffeggiò.
Lei aprì gli occhi, spaventata. Ormai il rumore era udibile, lo sentì anche lei. Nel giro di un istante, si guardarono negli occhi, spaventati, guardarono alla loro destra, da cui arrivava quel rumore, e si misero a correre verso la parte opposta, senza nemmeno portare lo zaino, ormai inutile.
Non sapevano da cosa stessero scappando, sapevano solo che i tonfi diventavano sempre più veloci e vicini, sentivano ticchettare qualcosa, sentivano degli stridi.
Lui stava dietro ed esortava lei a continuare a correre, più veloce.
Erano esausti, stremati dalla fatica, dalla fame e dalla sete; non sapevano da dove arrivasse quell'energia per poter correre, ma non era sufficiente. Non erano abbastanza veloci. E qualsiasi cosa fosse a inseguirli, una volta raggiunti non sarebbero stati nelle condizioni di affrontarla, ne erano certi.
Percy ebbe il coraggio di voltarsi, e li vide: centinaia di occhi rossi iniettati di sangue brillavano nel buio, ciò che ticchettava insistentemente erano degli artigli che cozzavano col pavimento durante quella carica.
Gli stridi, dei versi mostruosi che uscivano da delle fauci aguzze. Cos'erano? Non li vedeva ancora bene, ma erano lì, dietro di loro, e avevano tutta l'aria di voler banchettare con le carni dei due ragazzi.
Incitò Annabeth a correre più veloce, ma quel corridoio sembrava senza fine e senza vie laterali.
Lui si voltò ancora per guardare quell'orda senza forma, proprio nel momento in cui Annabeth fece un balzo in avanti; il ragazzo si girò troppo tardi per capire che avrebbe dovuto saltare per evitare un crepaccio. Non saltò abbastanza, e si trovò appeso con le mani all'estremità opposta del pavimento.
<<PERCY NO!>> Annabeth si voltò per rendersi conto che lui non era riuscito ad arrivare del tutto su quella parte del pavimento, era nel crepaccio.
Percy urlò <<VAI! CONTINUA A CORRERE! SCAPPA TI PREGO!>>
Lei non gli rispose nemmeno, corse indietro verso di lui e provò ad aiutarlo ad uscire, ma entrambi erano privi di energia, e, come se non bastasse, una forza sembrava attrarre Percy sempre più giù, e lui faticava a tenersi aggrappato.
L'orda si avvicinava dall'altra parte del crepaccio. Quegli esseri non avrebbero avuto problemi a saltare o ad arrampicarsi lungo le pareti del corridoio per arrivare dall'altra parte. In ogni caso, erano in vantaggio rispetto ai ragazzi.
Percy mormorò, supplicante <<Annabeth... scappa, puoi ancora farcela... l'hai... promesso...>> le ricordò.
Lei lo teneva per le braccia cercando di dargli una leva per tirarsi su. Si erano già trovati in una situazione del genere, a parti inverse. All'epoca, sapevano benissimo cosa li aspettasse in fondo al baratro, il posto peggiore in assoluto, il Tartaro.
Eppure Percy quella volta non ci aveva pensato su, non aveva lasciato andare la presa, e non potendo trarre Annabeth in salvo, si era gettato nel baratro con lei.
E stavolta, lei non sarebbe stata da meno. Era coraggiosa quanto lui, e altrettanto folle per amore.
Annabeth sgranò gli occhi, e con decisione disse <<No... non ti lascio...>>. Si lasciò trascinare nel crepaccio, il peso del corpo di Percy aveva portato giù entrambi.
Iniziarono a cadere, prendendo sempre più velocità. Si tenevano stretti, lui cercava in qualche modo di usare il proprio corpo come scudo, per qualsiasi cosa avessero trovato alla fine della caduta.
Poi però, sempre a velocità sostenuta, si erano avvicinati ad una delle pareti fino a toccarla, e non stavano più cadendo, ma scivolando.
I loro vestiti si strappavano e i loro corpi si riempivano di abrasioni, mentre cercavano di frenarsi.
Ora stavano rotolando a terra; lui aveva cercato di evitare che lei urtasse la parete ma il loro abbraccio si era sciolto. Smisero di rotolare.
Come già detto, alla gravità piaceva cambiare, in quel posto, e quella che prima era una parete del crepaccio in cui erano caduti, ora era il pavimento su cui giacevano, ansimanti e doloranti, pieni di lividi e abrasioni sanguinanti.
Non ebbero il tempo di comprendere appieno ciò che, contro ogni logica, era avvenuto, perché il rumore di quei mostri inseguitori non si era placato.
Evidentemente, pur di cibarsi, anche quelle bestie feroci non avevano pensato troppo alle conseguenze di gettarsi nel vuoto.
Percy e Annabeth si rimisero in piedi a fatica e ripresero a correre, o meglio, a muoversi più velocemente possibile nelle loro condizioni, lungo questo nuovo buio corridoio del tutto identico al precedente.
Percy correva zoppicando, e restava sempre dietro, nella vana convinzione che, quando fossero stati raggiunti, forse i mostri si sarebbero limitati a lui lasciando una speranza di fuga ad Annabeth.
Ormai quel pensiero si stava trasformando in realtà, sentiva il fiato fetido di quelle creature sempre più vicino. Mancava davvero poco, e sarebbe stati raggiunti. Non ce l'avrebbero fatta, stavolta era la fine, non avevano più speranze.
Poi la videro, alla fine del corridoio, a circa 100 metri di distanza, una luce accecante rispetto all'oscurità in cui si trovavano. Proveniva da una stanza.
Per arrivarci, sarebbero dovuti passare da un'apertura più bassa del soffitto del corridoio, di circa 1 metro e mezzo di larghezza e di altezza, ma comunque facilmente accessibile.
C'era una fessura all'estremità superiore dell'apertura, il che fece pensare ad Annabeth all'esistenza di un meccanismo a discesa per chiuderla. Questo non significava che avrebbero seminato tutta l'orda di mostri, ma in qualche modo diede ad Annabeth una carica di energia.
<<PERCY! GUARDA! UNA PORTA! FORSE... SI PUÒ ...CHIUDERE!>> gridò con il poco fiato che aveva nei polmoni.
Continuò la sua corsa, ora più convinta, e si gettò al di là dell'apertura per poterci passare.
Ancora carponi, si guardò freneticamente intorno per cercare una qualche leva o altro che permettesse di chiudere l'apertura, sperando ci fosse.
Ma voltandosi si rese conto che Percy non era al suo fianco. Non si era accorta che il suo fidanzato, rallentando, era rimasto diversi metri dietro di lei, ancora nel tunnel.
I mostri lo avevano ormai raggiunto; lui sguainò Anaklusmos, che illuminò il corridoio intorno, svelando le fattezze di quelle orribili creature: la pelle nera e raggrinzita, che sembrava in putrefazione, ricopriva dei corpi scheletrici di circa un metro d'altezza. Non avevano forme che potessero ricordare degli animali esistenti, erano semplicemente un ammasso raccapricciante di membra, artigli e zanne. Gemevano, eccitate, perché potevano iniziare ad assaporare la loro preda.
<<CHIUDI!!!>> ordinò Percy urlando, iniziando a menare fendenti e facendo a pezzi la prima ondata di creature. Cercava di avvicinarsi anche lui all'apertura, ma teneva occupati i mostri. Erano tanti, troppi.
Il tutto era avvenuto così velocemente, che Annabeth non aveva nemmeno fatto in tempo ad alzarsi, ma il Labirinto sembrava aver già approfittato di quel momento di impasse per esaudire, sadicamente, i loro desideri.
Il meccanismo, finora solo supposto, si azionò, e una parete iniziò a scendere per chiudere l'apertura, lentamente, ma non abbastanza da permettere a Percy di passare in tempo. Lui continuava a combattere e uccidere mostri, ma era debole, e ogni suo errore permetteva ad un mostro più veloce di lui di azzannarlo o graffiarlo. Ma continuava a difendersi e ad avvicinarsi all'apertura.
<<NO!!!! PERCY!!!!>> Annabeth gridò in preda al panico; si alzò e raggiunse l'apertura, ma ormai non riusciva più a passarci agevolmente nemmeno carponi, avrebbe dovuto strisciare.
Nel frattempo, sentendo la voce terrorizzata di lei, Percy si fece coraggio, colpì più veloce e più forte, si liberò da quelle grinfie e si gettò con tutte le sue forze attraverso l'apertura, tutto il corpo lungo disteso, cercando di passare sotto a quel metro scarso che era rimasto aperto.
Era quasi del tutto nella stanza e lei lo prese per tirarlo a sé e aiutarlo a passare.
Ma anche i mostri lo avevano preso. Per qualche strana ragione, le creature non si azzardavano a passare attraverso l'apertura per entrare nella stanza, ma avevano bloccato le gambe di Percy, azzannandolo e tirandolo con gli artigli per riportarlo dalla loro parte.
Lui gridava di dolore e frustrazione, e cercava di calciare via le bestie, la parete si abbassava sempre di più verso il suo addome, mancavano pochi centimetri ormai: sarebbe rimasto schiacciato.
<<NO! NO! NO!>> gridava lei, e lo teneva stretto intorno al torso, cercando con tutte le sue forze di trascinarlo in salvo.
Le creature continuavano a gemere e stridere. Percy continuava a calciare freneticamente, e faceva leva con mani e braccia contro la parete che scendeva per spezzarlo a metà, cercando di darsi una spinta.
Annabeth urlò e tirò con tutta la forza che aveva in corpo, ogni muscolo impegnato in quell'impresa, gridando sempre più forte, gli occhi chiusi dallo sforzo e dal terrore di vedere ciò che stava per accadere.
Uno strattone. Un balzo indietro di oltre un metro. L'apertura si era chiusa.
Smisero di gridare entrambi, ansimavano e tremavano. Lei aveva ancora le braccia intorno a lui, lo teneva da dietro, le mani sul suo petto, la testa contro la sua guancia destra.
Lo sentiva respirare ancora, sentiva l'odore della sua pelle, e di sangue; non aveva il coraggio di aprire gli occhi. Ma lo fece, e fu presa da tremori incontrollati e da un pianto nervoso, e lo strinse forte a sé.
<<Beh... Meno male...>> gemette Percy ridacchiando, <<Sai che peccato... Se fossi stato spezzato... Ti saresti ritrovata con la metà di me meno divertente!>> cercava di sdrammatizzare, come suo solito.
Era tutto intero, ma i pantaloni erano a brandelli ed era ferito su tutte le gambe, ma almeno le aveva ancora!
Lei piangeva convulsamente e non lo liberava da quell'abbraccio, iniziò a baciarlo su tutto il viso <<Stupido... Sei uno stupido... Stupido.... Pazzo... Cretino... Cosa pensavi di fare...>> lo baciava e lo insultava.
<<Anche io ti amo!>> le rispose lui più calmo, accarezzandole i capelli.
L'adrenalina stava scendendo. Si iniziarono a sentire più stanchi e doloranti di quanto non avessero mai pensato di potersi sentire.
Ne avevano passate tante insieme, ma mai erano stati così ridotti male. Ma erano vivi, ancora, e questo bastava a tenerli vigili e aggrappati alla realtà.
Si misero seduti, cercando di riprendere lucidità e di quantificare i danni sui loro corpi. Lei aveva lividi e abrasioni, ma tutto sommato stava uno splendore rispetto a lui.
<<Riesci a metterti in piedi?>> gli chiese preoccupata.
<<Posso provarci...>> provò ad alzarsi piano, con l'aiuto di lei, per vedere se le gambe ancora lo reggessero. Barcollava ma era in piedi.
Ora lei poteva effettivamente vedere l'entità delle sue ferite oltre alle abrasioni sporadiche dovute alla caduta. Quello che era il suo giubbotto protettivo, era ora un ammasso di stoffa a brandelli e aveva in parte protetto il ragazzo da zanne e artigli, ma dove aveva ceduto si poteva intravedere la schiena sanguinante piena di tagli profondi.
Il petto era messo in parte meglio, ma aveva dei segni profondi di zanne sulla clavicola destra (da qui l'odore di sangue che aveva sentito mentre lo abbracciava), poco distante dalla giugulare che doveva essere stata il bersaglio della creatura che era riuscita a morderlo così pericolosamente, e altri segni simili sul fianco sinistro e in vari punti di braccia e, soprattutto, gambe, martoriate anche dagli artigli durante quel macabro tiro alla fune umano.
Probabilmente Percy si rese conto dello sguardo spaventato di Annabeth nel vedere il suo stato fisico, e si affrettò ad aggiungere <<Beh visto? Sto una favola!>> Ma nemmeno lui era così bravo a dissimulare il dolore sul proprio viso.
Lei però gli resse il gioco, consapevole che l'unico modo per andare avanti era non essere disfattisti <<Sì... Certo... Poi stai già guarendo, il tuo potere rigenerativo torna utile in questi casi...>>.
Era vero, Percy aveva uno straordinario potere rigenerativo che negli anni si era intensificato sempre di più, e in circostanze normali probabilmente si sarebbe potuto vedere a occhio nudo una sua ferita rigenerarsi, soprattutto se in prossimità dell'acqua.
Ma lì, in quel maledetto Labirinto, in quelle circostanze, al massimo si poteva notare un leggero rallentamento del flusso di sangue in uscita dalle ferite, niente di più.
Percy si guardò attorno per distrarsi <<Bene, dove... Dove ci troviamo?>>
Non avevano ancora ispezionato la stanza. Era un luogo ampio e luminoso, a base pentagonale, e il soffitto andava verso l'alto a formare una piramide a perdita d'occhio. In cima, un bagliore entrava dalla punta della piramide, ma non avrebbero saputo dire a che distanza si trovasse quel punto, e se fosse in qualche modo collegato all'esterno, e se quella fosse quindi la luce del sole. Sarebbe stato crudele, pensare di essere così vicini al mondo esterno, eppure impossibilitati a raggiungerlo.
Continuarono a guardarsi intorno. I muri erano di pietra rossa, e gli affreschi erano indistinguibili, erosi dal tempo, sicuramente molto antichi. Poi, Annabeth fu attirata da qualcosa, al centro della stanza: un piccolo ripiano di circa un metro e mezzo, sopraelevato di 3 scalini rispetto al pavimento, ospitava quello che sembrava essere a tutti gli effetti uno specchio, stranamente lucido e pulito a dispetto di quanto si possa pensare di trovare in un'antica piramide sotterranea.
Annabeth si avvicinò, come stregata, il suo ingegnoso cervello già all'opera.
Percy corrugò la fronte sospettoso <<Attenta... Non mi fido più di nulla qui sotto...>>
<<Tranquillo... Penso che sia... Una specie di chiave...>> si avvicinò sempre di più, lo specchio era rettangolare, riccamente decorato, incastonato nel suo piedistallo, ma gli intarsi lungo tutta la parte posteriore della cornice sembravano pezzi semimobili.
Annabeth lo studiò con interesse <<Ma certo... Un puzzle... Ma non è in greco... E nemmeno in latino...>>
<<Cosa pensi?>>
La ragazza scosse la testa, confusa <<Qualcosa di diverso... Sembra ebraico... Io credo che dobbiamo riuscire a far il modo che questo specchio si muova per riflettere la luce che proviene dall'alto... E poi... Non so... Potrebbe azionare qualche meccanismo...>>
Percy fece una smorfia <I meccanismi non mi piacciono, basta meccanismi...>>
<<Dai Percy guardati intorno... Siamo in una stanza chiusa, non ci sono aperture visibili tranne quel buco che ipoteticamente dà verso l'esterno per far entrare la luce del sole... Gli antichi egizi usavano trucchi del genere per illuminare l'interno delle piramidi con un sistema di specchi... Io penso che ci siamo. Questa è l'ultima stanza della profezia. L'Ancile di Ares deve essere nascosto qui, da qualche parte, e se risolviamo questo enigma ci verrà mostrato...spero... c'è un'iscrizione lungo la cornice, ma è in ebraico, non capisco...>>.
Mentre diceva questo ad alta voce, l'iscrizione si trasformò e diventò in greco, e recitava questo:
Sono obbligato a piantare un boschetto,
per contentar la graziosa ragazza che amo.
Questo curioso boschetto, che devo comporre,
Ha diciannove alberi in file dritte;
In ogni fila, cinque alberi devo porre,
o non potrò mai vedere il suo volto.
Percy annuì, stremato <<Va bene, sei tu il genio, fai quello che devi... Io... Mi riposo un attimo...>>
Annabeth era già assorta nella risoluzione del nuovo indovinello; Percy approfittò di quel momento di solitudine per appoggiarsi ad un muro con la schiena e lasciare che il suo viso si potesse contorcere dal dolore senza destare preoccupazioni alla sua fidanzata.
<<Io però... Non capisco... La soluzione posso inserirla tramite questi pezzi mobili sul retro dello specchio? Devo creare una figura??>> pensava a voce alta.
Percy la incoraggiò <<Sono sicuro... che troverai... La soluzione...>>. Stava davvero male, sperava di non distrarla e continuava a soffrire in silenzio. Avrebbe solo voluto lasciarsi andare e rannicchiarsi a terra, perdere i sensi... Almeno non avrebbe più sentito quei dolori lancinanti...
Poi, udì un sussurro, un brivido gli corse lungo la schiena, gli si drizzarono i peli della nuca e aprì gli occhi. Conosceva bene quella sensazione "combatti o fuggi": avvertiva il pericolo, i suoi sensi da semidio erano di nuovo all'erta.
E la vide, una sagoma indistinta di fronte a lui, alle spalle di Annabeth, che era ancora assorta nei suoi calcoli.
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