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Tre feste

Ohibò! Ciao, cari lettori, se ancora ci siete!


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[martedì 31 ottobre 2016]

<<Ti giuro che la prossima festa non sarà un mortorio come questa... e non ci saranno bambocci come alla prima...>> esclamò Leo indicando un punto imprecisato oltre il Forum, sulle prime alture della città.

<<Mmmhhh...>> mugugnò Percy da dietro la propria maschera. Aveva indossato l'unica che avesse potuto trovare con così poco preavviso, ovvero la stessa che aveva indossato per la festa di Carnevale tenutasi appena dopo l'insediamento suo e di Reyna come Consoli, un anno e mezzo prima.

L'aveva colorata di nero grazie a della vernice magicamente comparsa nella cintura di Leo, nella speranza che così nessuno riconoscesse la maschera del Console. Aveva poi indossato un semplice paio di jeans scuri, una maglietta e una felpa nera, e a questo si riduceva il suo costume.

Il figlio di Efesto, invece, si era costruito una maschera metallica in meno di mezzora con ciò che aveva raccattato dalla propria cintura e un paio di occhiali da saldatore come base, e ben si abbinava alle proprie braccia. E tra aggiunta di tubi e finti fili vari, nell'insieme ora sembrava un robot bionico, e l'effetto steampunk non gli dispiaceva affatto.

Una volta pronti, avevano preso una delle auto di Percy, una Porsche decapottabile, e avevano raggiunto i confini della città. Avevano tuttavia lasciato la macchina a circa 5 minuti dal Pomerium, nascosta tra sentieri nella vegetazione, per non attirare l'attenzione e farsi riconoscere. ottobre

Dopodiché, avevano proseguito a piedi, e avevano già passato al vaglio 2 feste in meno di un'ora: una al Campo Marte, dove erano presenti tutte le reclute più giovani dell'esercito, compresa Dorothea e la sua cricca, e da cui quindi si erano dileguati subito per non attirare l'attenzione, e una nei pressi del Forum, che si era rivelata più che altro un ritrovo ricreativo per famiglie con bambini.

Sentendosi fuori luogo, avevano quindi deciso di spostarsi nuovamente dopo aver bevuto un solo punch caldo.

Leo era speranzoso per il terzo tentativo, una festa privata in una delle ville più esclusive di Nuova Roma di cui aveva sentito parlare dalle ninfe a Palazzo, e cercava di invogliare Percy a seguirlo.

Quest'ultimo, invece, sempre più disilluso, aveva perso qualsiasi interesse e aveva già decretato quell'idea di Leo come un fallimento, e lo seguiva attraverso il Forum solo per inerzia.

<<Dolcetto o scherzetto!?>>

Un bimbetto coi capelli color cannella di non più di 7 anni, vestito da zombie, si era parato di fronte a Percy. Poco dietro, una giovane di bell'aspetto tra i 25 e i 30 anni e con la stessa tonalità di capelli lo chiamava <<David! Non importunare gli estranei, alla festa avrai tutti i dolci che vuoi!>> lo rimproverò.

Ma il bimbo, testardo, insistette in tono perentorio <<Dolcetto o scherzetto!?>>

Percy si accigliò da dietro la maschera. Si tastò le tasche in un gesto istintivo, per poi fare spallucce <<Mi dispiace, credo che dovrò rassegnarmi allo scherzetto!>> disse in tono divertito.

E il bambino, come se niente fosse, gli mollò un calcio negli stinchi.

<<AHU! OH CA...>>

<<PERCY!>> lo interruppe Leo dall'imprecare di fronte ad un bambino.

<<DAVID!>> tuonò la madre raggiungendo il figlio, che rideva di gran gusto, <<Scusateci molto! È proprio una peste quando ci si mette!>> pigolò imbarazzata ritraendolo dal ragazzo colpito.

Percy, dolorante ma trattenendosi dal lamentarsi ancora, banalizzò ridacchiando <<Ah-ha... l'ho notato... che... che simpatico...>> concluse non proprio convinto.

<<Fa sempre così quando suo papà ha il turno di guardia, credo voglia solo attirare l'attenzione...>> si giustificò lei.

<<Ah... il tuo papà è un soldato, eh? E tu, vuoi fare il soldato da grande?>> chiese Leo inginocchiandosi vicino al bimbo per guardarlo in faccia.

Quello, con decisione, scosse la testa <<No!>>

<<Ah no? E cosa vuoi fare? Avresti talento come calciatore...>> disse Percy sardonico suscitando le risate della ragazza.

<<Voglio fare il Console e comandare tutti!>> dichiarò il bimbo.

<<Ah! Furbo... eh?>> ridacchiò Leo voltandosi verso l'amico. Dal canto suo, Percy ringraziò di avere il volto coperto, perché si corrucciò ben più del dovuto <<Potresti restare deluso, piccolo.>> commentò poi.

<<David! Ma che cosa dici! Non ti ho educato così! Scusatemi ancora, sono mortificata!>> disse trascinando via il figlio verso la festa.

<<Macché! È davvero simpatico! Ciao, David!>> salutò Leo.

<<Sì, ciao ciao!>> fece Percy un po' sarcastico. In risposta, il bimbo gli fece una linguaccia, e corse via verso la festa, mentre la madre rivolgeva un ultimo sguardo di scuse ai due ragazzi.

Ancora increduli e divertiti, i due proseguirono verso la meta, ma Percy si bloccò una volta vista la villa a cui puntava Leo, un bel maniero circondato da vigneti <<Aspetta... stiamo andando lì?! No... no no. No.>> si oppose scuotendo la testa e facendo qualche passo indietro.

<<No?>> chiese Leo confuso.

<<No.>> ribadì Percy perentorio.

<<Ma... ma... perché!? Andiamo... sarà una festa bellissima! A quanto si dice...>>

<<Ma è la casa di Lacroix! Sei fuori!? Io lì non ci metto piede...>> protestò.

<<E perché mai!?>>

<<Beh lo sai... non lo sopporto...>>

<<Vuoi dire... il Console Percy Jackson non lo sopporta... ma stasera sei solo una sottospecie di demone, no!?>> sottolineò Leo.

<<No.>> ripeté il ragazzo per l'ennesima volta.

<<Uff. E perché? Perché è stato con Annabeth? Sei un pelo ipocrita, lo sai?>> lo punzecchiò.

Percy incrociò le braccia sentendosi aggredito, e provò a difendersi <<Ma no... non per quello... ma è un mio avversario politico... ed è un essere insopportabile. Anche il suo accento mi fa venire voglia di sgozzarlo.>>

<<Ci saranno centina di persone, potresti non incontrarlo nemmeno... e non sei curioso di vedere dove vive... e magari rompere qualcosa!?>>

Stufo di battibeccare, il figlio di Poseidone decise di assecondare il compagno e portare pazienza per un'altra ora, sperando che la festa si rivelasse l'ennesimo fiasco così da tornare a casa presto.

Invece, la festa sembrava davvero superlativa, e non aveva nulla da invidiare a quelle organizzate al palazzo dei Consoli.

E, come promesso da Leo, il range di età e la tipologia di partecipanti era più in linea con le loro aspettative.

<<Stasera si cucca!>> esclamò Leo strofinandosi le mani e creando un fastidioso stridio.

<<Ah cazzo, Leo! Odio quando fai così...>> lo rimproverò Percy.

<<Oh, mi scusi Mr. "Arti di Carne", eh! Dai... beviamoci qualcosa...>> banalizzò.

Percy si guardò intorno, poco convinto di voler rimanere <<Non so... magari io me ne torno al palazzo...>> disse dopo aver notato senatori e altri politici conosciuti, inclusi il proprietario della tenuta, Lacroix, e la nuova fiamma di Annabeth, Richard Trade. Saettò lo sguardo in giro, per vedere se fosse arrivata anche lei dopo la disastrosa cena di un paio d'ore prima. E la vide, ancora col volto cupo. Dopodiché, anche lei si infilò una maschera, tanto per restare in tema con la festa.

<<Ma che dici!? Sei tu che volevi divertirti spensierato! Lasciati andare, nessuno sa chi sei in questo momento!>> lo rimbeccò Leo parandoglisi davanti per impedirgli di fissare quelle persone.

Il giovane figlio di Poseidone si grattò il collo, soppesando la situazione. Non era affatto convinto, e continuava a farsi influenzare da cattivi pensieri, preoccupazioni e dolori fisici vari a cui non si era ancora del tutto abituato. Il posto gli sembrava troppo caotico e gremito, e il rischio troppo alto...

E se qualcuno lo avesse riconosciuto? E se si fosse presentato un pericolo a cui non avrebbe potuto reagire da semidio? E se Reyna lo avesse scoperto fuori dal palazzo così esposto? E se quell'asfissiante situazione non si fosse mai sistemata?
Non aveva nemmeno raccontato l'accaduto a propria madre... e se fosse morto senza nemmeno poterle spiegare? O se qualcuno a cui voleva bene fosse stato ucciso perché non poteva difenderlo?

Iniziò a iperventilare da sotto la maschera nel giro di pochi secondi.

Leo, che ormai si era abituato a interpretare i segni dei suoi squilibri, anticipò il suo attacco di panico spingendogli in mano un bicchiere di vino, e lo costrinse a berlo subito tutto d'un fiato.

<<Meglio?>>

Percy annuì mugugnando <<Mhh-mhh.>>. Così, gliene passò un altro, sentendosi un po' in colpa.

E dopo il terzo bicchiere in 5 minuti, il figlio di Poseidone sembrava aver momentaneamente annegato i cattivi pensieri.

<<Non è la soluzione migliore per il tuo stato di salute... ma è l'unica che funziona quando inizi a sclerare... e non puoi perdere la testa ora, in mezzo a tutti.>> sottolineò Leo bevendo a sua volta.

E dopo un ennesimo cicchetto, i due iniziarono a dondolarsi in mezzo al salone adibito a pista da ballo insieme ad un altro centinaio di persone, seguendo più o meno il ritmo della musica, fino a quando non si poté dire che stessero effettivamente ballando.

Leo ovviamente si esibì in mosse da robot, mentre Percy si mantenne più sobrio nelle movenze, pur riuscendo a lasciarsi andare e divertirsi.

Incredibilmente, dopo una mezzora buona si erano del tutto integrati e abituati all'idea che, in mezzo a 400 persone in maschera, nessuno avrebbe azzardato ad immaginarsi chi loro due fossero, se non due ragazzi qualsiasi in cerca di divertimento.

<<Ehi! Balli bene!>> esordì una ragazza mora coi capelli ricci e una semplice mascherina nera coi brillantini tirata sugli occhi.

<<Cosa!?>> chiese Leo avvicinando una mano all'orecchio.

<<Oh! Fighe le tue mani robotiche! Molto realistiche!>> aggiunse la ragazza.

<<Grazie! Ne vado molto fiero!>> rispose battendosi il petto, e aggiunse un cordiale <<Anche il tuo vestito è figo!>> ma avrebbe invece voluto dirle che vestirsi da strega coprendosi solo gli occhi con la prima cosa raccattata era piuttosto banale. Tuttavia, per il fine di quella serata, la sincerità non era necessaria.

<<Beviamo qualcosa?>> propose lei con un sorriso.

Incredulo, ma fingendosi spavaldo, Leo annuì con leggerezza, come a dire "Beh, non ho di meglio da fare... ci sta!"

Tuttavia, prima di andare, lanciò uno sguardo al proprio protetto, che via via si stava lasciando andare sempre di più al ritmo e alla spensieratezza <<Ehi, tu stai bene? Mi allontano, ok?>>

In risposta, Percy annuì vigorosamente, proseguendo poi quel movimento di testa come fosse parte della sua personale coreografia.

Leo fece spallucce, e seguì la ragazza in un angolo del salone, verso il bancone bar.

Ai due bastarono un paio di prosecchi e qualche convenevole per entrare in sintonia, dato che per entrambi lo scopo era piuttosto chiaro.

<<.... Quindi, diciamo che sono discendente di Adeona, ma anche di Venere alla lontana, sai!?>>

<<Oh wow, interessante...>>

<<E tu? La tua famiglia a chi è legata?>>

<<Io sono figlio di... Vulcano.>> rispose Leo semplicemente, senza vantarsene affatto ma come un semplice dato di fatto, e ricordandosi di traslare il nome al romano.

<<Oh! Discendente diretto? Figo!>> commentò la ragazza, che ora Leo poteva dire avere circa la sua stessa età ed essere piuttosto carina, forse oltre le sue stesse possibilità.

<<E dimmi, pensi di farmi vedere il tuo faccino prima o poi o...?>> proseguì lei, facendo intendere l'interesse, ma chiedendo comunque di ispezionare la merce prima della trattativa finale.

Leo nascose l'imbarazzo, e, cercando di non attirare l'attenzione di gente conosciuta, si alzò appena la maschera, sorridendo sardonico verso la ragazza.

Dopotutto, non si poteva dire che Leo fosse di cattivo aspetto, e aveva un sorriso genuino, che la ragazza trovò intrigante.

Lei sorrise a sua volta, e allungò una mano sulla sua spalla <<Vieni con me?>>

Sbalordito da cotanta fortuna, Leo si risistemò la maschera prima di muoversi dallo sgabello, e la seguì.

I due andarono in cerca di una stanza preclusa alla festa, sperando di trovare un posto dove appartarsi indisturbati. Fortunatamente, la villa era davvero ampia, e non fu poi tanto difficile.

Entrambi si sfilarono le proprie maschere e iniziarono a baciarsi ridacchiando, e lei lo indirizzò verso una poltroncina in un angolo della stanza, in penombra. Lui si sedette, e lei gli si mise sopra, continuando a baciarlo con trasporto, slacciandogli i pantaloni.

Con molta, moltissima cautela, lui provò ad accarezzarla, partendo dal basso e andando verso l'alto, verso il suo viso... ma non sentiva nulla, e la paura di ferirla era superiore al piacere che stava provando. Lei ridacchiò <<Uhuh, queste mani sono fredde! Dai, toglile!>> gli disse, pensando che anche quelle facessero parte del costume.

Lui si bloccò, e le sorrise mestamente <<Perdonami, ma credo dovremmo fermarci... in fondo... non ci conosciamo...>> disse per giustificarsi.

Lei gli lanciò un'occhiataccia, e sbuffò annoiata <<Sei serio? Uff. Era solo una scopata ad una festa, mica ti ho chiesto di sposarmi... assurdo!>> si lamentò alzandosi e sistemandosi i vestiti, e se ne andò lasciando il ragazzo solo e borbottando qualcosa sul fatto che i figli di Vulcano fossero proprio pesanti.

Lui, invece, rimase su quella poltrona a rimuginare. Non era la prima volta che faceva sfumare un'occasione simile. Già non gli era facile rimorchiare come ad un Percy, ma quando gli capitava non era in grado di andare oltre a qualche leggero preliminare, da quando si era lasciato con Calypso.

Perché non riusciva a lasciarsi andare? Era ancora innamorato?

No, non lo era. Quella era solo una scusa che si era detto per molto tempo per giustificare le proprie azioni, i propri sbagli. Ma quello non era amore, e ora lo capiva.

Senso di colpa, allora?

Certo. Era quello, ma bruciava da morire ammetterlo. Era molto più facile incolpare qualcuno della propria cattiva sorte. Le Parche. Gli Dei. O qualcuno come Percy, per esempio, o chiunque altro ritenesse più ingiustamente fortunato e felice.

Tuttavia, dopo aver trascorso gli ultimi mesi a stretto contatto col suo rivale, nel conoscerlo meglio e non vederlo così sofferente, non poteva nemmeno più usare quella scusa. Che pena, compatire il proprio nemico...

La musica e le risate provenienti dalla festa distrassero i suoi pensieri, e dopo una mezzora buona si decise ad alzarsi, anche se si sentiva pesante come un macigno.

Tornò verso il salone principale con l'intenzione di ritrovare il proprio protetto e tornare al Palazzo, dato il pessimo umore che ora attanagliava anche lui.

Lo trovò dove lo aveva lasciato: ancora in pista, a ballare, o meglio, a muoversi ritmicamente seguendo la musica come fosse in trance, e ubriaco. In mano, aveva l'ennesimo bicchierino di supercalcolico, e non si curava di niente e nessuno se non della sua danza.

E qualcuno lo osservava pure, chi ridacchiando, chi trovandolo ipnotico in quei movimenti fluidi come l'acqua. Per fortuna era mascherato, si disse Leo, o quello sarebbe stato di ottimo spunto per un ennesimo scoop scandalistico: "Il Console ballerino, che sia quella la sua vera vocazione? Scoprite di più a pagina 7, 8 e 9." sarebbe stato il titolo, pensò.

Prese Percy a braccetto, e piano ma deciso lo guidò verso l'uscita.

<<Ma dove andiamo?>> chiese quando ormai stavano varcando la porta.

<<A casa, non era lì che volevi andare?>> rispose pacato, pensando alla fatica che avrebbe fatto per riportarlo fino all'automobile, ad almeno 20 minuti a piedi da dove si trovavano.

<<Beh, oltre un'ora fa, adesso voglio stare qui!>> protestò provando ad opporsi fisicamente.

Se fosse stato ancora un semidio a tutti gli effetti, gli sarebbe bastato puntare i piedi per impedire a Leo di spostarlo, ma ora per il figlio di Efesto era come spostare un debole fuscello, e ne approfittò.

<<Dai, Leo! Restiamo!>> piagnucolò come un bimbo viziato.

<<Non urlare il mio nome, scemo! Avevi ragione, c'è troppa gente, è meglio andarsene!>>

Per qualche minuto Percy smise di protestare, forse in un barlume di consapevolezza, o forse troppo intontito dall'alcol.

Si erano allontanati qualche centinaio di metri, le voci diventavano via via più fievoli, le luci più fioche, ormai erano quasi in aperta campagna.

Percy barcollava, e Leo lo sosteneva quasi totalmente. D'un tratto, il figlio di Poseidone ebbe uno scatto rabbioso, e brontolando spinse via il compagno <<Smettila! So camminare!>>

<<Lo vedo...>> ribatté l'altro sarcastico provando a riprenderlo a braccetto.

<<Non prendermi per il culo!>> gli abbaiò biascicando.

Leo sospirò per mantenere la pazienza, anche se la serata non stava proprio finendo come aveva sperato <<Dai Percy, ti riporto a casa...>>

Ma il suo protetto lo spinse ancora via <<Lasciami stare, mi stavo divertendo e hai rovinato tutto... non mi servi...>>

Leo sospirò ancora con la mascella irrigidita, socchiudendo gli occhi <<Ma piantala. Sei ubriaco.>>

Percy fece qualche gestaccio e lo mandò al diavolo <<Posso tornare a casa benissimo da solo, sei un bodyguard inutile e sei anche peggio come navigatore!>>

Leo strinse forte le mani. Se fossero state ancora parte del suo corpo, avrebbe già avuto delle piccole sfere infuocate tra le dita. Invece, ora che aveva le protesi, non poteva nemmeno più governare il fuoco da lui creato, poteva solo emanare calore dal resto del corpo, ma niente di più.

Quindi, non solo aveva perso la donna che amava e la propria abilità manuale, ma anche la possibilità di usare appieno il suo speciale potere. E tutto per cosa? Per un coglione che non aveva tenuto i pantaloni chiusi e che ora, durante il punto più basso della propria esistenza, si spaccava di alcol e sigarette per accelerare il declino del suo corpo mortale in una sorta di autolesionismo depressivo?

Che schifo. Lo guardò come avrebbe guardato un mostro da rispedire al Tartaro. Percy percepì l'odio nel suo sguardo, e lo sfidò <<Dai. So che lo vuoi. Sono debole, non avrai mai più un'occasione simile! E non ne avresti mai avute, ti avrei sempre battuto, lo sai.>>

<<Fottiti.>> sputò rabbioso, e si voltò per dargli le spalle e allontanarsi prima di doversi pentire delle proprie azioni, di nuovo. E senza nemmeno dargli le chiavi della macchina.

<<AH! Non ti azzardi nemmeno a toccarmi, eh? Sei proprio uno sfigato, non hai le palle... Per questo sei solo!>>

Leo si bloccò. Inspirò a fondo, poi si voltò a guardarlo <<Tu morirai. Presto. In un modo o nell'altro, qualcuno che vuole fartela pagare scoprirà il tuo segreto. E te lo meriti.>>

<<Lo so. Lo spero.>> mugugnò l'altro a bassa voce. Ma Leo non lo udì, perché si stava già allontanando verso la direzione opposta al palazzo più veloce che poteva, abbandonando Percy che, invece, continuava ad inveire verso di lui per provocarlo.

Come aveva fatto a pensare di poter andare d'accordo con quello stronzo? E pensare che negli ultimi mesi, stando a stretto contatto, aveva quasi iniziato a trovarlo piacevole, a tratti simpatico... e aveva anche provato pena per la sua situazione... come era possibile!?

Era la convivenza forzata, non c'era altra spiegazione, perché mai e poi mai sarebbe stato amico di Percy Jackson in circostanze normali. E se non avesse fatto una promessa a Reyna, quella sera un bel cazzotto su quel faccino tanto bello non glielo avrebbe di certo negato!

Ma perché si dava tanta pena per una promessa? Non era mica costretto, no?

"Per il tuo onore, per redimerti." Gli disse una vocina nella testa.

"Redimermi da cosa? Se lo meritava!" pensò urlando mentalmente.

Durante quel dialogo interiore contro la propria coscienza, aveva continuato a camminare e camminare per almeno 20 minuti, senza rendersi conto di essere arrivato ormai alla sommità della collina oltre la quale giaceva la vallata con il cottage che Calypso aveva abitato. Era un caso?

Da quella calda notte d'estate, non aveva più rimesso piede sulla scena del delitto, e ora che vi si avvicinava si sentiva piuttosto inquieto, ma curioso. Del resto, che male c'era a tornarci?

Raggiunse la cima della collina seguendo il sentiero, e ammirò dall'alto i segni lasciati dal proprio operato.

Il povero cottage di legno era distrutto, del tutto bruciato e divelto dal tetto e dalla maggior parte dei muri. Solo alcune travi portanti molto spesse avevano resistito. La natura aveva fatto il proprio corso, ricrescendo rigogliosa laddove l'incendio aveva lasciato solo cenere. Il torrente scorreva ancora dalla collina opposta fino a quello strano lago che sembrava così innaturale.

Il ragazzo ebbe dei flash di quella notte, sempre più nitidi man mano che si avvicinava al rudere. Si ricordò quando aveva percorso quello stesso sentiero, certo che vi avrebbe trovato i due fedifraghi, con la rabbia che montava e montava, fino ad accecarlo.

Si corrucciò nel notare i dettagli della devastazione che si era lasciato dietro, e nel ripensare con raccapriccio alla violenta furia che aveva usato.

Tutto d'un tratto, da un angolo del rudere che gli era rimasto nascosto alla vista, sbucò fuori un ometto alto circa quanto lui, che dimostrava tra i 60 e i 70 anni.

Il vecchio stava portando fuori dal cottage alcune delle travi minori bruciate, e Leo ora notò sul retro del cottage un tavolo da lavoro illuminato da alcuni faretti da esterno, e molti attrezzi da carpentiere.

Che diavolo ci faceva un operaio, in un cantiere all'aperto in quella stagione e a quell'ora?

<<Ehi, giovanotto, cerchi qualcuno?>>

<<N-no mi scusi, non pensavo ci fosse qualcuno, qui...>> pigolò imbarazzato.

Il vecchio lasciò cadere le travi sull'erba, e ridacchiò sarcastico <<A meno che tu non voglia ammazzarmi, di che ti scusi?>>

Leo, totalmente colto alla sprovvista sia da quella presenza che dalla battuta, inarcò un sopracciglio <<Beh, se avessi saputo che c'era qualcuno non sarei venuto a disturbare...>>

<<Che disturbo... Mica dormo.>>

<<Ehm... ok... ma... scusi, che-che sta facendo?>> chiese poi curioso, chiedendosi se il vecchio fosse il nuovo proprietario della casetta.

<<Che non vedi? Lavoro, no?>>

<<Ma... a quest'ora di notte?>>

<<Embé, uno lavora quando vuole sui propri progetti, non è mai l'ora sbagliata, no?>>

Non del tutto sicuro che quel tizio fosse a posto con la testa, il ragazzo decise di assecondarlo per non creare attriti <<Certo, vero. Ehm... allora... allora io vado...>> disse facendo per voltarsi, mentre il vecchio si era arrampicato su una scala per tirare giù delle assi bruciate dal tetto.

<<Di' un po', riesci a passarmi quell'accetta prima di andartene?>>

Leo si accigliò, ma decise di non essere scortese, nella sua cultura gli anziani andavano rispettati, dopotutto; quindi andò verso gli attrezzi e cercò un'accetta delle giuste dimensioni per ciò che serviva al vecchio, e gliela porse.

<<Nah, me ne serve una più grande...>>

Leo sogghignò <<Questa è più maneggevole e sufficiente per quelle piccole assi, deve solo buttarle giù, no?>>

Il vecchio annuì, ma commentò negativamente la scelta del ragazzo, mentre dava i primi colpi alle assi <<Vedi che è piccola...>>

<<Ma no, la sta solo usando male... Cioè... non sfrutta le leve...>> disse spontaneamente, senza l'intento di offendere il vecchio.

Questo si voltò a guardare il ragazzo con un cipiglio tra l'alterato e il divertito <<Ah, abbiamo un ingegnere qui, eh? Allora toh, ingegnere, pensaci tu!>> ribatté lanciando l'accetta verso Leo.

Per fortuna quest'ultimo era un semidio dai riflessi prontissimi tali da poter prendere al volo un utensile del genere per il verso giusto, altrimenti si sarebbe fatto amputare un braccio.... Per la seconda volta.

Tirò le labbra in una smorfia infastidita, mentre il vecchio lo osservava con sguardo di sfida. Dopo qualche secondo, si arrese a quell'occhiataccia <<E va bene, le faccio vedere come si fa... Scenda dalla scala...>>. D'altronde, non aveva niente di meglio da fare, pensò.

Salì sulla scala al suo posto, e impartì dei precisi e netti colpi alle travi, in modo da spezzarle nel punto più debole e farle cadere dal tetto. Nel giro di 10 minuti, aveva rimosso tutte le vecchie travi ed assi, lasciando il cottage completamente scoperchiato.

<<Ah! Bravo, bravo... adesso mettiamo quelle nuove, dai, finché sei lì su...> propose il vecchio entusiasta e con l'intento di sfruttare il vigore del giovane.

Leo corrugò la fronte guardando lo scheletro del rudere, e fece un paio di calcoli a mente <<Ma prima dovremmo cambiare quelle travi portanti, non ha senso cambiare quelle del tetto se i muri non tengono...>> spiegò indicando i punti cardine della casa.

Il vecchio, con aria intontita, guardò cosa il ragazzo indicava, e un po' confuso chiese <<Tu dici, eh? Che cambia?>>

<<Beh, se vuole avere davvero un tetto senza che le crolli in testa, cambia un bel po', direi.>> rispose sicuro di sé. Nessuno poteva mettere in dubbio i suoi calcoli, certo che no.

<<Te ne intendi di architettura?>>

<<Mmm, non è il mio campo specifico, ma non mi serve essere un architetto per dire quale sia il modo più logico di ricostruire una casa... e si tratta di una casa semplice, sono 4 mura e un tetto, bastano fisica e geometria basilari... e del buon senso!>>
<<Ahn...>> rispose il vecchio in tono mesto. Anche in questo caso, Leo aveva parlato senza pensare che, magari, di fronte aveva qualcuno non ferrato come lui per quelle cose, e si dispiacque nel vederlo deluso.

Capì che non doveva essere proprio un genio per quelle materie, e dubitò che potesse portare a termine il proprio progetto da solo <<Ma... non c'è nessuno di più... esperto diciamo, che possa venire a darle una mano? Non ha una squadra per i lavori?>>

<<Una che? Roba da ricchi, mica posso concedermi questi lussi! Già tanto che sia riuscito a comprare questa catapecchia all'asta... casa mia me la sistemo io!>> brontolò tornando verso il banco di lavoro per prendere altri arnesi.

Leo non lo vide con chiarezza, ma avrebbe giurato di aver visto gli occhi del vecchio scintillare nel guardare quella catapecchia che cadeva a pezzi. E nonostante nemmeno lo conoscesse, e lo trovasse pure un po' fastidioso, non riuscì ad evitare di sentirsi chiamato in causa.

<<Beh, magari... magari potrei fare un salto ogni tanto, e darle consiglio, se le va... o aiutarla per i lavori più pesanti...>> disse senza riflettere sull'impegno che si stava prendendo. E dopo un secondo si pentì della propria proposta.

Troppo tardi... l'anziano si aprì in un sorriso più che genuino seppur trattenuto, e borbottò <<Oh... beh... un paio di braccia giovani e forti sono quello che ci vogliono... e le tue sembrano particolarmente resistenti, eh?>>

Leo istintivamente nascose le proprie braccia in un moto di vergogna, che non sfuggì al vecchio, nonostante non sembrasse proprio sveglio.

<<Sono piuttosto resistenti, sì...>> ammise il ragazzo sentendo l'obbligo di dover rispondere per educazione. Dopodiché, per spezzare l'imbarazzo, prese in mano un'accetta più grande della precedente, e, senza nemmeno preoccuparsi della tarda ora, iniziò a colpire le assi del muro bruciate, mentre il vecchio rimuoveva tralci di edera ed erbacce che avevano ricoperto il rudere.

A fatica e non senza perdersi un paio di volte, Percy riuscì a rientrare al palazzo quasi del tutto incolume nonostante fosse a piedi. Ci mise almeno un'ora, certo, ma era da considerarsi un ottimo risultato, considerate le sue condizioni.

Comunque, inciampò una o due volte lungo i sentieri campestri, e ribaltò alcuni soprammobili durante il proprio tragitto fino agli appartamenti, nonostante fosse scortato dalle ninfe. Poi, vomitò non meno di quattro volte nel corso dell'ora successiva, con Xanto che cercava di assisterlo e mantenere la calma.

Intorno alle 3 di notte, finalmente la naiade riuscì ad adagiarlo su una poltrona, avvolto nel proprio accappatoio dopo averlo costretto ad una doccia rigenerante – e non senza sperare che l'acqua avesse dei benefici su di lui come un tempo.

Dopodiché, gli preparò una bevanda calda tipica del suo popolo per sistemare lo stomaco sottosopra, e fu proprio un toccasana. Nel giro di mezzora, il ragazzo era tornato abbastanza lucido da poter sostenere una conversazione, e ringraziò la ragazza <<Xanto... grazie. Non dovevi disturbarti così... che imbarazzo...>> mugugnò nascondendosi il volto.

<<Nessun disturbo, Console. Mi fa piacere prendermi cura di lei. Ma non dovrebbe esagerare così, nelle sue condizioni...>> si azzardò a dire.

Percy scosse la testa, infastidito, ma non dal consiglio <<Devi smetterla di chiamarmi Console, ti prego. Non lo sopporto.>>

<<Mi scusi.>> pigolò lei. Lui roteò gli occhi al cielo per ignorare tutta quella deferenza, poi commentò <<Comunque hai ragione, ovviamente. Grazie, ora vai a riposarti, è tardissimo.>>

Lei annuì, e in silenzio si dileguò. Lui, invece, rimase a sorseggiare quella bevanda con calma, e con la mente persa.

Ovviamente, si sentiva uno schifo per come aveva trattato Leo. Perché diavolo aveva cercato il confronto? Certo, avevano ancora molte questioni irrisolte, e non erano proprio "amici"; però, dopotutto, quel ragazzo era la persona che più gli stava vicino in quel periodo difficile.

Ed era stato pessimo anche con i suoi amici, a quella cena. Era quello, l'uomo che stava diventando? E privato dei poteri si sentiva così male da dover ferire anche gli altri?

No, non lo faceva apposta, si disse. Era solo frustrato e... spaventato. Non era la prima volta, no di certo. Ma quella sensazione di impotenza lo stava uccidendo più velocemente dei suoi problemi cardiopolmonari.

Intorno alle 4, posò il bicchiere ormai vuoto sul tavolino di fronte alla poltrona, e si alzò per prendere una boccata d'aria.

La fresca brezza autunnale lo fece rinsavire quasi del tutto. Inspirò a pieni polmoni, godendosi quella pace, e quel silenzio. Dopotutto, non era rilassante, non avere più nessuno che dipendeva da lui? Non poteva liberarsi da ogni vincolo e impegno, e vivere una vita normale?

Improvvisamente, gli tornò in mente il ricordo dell'ultima volta in cui si era sentito così leggero, lontano da Nuova Roma senza incarichi ufficiali, ritornando nel mondo mortale e comportandosi da ragazzo qualsiasi solo per seguire il proprio cuore. Era stato piacevole. E voleva rivivere un po' di quel piacere.

Magari, visto che non si sentiva compreso dai suoi attuali amici, poteva fare affidamento su qualcun altro, qualcuno che, già in passato, lo aveva fatto sentire bene. Qualcuno che, purtroppo, stava perdendo per la di entrambi cocciutaggine. Magari, poteva fare lui un passo, stavolta.

Sospirò, maledicendosi, ma promettendosi di restare lucido nei propri intenti. Si vestì casual, tornò sul terrazzo, fischiò 3 volte verso il parco, e cavalcò Blackjack fino al Campo Giove.

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