Piani Machiavellici
Hola, qui la vostra autrice preferita (spero) che vi parla!
Per dimostrarvi quanto mi senta in colpa per avervi abbandonato per così tanti mesi, e farmi un pochino perdonare promettendovi di provare ad essere più costante nel pubblicare (se le muse mi concederanno l'ispirazione) eccovi un altro bel capitolo.
Ci tengo a presentarlo stavolta, perché è importante per alcune dinamiche psicologiche prima dei prossimi sviluppi... e perché ritengo modestamente di essere riuscita a sfruttare alcuni buchi di trama di Zio Rick (ahah!).
Ma magari mi sbaglio, quindi... leggete e commentate per dirmi cosa ne pensate, grazie! <3
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[24 novembre 2016, giovedì notte]
<<Leo? Leo... dai, alzati. Torniamo a Palazzo.>> disse il ragazzo in tono premuroso.
<<Vattene, Percy. Lasciami stare.>> gracchiò il semidio con la voce rotta dal pianto e dal nervosismo. Era seduto sulla riva di quel lago tanto odiato.
I quattro ragazzi erano arrivati al cottage ormai da oltre mezzora. Nessuno era presente.
Leo aveva ispezionato e rivoltato l'intero cantiere in cerca di una qualche prova, qualsiasi cosa, che potesse dimostrare l'esistenza di Sisto, ma come poteva? Cosa avrebbe convinto gli altri della sua sanità mentale?
Gli altri tre lo avevano lasciato fare, avvolti nei loro cappotti, osservandolo curiosi e corrucciati, qualcuno già certo dell'esito di quella ricerca.
Il figlio di Efesto si era impanicato sempre di più, incredulo di quella situazione. Non era possibile, era tutto scolpito nella sua memoria molto nitidamente. Ma se tre tra i semidei più potenti in vita dubitavano di lui, la voce della ragione gli diceva che doveva essere come sostenevano loro. No?
Arresosi, aveva camminato fino al lago, e lì era crollato a terra, in uno stato di angoscia e sconforto.
<<Non va bene. Non va bene affatto.>> aveva mormorato Reyna preoccupata.
Annabeth non aveva commentato, ma era molto cupa in volto. Percy, invece, aveva preso le difese di Leo <<Questo non dimostra nulla. Il vecchio potrebbe essere sceso in città, non trovarlo qui ora e non avere elementi che confermino... la sua... esistenza diciamo, beh non significa nulla! A meno che non vogliate cercare le sue impronte digitali o tracce di DNA!>> concluse sarcastico.
<<Sei serio? Guardalo, nemmeno lui ci crede più. Non è strano che nessuno abbia mai visto questo Sisto? O che non sappia nemmeno come rintracciarlo?>>
<<Non erano così in confidenza, probabilmente...>> aveva ipotizzato Percy.
Ma Reyna era irremovibile <<Scommetto che se chiamassi Frank e chiedessi di controllare l'ultimo censimento, il nome Sisto None non comparirebbe! Anzi... ora torniamo a Palazzo, e facciamo proprio questo. E controlliamo anche gli atti di vendita di questo appezzamento... sono sicura che nessuno l'abbia comprato!>>
Percy non aveva proseguito quello che pensava essere un dibattito a senso unico, e si era incamminato verso Leo per dimostrargli sostegno e proporgli di tornare a palazzo. Ma Leo voleva restare solo.
<<Senti, adesso credo tu abbia bisogno di stare con noi... per parlare, e chiarirti le idee. Poi domani potremo riprendere a cercare Sisto insieme.>> propose calmo.
Il figlio di Efesto ridacchiò scettico <<Pff, ma dai! Sarò pazzo ma non stupido. Reyna mi guarda come se non aspettasse altro che ributtarmi in gattabuia. E tu... tu sei fin troppo gentile, non dovresti. Non lo merito, da te. Non c'è bisogno che tu finga.>>
Percy fece spallucce <<Non sto fingendo. E ok, non so se Sisto sia reale o meno a questo punto... ma se... se tutta questa storia ti sta aiutando a sistemarti quello che hai in testa e a fare pace con te stesso, beh, che male c'è? E io l'ho visto, che stai meglio da quando stai ricostruendo il cottage.>>
Leo alzò lo sguardo verso il figlio di Poseidone, corrucciato <<Sei serio?>>
<<Sì. Siamo semidei. Abbiamo dei... demoni... e ognuno di noi si inventa un modo per combatterli e restare sano, no?>> rispose comprensivo e con premura.
Leo ci rifletté, incerto. <<E tu, come li combatti?>>
Percy fece una smorfia <<Quando lo scoprirò, te lo dirò.>> rispose con totale onestà. Leo ridacchiò ancora, cupo.
<<Percy, torniamo a Palazzo. Bisogna finire di medicarti, e non possiamo rischiare che tu venga visto così da qualcuno.>> disse Reyna ad alta voce per farsi udire dal cottage, dove era rimasta a parlottare con Annabeth. Dalle loro espressioni in volto, sembrava avessero discusso.
Percy sbuffò, e si strinse nel proprio cappotto per resistere ad una folata di vento pre-invernale. Non fece un passo, ma richiese a Leo le sue intenzioni <<Quindi?>>
Il ragazzo si asciugò le lacrime dal viso, e si rimise in piedi, senza il coraggio di guardare Percy negli occhi <<Vorrei restare qui, al cottage, stanotte... per... per attendere Sisto...>> concluse poco convinto.
Percy annuì <<Ok. Non avrai freddo qui all'aperto?>>
Leo scosse la testa <<C'è il salotto quasi del tutto sistemato, manca solo una parete, ma posso accendere un fuoco nel camino e stare lì.>> spiegò con lucidità. Il figlio di Poseidone annuì di nuovo, ma lo guardò intensamente, come a dire "Certo, prenditi tutto il tempo che vuoi, purché tu non faccia stronzate".
Il figlio di Efesto sembrò comprendere quel tacito avvertimento, guardò finalmente Percy negli occhi, e annuì a sua volta prima di allontanarsi e tornare verso il cottage.
Reyna, dal canto suo, vedendo quella scena aprì le braccia roteando gli occhi al cielo, chiedendo incredula <<Ma davvero?!>>
<<Reyna, è tutto ok.>> disse Percy con quel tono che non ammetteva repliche. Per quanto scettica, non si oppose ulteriormente, e stizzita si avviò verso il proprio pegaso per tornare a Palazzo.
Rimasto solo vicino al lago, il figlio di Poseidone inspirò profondamente, ed espirò piano, creando nuvole di vapore caldo. Stava aspettando lei.
Aveva capito che Annabeth doveva parlargli ancora dall'occhiataccia lanciatagli a Palazzo, che non era stata nemmeno la prima. D'altronde, la conosceva più che bene.
E infatti, dopo meno di un minuto sentì dei passi avvicinarsi alle sue spalle, mentre lui ancora osservava la sua creazione.
Appena fu a portata di dialogo, la ragazza in tono ironico esordì <<Quindi... questo è il famoso lago...>>
Percy non era pronto ad un discorso talmente delicato. Strinse le labbra imbarazzato, e ammise <<Già... lo so, sono stato stupido...>>
<<Stupido a dir poco...>> commentò lei acida incrociando le braccia.
Percy inarcò un sopracciglio, sorpreso da quell'attaco così diretto, e scattò sulla difensiva <<Beh... ok, lo so. Ma caspita, non pensavo ti desse così fastidio...>>
<<Fastidio? Credi che sia gelosa o qualcosa del genere?>> chiese lei indignata.
<<Non saprei come spiegare questa tua aggressione, altrimenti!>> spiegò lui confuso.
Annabeth socchiuse gli occhi a fessura, regalando al ragazzo una di quelle occhiatacce che lui ben conosceva, e che ogni volta negli ultimi 12 anni lo avevano pietrificato <<Tu, che mi conosci da così tanto tempo e che sei stato il mio fidanzato per oltre 5 anni, pensi davvero che possa essere così frivola!?>>
Percy deglutì, e scosse la testa <<<N-no, certo che no.>> pigolò.
La ragazza annuì soddisfatta, per poi tornare all'attacco <<Io piuttosto, proprio perché ti conosco da così tanto, sono davvero delusa dalla tua superficialità. Percy.>> fece una pausa piuttosto lunga, lasciando che la reticenza pesasse come un macigno sulla coscienza del ragazzo, per poi proseguire <<Hai creato... un LAGO, in una posizione così delicata per la città, solo per portarti a letto una donna! Ti sei almeno reso conto?!? Non è solo stupido, è un atto pericoloso per un motivo del tutto futile!>>
Il figlio di Poseidone boccheggiò e provò a giustificarsi <<Ma certo... io... ovvio che ho capito! E cosa credi, che non avrei provato a rimediare, se solo avessi avuto ancora i miei poteri!? È stato terribile mentire in Senato dicendo che posso solo generare fonti ma non eliminarle o far sparire acqua per spiegare come mai non potevo intervenire!>>
<<Ottima farsa, hai recitato bene a quanto ho visto... ma avresti dovuto rimediare ben prima che ti fosse fatto notare il rischio da degli ingegneri... anzi, il ragazzo che conoscevo, non avrebbe mai fatto una cosa del genere in primis! Il ragazzo che conoscevo non era un semidio superficiale!>>
Colto alla sprovvista da una tale invettiva, Percy si chiuse ancora più a riccio nel tentativo di difendersi <<Beh ma... a breve verrà inaugurata la diga! La soluzione è stata trovata comunque, non sarà più un pericolo!>>
<<Certo, un rimedio è stato trovato, un cerotto più che altro direi... ma coi soldi della Res Publica e dei contribuenti!>>
A quel punto, anche il ragazzo si lasciò andare alla rabbia, e in tono canzonatorio rivelò <<Se proprio lo vuoi sapere, un anonimo benefattore ha donato alla città una somma sufficiente a coprire le spese di costruzione della diga, e non solo!>> concluse con un sorrisetto soddisfatto.
<<Oh, mancava solo che sbandierassi la tua neo scoperta ricchezza, l'ultimo cliché che ci mancava per completare il quadro del semidio frivolo e vanesio!>> sputò con rabbia.
Percy era sconvolto. Ma che era successo? Si erano riavvicinati durante la sua convalescenza, si poteva dire che fossero tornati amici... e Afrodite solo sa che altri pensieri si era fatto nel vedere i miglioramenti tra loro. E ora, da dove nasceva tutto quel rancore? Che fosse ancora latente e nascosto dalla rottura, o c'era altro?
<<Sei incazzata perché non è stato scelto il tuo progetto, vero? La grande Annabeth Chase non può accettare che una sua opera non venga nemmeno considerata, non è minimamente possibile, eh!?>> ribatté ironico. D'altronde, proprio perché la conosceva bene, come lei, anche lui poteva colpire nei punti più delicati del suo ego. La sua hybris.
La ragazza spalancò la bocca, incredula che lui potesse averle riservato un colpo così basso. La delusione nel suo sguardo fece pentire subito Percy delle sue parole.
Annabeth scosse la testa e lo guardò dritto negli occhi <<Il mio progetto era oggettivamente il migliore, e tu lo sai, ho visto la tua reazione quando l'ho presentato.>>
Il ragazzo deglutì. Distolse lo sguardo, e annuì in conferma.
<<Ma immagino che in politica non si guardi tanto alla migliore proposta, quanto a quella che più aggrada a chi comanda, vero? È così che funziona?>> chiese in tono inquisitorio.
Ancora una volta, Percy non seppe darle torto. Scosse poi la testa stringendo le labbra, e si limitò a dire <<È complicato.>> senza spiegare tutta la burocrazia dietro a quella votazione.
<<Oh è complicato? Pensi che non capisca come gira il mondo? Lo so bene... come so anche che la legge di Nuova Roma vieta alle alte cariche di avere accesso ai propri conti privati durante il mandato, o sbaglio!?>> chiese alludendo all'"anonimo benefattore".
Percy fece spallucce, e l'unica stupida cosa che seppe dire fu <<Dei trucchi... si trovano...>>
<<Ma certo. Trucchi. Quando fa comodo, però. Assurdo, non me lo sarei mai e poi mai aspettato da te!>> sputò lei con disgusto.
<<Ehi, l'ho fatto per un'opera di bene, non per corruzione!>> provò a giustificarsi lui offeso.
La ragazza scosse la testa, e il tono rabbioso lasciò posto a qualcosa di più cupo e rassegnato <<Proprio non vedi, vero? Una volta è per le luminarie di Natale...>>
Percy la interruppe, sconvolto che lei sapesse un tale segreto <<...Ehi, ma... come... te l'ha detto Reyna!?>>
La ragazza non rispose, e continuò <<... questa volta per la diga... Quanto ci vorrà prima che tu faccia qualcosa di sbagliato, pensando di agire per il bene? D'altronde, anche commutare una pena per tentato omicidio in un banale servizio di guardia del corpo non è proprio legale, ma è il genere di cose che non pensi siano malvagie, no?>>
<<Non sono comparabili, e Leo... beh, è un amico, si meritava una seconda possibilità...e...>>
<<... e lo capisco, ma resta il fatto che crei tu le tue stesse regole, lo hai sempre fatto, ma ora sei adulto e in un ruolo cruciale. Quanto ci vorrà prima che usiate soldi e potere per insabbiare o rimediare a cose ben più gravi, Percy?>> chiese tirando in causa anche Reyna, e da lì Percy capì che doveva aver detto più o meno le stesse cose anche a lei.
<<Non succederà.>> assicurò lui in tono serissimo.
<<Non lo puoi sapere!>>
<<Beh, dammi almeno un po' di fiducia, visto che dici di conoscermi così bene!>> sbottò lui rabbioso e risentito da tutte quelle accuse.
<<L'ho fatto, votandoti come Console, Percy. Ma mi chiedo se fossi davvero pronto per ricoprire un tale ruolo.>>
Il ragazzo, che fino a quel momento era convinto che l'ex fidanzata avesse votato per il suo rivale politico Damien Lacroix, all'epoca suo amante, rimase sbalordito da quella rivelazione, e non seppe inventare niente di tagliente con cui ribattere. Ancora una volta, aveva perso un dibattito contro Annabeth Chase.
La ragazza gli lanciò un'ultima occhiata, delusa e amareggiata, per poi avviarsi verso casa, consapevole della propria vittoria morale.
Percy la guardò andare via, e ad ogni passo la rabbia gli montava dentro. Era furioso. Iniziò a camminare avanti e indietro sfogando la frustrazione con parolacce e calci al nulla.
Ma chi si credeva di essere per dirgli certe cose!? Essere stata al suo fianco per 10 anni come migliore amica, e poi fidanzata, non gli dava il diritto di emettere giudizi così taglienti...
O forse sì? Inutile negarlo a sé stesso, ma teneva molto in considerazione ciò che lei pensava. Non sopportava che lei lo vedesse in questo modo, poteva accettare tutto, anche la sua nuova situazione da comune mortale, ma non perdere la stima di Annabeth.
Stava impazzendo. Era come se qualsiasi cosa facesse, in ogni caso qualcuno sarebbe rimasto deluso da lui, o offeso, o incazzato. E lui, che nemmeno faceva quel diavolo che voleva, era eternamente insoddisfatto.
Basta. Non ne poteva più. Doveva staccare la mente. Trovare una valvola di sfogo, qualcosa che gli permettesse di non impazzire del tutto. E ormai, conosceva solo un modo per sentirsi meglio.
Senza nemmeno rendersene conto, come fosse un impulso naturale, viscerale, inconscio, prese il cellulare e digitò una serie di numeri, imparata a memoria contro la propria volontà.
E quando all'altro capo sentì rispondere, chiese <<Quindi, vuoi ancora sottometterti a me?>>
Leo si avviò verso il cottage, senza nemmeno salutare Reyna e Annabeth lì vicino. D'altronde, dato il modo in cui lo guardavano, era già tanto che non le mandasse affanculo.
Si nascose in salotto, che era la parte della casa più protetta e con il tetto completato. Mancava ancora una parete, ma col camino acceso non avrebbe sofferto freddo. Prese quindi dei pezzi delle vecchie travi, se ne avvicinò uno piccolo e ben secco alla guancia, creò una scintilla sulla propria pelle per accenderlo, poi lo posizionò alla base della pila di legno e attizzò il fuoco finché fu ben avviato.
Si sedette a terra, vicino al camino, e sperò che gli altri se ne andassero il prima possibile. Sentì una conversazione concitata arrivare dal lago, ma distinse solo gli interlocutori e alcune parole più "pesanti".
Dopo qualche minuto, vide Annabeth andarsene come una furia verso il pegaso con cui era arrivata.
In cinque minuti, vide Percy fare lo stesso e prendere il volo con Blackjack.
E finalmente fu davvero solo. Lo aveva desiderato tanto, ma ora non era più convinto che fosse l'idea migliore. D'altronde, se davvero stava impazzendo, non poteva più fidarsi di sé stesso, e restando solo in qualche modo si rendeva ancora più vulnerabile.
Dopo un'ora, era più angosciato che mai. Sospirò, e si dette dei colpetti in testa col palmo della mano, come sperando di aggiustare qualcosa che non funzionava.
Sentì poi dei rumori arrivare dall'esterno del cottage, e subito pensò che Percy fosse tornato per fargli compagnia. Bizzarro, ma quell'idea non gli dispiacque affatto.
Tuttavia, doveva comunque sostenere il proprio punto, quindi urlò <<Vattene, Percy. Non ci torno a Palazzo.>>
<<Percy chi?>>
Leo ebbe un capogiro. Alzò lo sguardo e boccheggiò esterrefatto <<T-tu. Sei qui.>>
<<E dove dovrei essere?! Questa è casa mia!>> esclamò il vecchio.
Leo scosse la testa, con gli occhi lucidi <<Sisto... ma dov'eri?>>
<<Ma dimmi, che ti frega? Stavo in città a bermi un goccetto. È un reato, ingegnere!?>> protestò il vecchio gracchiando.
Leo si alzò da terra e gli andò incontro. Allungò le mani per toccarlo, ma non ebbe soddisfazione dato che non aveva il tatto <<Tu... sei... sei vero...>> disse a metà tra un'affermazione e una domanda.
Il vecchio lo guardò corrucciato <<Ragazzo, che ti prende? Hai sniffato della colla?>>
Leo ridacchiò <<Non sono pazzo! Devo presentarti ai miei amici! Dovranno chiedermi scusa!>> esclamò esaltato e con rabbia nella voce.
<<Loro chiedere scusa a te? Dopo quello che hai fatto?>>
<<Beh, mi hanno accusato di essere pazzo e di essermi inventato un amico immaginario, che non sei, quindi avevano torto! Ah! Aspetta solo che ti vedano!>> ribadì eccitato.
<<È così importante dimostrare che hai ragione?>>
<<Ma certo! Devo farmi rispettare, altrimenti... insomma, è importante...>> balbettò. Stava delirando, parlando senza un vero filo logico e gironzolando per il salotto.
<<Ti stai ascoltando?>> chiese infine il vecchio in tono serio. Ogni sua domanda, era stata posta in quel tono.
Ma Leo non ci aveva fatto caso, fino a quel momento. Si fermò. Rifletté. Guardò il vecchio con un'espressione sconcertata <<Un momento... tu... tu che ne sai di quel che ho fatto?>>
Sisto non rispose, continuò solo a fissare il ragazzo, con espressione dura e delusa.
Leo socchiuse gli occhi, avvicinandosi a lui <<Chi... chi sei, davvero?>>
Si fissarono intensamente per qualche secondo. Poi, Sisto sbottò in una mezza risata cupa, e si incamminò verso il camino acceso, voltando le spalle al ragazzo <<Pensavo che ti avrei aiutato, che avrei risvegliato la parte migliore di te, con del duro lavoro e con un progetto a cui farti appassionare. Mi sbagliavo.>>
Il ragazzo, corrucciato, iniziò a muovere degli ingranaggi nel cervello, e con voce incerta tentò <<Papà?>>
Il vecchio sospirò, si voltò verso Leo, e si manifestò nella sua forma greca.
Il semidio indietreggiò, scosse la testa, incredulo, per poi chiedere <<Perché?>>
Il dio sbuffò con un sorriso sghembo <<E me lo chiedi? Il mio figlio prediletto diventa un pazzo omicida, e io dovrei restarmene a guardare il suo declino!? Uno dei 7 della Profezia? No! Mi sono rifiutato...>>
<<Non sono un pazzo omicida!>> protestò rabbioso.
<<No... ma ti è mancato tanto così...>> ribatté il dio indicando uno spazio irrisorio tra indice e pollice, per poi proseguire <<... e solo perché altri semidei ti hanno fermato. Questo non attenua le tue intenzioni, figliolo! Lo capisci?>>
<<Avresti potuto dirmelo. Avresti potuto semplicemente venire da me e parlarmi... sapere di avere il tuo supporto, quando stavo male, forse mi avrebbe aiutato, forse non avrei fatto quel che ho fatto!>> reclamò il ragazzo con rancore e le lacrime agli occhi dal nervoso.
<<Ah! Quindi ora è colpa mia? Davvero, ragazzo, ti ascolti quando parli?>> lo rimproverò serio, per poi aggiungere <<Lo sai che non possiamo interferire. Fate da soli le vostre scelte. I vostri errori... Ma ho pensato che, in fondo, se tu ti fossi proposto di aiutare un qualsiasi vecchio scorbutico a ricostruire ciò che tu stesso avevi distrutto, magari avresti avuto modo di riflettere, e ritrovare te stesso... stavi aiutando Sisto None, non Efesto...! Ma ahimè, non è servito a un bel niente...>> concluse cupo.
Leo, ancora corrucciato, ribatté offeso <<Ma infatti l'ho fatto! Ho aiutato Sisto di mia volontà, senza secondi fini! Non era quello che volevi!? Non ho... dimostrato... qualcosa...!?>>
Efesto si incupì ancora di più <<Vedi, ragazzo? Ti preoccupi del risultato, di aver dimostrato qualcosa. Non è questo il senso. Le cose buone vanno fatte perché vanno fatte, non c'è un premio alla fine! Dov'è finito il mio figlio prediletto, quello dal buon cuore che ho visto durante la Profezia dei 7?>>
Leo sentì un magone in gola, e si appoggiò con la schiena ad una parete per sostenersi, <<Non lo sono più?>> chiese titubante.
Efesto strinse le labbra, e con più indulgenza, tornando a guardare il fuoco, spiegò <<Voi semidei, tutti voi, siete speciali. Mi avete sempre affascinato. In voi vive la natura umana, con i suoi tormenti, le emozioni e le debolezze. Ma anche quella divina, che vi dà forza e potere tali da rendervi grandi eroi... o terribili minacce. Pochi di voi trovano un equilibrio. Nessuno che abbia poteri simili ai tuoi, o a quelli del tuo amico Percy Jackson, comunque. Semidei come voi sono destinati all'eccesso, in bene e... in male. Fate grandi cose per salvare il mondo, ma cadete poi vittime dei vostri peggiori difetti. Ma credimi, figliolo, pensavo che tu fossi l'eccezione. Pensavo davvero che potessi dimostrare che essere potenti non è una condanna! E quando ho deciso di impersonare Sisto, ero sinceramente volenteroso di aiutarti, perché credevo che il tuo difetto fatale non ti avesse corrotto del tutto, nonostante le tue azioni scellerate...>>
Leo sentiva girargli la testa. Suo padre gli stava dicendo di aver perso fiducia in lui, ed era un dolore nuovo, inaspettato. <<Quindi... ti ho deluso?>> chiese poi, temendo la risposta.
Efesto serrò la mandibola con una smorfia <<In queste settimane... ciò che hai mostrato, è di non aver capito quale sia il tuo vero problema. Incolpi il mondo per le cose brutte che ti sono successe. Incolpi Percy Jackson per aver perso la tua amata. Incolpi chiunque abbia qualcosa che tu non hai, non sei mai soddisfatto, non cerchi di migliorare la tua situazione, ma ti commiseri nelle tue disgrazie. Eppure, quando Sisto si comportava come te, con le sue invettive deliranti, tu lo rimproveravi e lo biasimavi, o sbaglio? Invece, con te, i tuoi amici sono stati pazienti, ti hanno dato un'altra possibilità, cercando di aiutarti... e nemmeno te ne accorgi, perché sei troppo impegnato a impersonificare la vittima della tua storia...>>
Leo distolse lo sguardo dal padre, vergognandosi di sé, e deglutendo ripetutamente per evitare di piangere.
Efesto proseguì <<Non lo capisci? La tua invidia, figliolo, il tuo difetto fatale. E con una pessima autostima, questo ti rende un pericolo per gli altri. Non lo vedi?>>
Le lacrime iniziarono a solcare il viso del semidio, che annuì desolato.
Il dio sospirò <<Se solo tu fossi pentito. Se avessi rimorso, saprei che hai ancora speranza di redimerti.>> concluse, come in una sentenza definitiva.
Leo prese fiato, e provò a dire <<Ma... io... io sono pentito.>>
Suo padre scosse la testa <<No. Dici di esserlo, ma ancora ritieni Percy responsabile. Ancora ti lamenti degli altri e di ciò che ritieni sbaglino nei tuoi confronti. Anche poco fa, nel rivedere Sisto, hai pensato solo a come dimostrare ai tuoi amici che avessero torto. Dimostrare di aver ragione, perché avevano messo in dubbio la tua autostima. Non eri felice di rivedere un uomo con cui stai passando ore e ore da un mese ormai. Dov'è finito il tuo buon cuore? Il tuo altruismo?>>
Il ragazzo non rispose, e lasciò che il padre proseguisse con fervore <<Se proprio dovevi dimostrare qualcosa stasera, dovevi dimostrarmi di essere ancora quel ragazzo che si sarebbe sacrificato per i suoi amici e per l'umanità, quel ragazzo che, nella sua cocciutaggine, fece di tutto per ritrovare un'isola sperduta e liberare una ragazza tenuta ingiustamente prigioniera! Io ero così orgoglioso di quel ragazzo... così sicuro del tuo buon cuore... mandarti su Ogigia aveva un senso, perché se anche un figlio di Poseidone aveva abbandonato quella povera ragazza, io credevo invece in te e sapevo che avresti fatto di tutto per ritrovarla e portarla via! Percy Jackson ha costretto gli Dei a spezzare la maledizione, è vero, ma tu, e solo tu, ti sei materialmente prodigato per tornare da lei, anche se pensavi fosse impossibile!>>
Leo strabuzzò gli occhi <<Tu... tu mi hai mandato su Ogigia?>> chiese esterrefatto e un po' disgustato. Aveva sempre creduto nel fascino del romanticismo inaspettato, un destino cosmico che l'avesse fatto incontrare a quella che credeva essere la sua anima gemella, Calypso. Invece, era stato suo padre.
Il dio confermò <<Ma certo. Ero io il carceriere di Calypso... non che mi piacesse come incarico. Lei non lo sapeva, e ogni tanto andavo a farle compagnia... Povera ragazza, un figlio non dovrebbe pagare per le colpe del padre...>> disse malinconico, poi proseguì <<... e io ho sempre scelto gli eroi da mandarle, i migliori... nella speranza di trovare quello giusto, che finalmente trovasse un modo per salvarla nonostante la maledizione... Io non... non potevo farlo.>> spiegò laconico, con un filo di vergogna nel tono, per poi aggiungere risoluto <<E con la maledizione spezzata, tu avevi l'occasione di essere quell'eroe!>>
Leo si sentì ancora peggio, man mano che il suo geniale cervello collegava i tasselli di quella storia <<Quindi... io ero semplicemente nel posto giusto al momento giusto... perché lo hai deciso tu. La maledizione che la teneva prigioniera era stata spezzata grazie a Percy, ma lei non lo sapeva... e anziché dirglielo, tu mi hai mandato lì per farmi innamorare e far sì che fossi io a portarla via?>>
Non capendo che tutto questo stava destabilizzando il figlio anziché dargli coraggio, il dio confermò soddisfatto del proprio operato <<Eri l'eroe giusto, al momento giusto!>>
<<No... no, io ero solo... il primo! Perché lo hai voluto tu... hai architettato tutto tu... ma... poteva essere un altro qualsiasi! Un pescatore o un esploratore... o poteva essere Percy stesso a ritrovare Ogigia per liberare Calypso mantenendo la sua promessa, ma lui era stato rapito e aveva perso la memoria! Non... non... non sono speciale...>> concluse amareggiato.
Efesto comprese il rammarico del figlio, e cercò di fargli capire le sue intenzioni <<Beh... forse ho architettato tutto, è vero... ma volevo fare qualcosa per te, pensavo fosse bello... e che saresti stato felice con Calypso...>>
Leo si infervorò, e sbottò con rabbia <<TU MI HAI ROVINATO LA VITA! NON ERA IL MIO DESTINO! HAI FORZATO TUTTO, E QUESTO È IL RISULTATO! SEI SODDISFATTO, PAPÀ!?>>
Efesto non accettò quell'accusa, e si arrabbiò a sua volta <<BADA BENE A CIÒ CHE DICI, RAGAZZO! TU NON HAI IDEA DI COSA SIGNIFICHI AVERE UN GENITORE CHE ORDISCE ALLE TUE SPALLE ROVINANDOTI LA VITA! IO LO SO BENE! E PROPRIO PERCHÉ LO SO, NON POTEVO ACCETTARE CIÒ CHE QUELLA DONNA MALEFICA TI AVEVA FATTO PER I SUOI MACHIAVELLICI PIANI! VOLEVO SOLO RIDARTI IL LIETO FINE CHE TI AVEVA RUBATO!>>
Leo ascoltò quello sfogo, riflettendo bene su quelle parole, e unendo ancora una volta i punti. Batté più volte le palpebre, confuso <<Parli... parli di Era? Tua madre? Che... che ha fatto? Di che lieto fine stai parlando?>>
Efesto si pentì di aver parlato troppo, e guardò in cielo, come temendo ritorsioni. Poi abbassò la voce <<Figliolo, è passato. Guarda al futuro. Chiudiamo qui il discorso. Io non dovrei nemmeno essere qui!>> ammise tornando razionale.
Ma Leo insistette <<No! Dimmi di cosa cazzo stai parlando! Che cosa mi ha rubato!?>>
<<Lascia perdere, non ti serve a nulla saperlo ora. Non ci...>>
<<BASTA CAZZATE! SE DAVVERO CI TIENI A ME E VUOI LA MIA FELICITÀ, ALLORA DEVI ESSERE SINCERO! O VUOI ESSERE COME TUA MADRE!? DIMMI COS...>> non riuscì a finire la frase, perché il dio sbottò <<PIPER MCLEAN! VA BENE? ECCO!>>
Leo si sentì mancare la terra sotto i piedi, e si appoggiò di nuovo alla parete <<No... no...>> mormorò. Temeva di aver capito, ma voleva averne conferma. Guardò suo padre negli occhi, e lo supplicò <<Parla.>>
Efesto si avvicinò al ragazzo, e a bassa voce, dispiaciuto, spiegò <<Mia... mia madre... doveva mettere in moto la Profezia dei 7, ma non poteva farlo senza far conoscere i due campi. Ha rapito Percy Jackson, lo ha privato della memoria, e lo ha consegnato a Lupa, confidando che con le sue doti sarebbe stato in grado di arrangiarsi, dimostrare il proprio valore, e farsi accettare dai Romani... e lo ha presentato lei stessa a Nuova Roma, convinta che così non lo avrebbero ucciso subito, almeno. Il ragazzo poi ha fatto il resto, anche meglio del previsto, in effetti...>> ammise con ammirazione, e Leo ancora una volta provò invidia per Percy, e si chiese se suo padre facesse apposta a stuzzicarlo; lo lasciò proseguire <<... ma per l'altro, Jason Grace, doveva fare qualcosa di diverso. Doveva inserirlo tra i semidei greci, o non l'avrebbero mai trovato altrimenti. Quindi, gli ha tolto la memoria, e ha approfittato del fatto che tu e Piper McLean non foste ancora stati portati al Campo Mezzosangue da un satiro. Il fatto che foste i proverbiali semidei che potevano incarnare la Profezia, un figlio di Efesto col potere del fuoco, e una figlia di Afrodite con la lingua ammaliatrice, cascava a pennello... e così, ha trovato il suo espediente...>>
Leo continuava a fissarlo negli occhi <<Vai avanti.>> lo esortò.
Efesto fece una smorfia, con espressione contrita <<Lo hai capito. Forse... forse lo hai sempre saputo, no? Piper... aveva dei ricordi di Jason, e della loro storia d'amore. Provava un sentimento per quel ragazzo, che era nato e cresciuto col tempo... Mia madre è forte, ma non può creare un sentimento del genere, dal nulla... e tu, figlio mio, nel suo piano, eri di troppo.>>
Leo non sopportava che il padre ci girasse intorno, e ringhiò <<Ma ancora non l'hai detto, cosa ha fatto!>>
<<Vuoi proprio sentirmelo dire? È così, lo ha fatto. Ha sostituito Jason... a te. Piper aveva vissuto tutte quelle cose, i ricordi erano reali. Ma il ragazzo eri tu. A te è bastato cancellare quei ricordi... e così ti è rimasto solo un affetto viscerale per quella ragazza... ma, con la tua scarsa autostima, non hai mai osato sperare di meglio, e mia madre questo lo sapeva, che non ti saresti messo in mezzo tra Piper e Jason, perché ti saresti ritenuto inferiore a lui... lei sfrutta queste cose, da sempre!>>
Leo scoppiò a piangere. Ora, tutto aveva un senso. <<Siete dei mostri. Entrambi.>> dichiarò infine, disperato.
Forse, in quel momento, il dio comprese la gravità delle sue azioni, che avevano alterato la vita del figlio quanto quelle di Era. E forse, si rese conto che anche le migliori intenzioni non giustificano alcuni mezzi.
<<Mi dispiace, figliolo.>> gli disse semplicemente. Poi, si allontanò, si diresse verso il camino, e sparì nel fuoco.
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