... or not?
Percy arrivò a casa prima del previsto, pur fermandosi a comprare una torta per festeggiare la conferma della promozione, e una bottiglia di spumante analcolico per poter brindare con la moglie incinta.
All'arrivo, trovò casa ancora vuota. Dorothea doveva essere andata a prendere Leo a scuola ed era sicuramente in arrivo a momenti.
Posò la torta e il vino sul bancone in cucina e preparò già due flûtes per l'occasione. Prese poi il candelabro dal camino, e accese le candele per creare un po' di atmosfera.
Si guardò intorno, apprezzando ciò che aveva ottenuto e costruito, insieme a Dorothea. Una vita normale, tranquilla e... monotona, forse, ma sicura.
A volte gli mancava quel brivido dell'avventura, non poteva negarlo; e nemmeno poteva nascondere a sé stesso che, qualche volta la notte, quando tutto si fermava e lui era sveglio solo, ancora il pensiero indugiava sull'altra vita che avrebbe voluto crearsi, con qualcun altro.
Ma, tutto sommato, era soddisfatto e grato del successo raggiunto. Sorrise da solo, compiaciuto e sereno.
Pensò di avere il tempo di farsi una doccia e cambiarsi, e nel frattempo avrebbe pensato a cosa cucinare di buono per la sua famiglia. Un bell'arrosto era l'ideale.
Stava già salendo le scale, quando sentì suonare il campanello con insistenza.
Pensò fosse strano, perché Dorothea avrebbe avuto le chiavi, ma magari le aveva perse o dimenticate chissà dove, d'altronde gli ormoni potevano giocare brutti scherzi alla memoria nelle ultime settimane prima del parto!
Ridacchiò, e si convinse che fosse proprio lei per suonare così tante volte di fila <<Tesoro, arrivo! Ma le chiavi? Che sbada...ta...>> appena aperta la porta restò qualche istante interdetto, e non finì subito la frase. Aggiunse poi in tono appena seccato <<Alysha... che sorpresa...>>
Quella tipa non gli era piaciuta fin da subito, alla festa del vicinato di due settimane prima. In generale, tutti li avevano trattati con curiosità e un po' di accondiscendenza data la loro giovane età e la loro innegabile avvenenza, ma lei era stata la più invadente.
Aveva fatto molte più domande degli altri, alcune piuttosto scomode per due esuli che cercano di nascondere il proprio passato, e, soprattutto, aveva dimostrato un morboso interesse verso Percy.
Certo, tutte le donne lo facevano, involontariamente cercavano di fare colpo su di lui e lo mangiavano con gli occhi, ormai ci era abituato, e anche Dorothea non se la prendeva più.
Ma lei gli aveva lanciato delle occhiate per nulla appropriate, e, anche nei giorni a seguire, lui l'aveva beccata a gironzolare intorno al confine della sua villetta, allungando il collo per scrutare la proprietà con morbosa curiosità.
<<Ciao, Percy, disturbo? Scusami ma, ho litigato con John, speravo ci fosse Dorothea per una seduta d'emergenza... la settimana scorsa alla festa si era resa disponibile...>> spiegò in tono affranto e trafelato. Sembrava la tipica signora californiana intorno alla cinquantina in totale crisi esistenziale e con un matrimonio infelice, in cerca di supporto emotivo per non imbottirsi di sonniferi. Un cliché, insomma.
Questo avrebbe rovinato un po' i suoi piani, ma non poteva di certo sbattere la porta in faccia ad una vicina di casa in difficoltà, per quanto la trovasse sgradevole <<Oh, caspita. Mi dispiace. Dora non c'è, ma comunque dovrebbe arrivare a momenti, sai. Vuoi accomodarti nel frattempo?>>
La donna accettò subito e si infilò in casa senza troppi complimenti. Iniziò a guardarsi intorno, curiosa di ogni dettaglio, come ispezionando la casa per poterla comprare!
Percy le stava dietro, a disagio, e cercò di indirizzarla verso lo studio dove Dorothea riceveva pazienti a casa in via eccezionale; ma senza successo, visto che lei dall'entrata andò diritta verso il salone principale.
Una volta arrivata, notò subito la torta, il vino e le candele sul bancone dell'angolo cucina <<Oh, festeggiate qualcosa?>>
Lui tirò le labbra in un sorriso forzato <<Sì, una promozione.>>
<<Congratulazioni. Avete accennato qualcosa alla festa, ricordo. Che bravo. Si vede che sei un gioiello raro. Un sacro Graal!>> esclamò ridacchiando.
<<Grazie.>> rispose lui sforzandosi di sorridere per il riferimento.
<<Tua moglie è davvero fortunata ad avere un uomo come te al suo fianco, sai. Bello come una statua greca, e anche di successo.>>
Il ragazzo trovò quei commenti proprio inappropriati, ma cercò di essere gentile dissimulando con ironia <<Beh, spero che già lo sappia! E anche io sono fortunato.>>
<<Scommetto che la ami tanto. Sembrate una coppia così affiatata. Che invidia... un uomo come te, è proprio difficile da trovare.>>
Percy si schiarì la voce per l'imbarazzo, senza sapere come commentare. Prima di potersi inventare qualcosa, la donna si avvicinò a lui, e senza alcun preavviso gli posò una mano sul petto, infilandola sotto la giacca sbottonata, all'altezza dello sterno.
<<Ma... ehi! Che fai!>> protestò lui allontanandole la mano con sgarbo e provando un moto di disgusto viscerale.
Lei gli sorrise <<Volevo toccare... un uomo così speciale... così raro... che non mi sembra neanche vero di averlo qui, davanti a me! Finalmente...>>
Lui scosse la testa e alzò le mani in segno di blocco <<Senti, sono davvero... lusingato, ma non sono interessato. Se hai bisogno della seduta ti accompagno nello studio, e dimentichiamo questo spiacevole equivoco.>> disse con razionalità.
Ma lei lo guardava rapita, parlandogli con voce suadente <<Oh, nessun equivoco, caro mio. Ti desidero da così tanto tempo... ti ho cercato per così tanto tempo...>>
La donna continuò ad avvicinarsi al ragazzo, mentre lui indietreggiava per evitarla, finché non toccò il banco della cucina con il sedere. Se quella avesse insistito ancora, non poteva far altro che reagire fisicamente per respingerla, ma avrebbe preferito evitare di arrivare a tanto <<Alysha, mi sto incazzando. Non volevo essere scortese, ma temo di doverti chiedere di andartene. Sono sposato, sono un padre di famiglia... e non sono interessato. Per favore, vattene. Io amo mia moglie.>>
Alysha sorrise con un ghigno, a meno di 30 centimetri dal volto del ragazzo, e sibilò <<Amavi anche la figlia di Athena, no?>>
Percy strabuzzò gli occhi e sentì un vuoto nel petto <<Che... che hai detto?>> boccheggiò confuso.
<<Ti ho cercato così tanto... Ti desidero da vent'anni. Ora sei mio.>>
Il ragazzo urlò di dolore. Abbassò lo sguardo, e vide un arto nero e raggrinzito infilato nel suo addome. La sua camicia bianca, bucata, si stava inzuppando di sangue.
Era un arto... o un artiglio?
Sbatté velocemente le palpebre, e rialzò lo sguardo verso il volto della donna. Ora la vide davvero.
<<ALECTO...>> esclamò sbigottito. La Furia rise di trionfo <<Finalmente!>> e spinse ancora più a fondo il colpo, mentre con l'altro artiglio afferrò la gola del ragazzo.
Percy gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni stringendo i due arti del mostro tra le mani, ma incapace di reagire come avrebbe fatto quando era un potente semidio; e Alecto rideva divertita, mentre piano piano stringeva ancora di più la gola del ragazzo <<Non sei più tanto spavaldo, figlio di Poseidone! Ho atteso, e ti ho cercato... per anni! La mia preda più ambita! Eccoti qui... peccato che non ci fossero tua moglie e tuo figlio a casa al mio arrivo... l'idea era di farti trovare una sorpresa al tuo ritorno!>>
Nel sentire quella minaccia verso la sua famiglia, Percy provò un moto di energia, e iniziò a focalizzare la mente. Allungò una mano per afferrare il candelabro d'argento sul bancone, e lo scagliò con tutta la forza che aveva contro al volto della Furia mirando agli occhi.
Lei cadde indietro, estraendo di colpo l'artiglio dall'addome del ragazzo.
Percy si sentì mancare. Vide un getto di sangue schizzare a terra appena l'arto smise di tamponare la ferita. Si portò una mano all'addome per bloccare il flusso, e istintivamente infilò l'altra nella tasca dei pantaloni. E anche se non lo faceva da anni, lei era ancora lì, sempre lì, ad attenderlo.
Evocò Anaklusmos e provò a lanciare un fendente al mostro per allontanarlo, dopodiché, scappò verso il patio che dava sul parco e sulla piscina, aprì a fatica la porta di vetro scorrevole, corse ansimando lungo tutto il bordo della piscina per raggiungere il giardino, e si buttò tra cespugli e arbusti, piantati per imitare la macchia mediterranea, sperando di trovarci un nascondiglio.
Razionalmente, sapeva che era totalmente inutile. Si mise a pancia in su, restando coricato, e si guardò la ferita. Era grave, molto grave. Aveva perso troppo sangue, e ne sentiva già il sapore in bocca, il che non era affatto un buon segno; si rese anche conto di aver lasciato una scia che avrebbe portato Alecto direttamente da lui, senza troppa fatica.
Alecto non aveva alcuna fretta. Lo aveva lasciato scappare, guardandolo divertita. Sapeva di avere la vittoria in pugno, e voleva prolungare quel momento per goderselo appieno, dopo vent'anni di caccia.
Uscì sul patio con calma, seguendo la scia lasciata dal semidio. <Perseeeeeuuuus... dove sei? Ti nascondi? Ahah... vuoi che venga a cercarti? Mi mancava giocare con te...>> cantilenò giuliva.
Percy non rispose, ma si morse la mano che impugnava Anaklusmos per trattenersi dal singhiozzare. Non voleva far sentire al mostro che aveva paura.
Non era pronto a morire. Non così. Aveva detto addio a quella vita, voleva solo stare in pace con la sua famiglia. Pensò a Dorothea, e a Leo, e alla piccola in arrivo. Iniziò a piangere, mentre sentiva il cuore battere all'impazzata per l'adrenalina che pompava quel poco di sangue che gli rimaneva.
Sentì una macchina entrare nel vialetto sul fronte della villetta, all'angolo opposto della proprietà, e due portiere sbattere. <<Mamma, stavolta posso mangiare la cioccolata per merenda?>>
<<No, oggi fragole.>>
<<Mi piacciono le fragole!>> esclamò felice Leo mentre entravano in casa.
<<No... no... Doraaa...>> provò a urlare Percy, ma gli uscì un grido smorzato non udibile a quella distanza: la stretta della Furia sulla gola doveva avergli danneggiato le corde vocali, e sentiva di non avere più fiato in corpo. Provò a mettersi seduto per rivelare la sua posizione ad Alecto, sperando che così si sarebbe concentrata su di lui.
Ma la Furia lo guardò, a 10 metri di distanza, e sorrise.
<<Nooo...>> urlò ancora, terrorizzato, emettendo un suono stridulo mentre la vedeva tornare verso casa.
Si slanciò fuori dai cespugli, graffiandosi e cadendo ripetutamente. Non si reggeva in piedi. Si trascinò percorrendo a ritroso il bordo della piscina per tornare alla veranda e da lì in salotto.
Terrificato, guardò in quella direzione, e dalle ampie vetrate intravide la scena, impotente.
Appena entrata in casa, Dorothea si era tolta la giaccia e aveva appoggiato la borsa, poi aveva tolto la giaccia a Lro, mentre lui le raccontava eccitato uno scherzo che aveva fatto ad un amichetto a scuola <<... e poi, e poi... Mike non lo sapeva, ma io ero nascosto dietro allo scivolo e quando è arrivato gli ho fatto "BUUU!!">>
<<Ma davvero? E si è spaventato?>> gli chiese lei mostrando interesse, mentre gli accarezzava i capelli castani, identici al tatto a quelli del padre.
Stavano per andare in corridoio verso il salone, ma la ragazza sentì dei brividi lungo la spina dorsale. Una sensazione primordiale, che non provava da anni. Si bloccò e fermò anche il bimbo. Inspirò, e con calma disse <<Tesoro, ti ricordi quando la mamma e il papà ti sgridano perché rubi i loro cellulari per giocarci e chiamare la nonna o gli zii?>>
Il bimbo ridacchiò. Lei gli sorrise, e gli diede il proprio cellulare <<Adesso invece facciamo un gioco: la mamma vuole che vai in camera, ti chiudi a chiave, e chiami lo zio Nico e gli dici di venire subito, ok?>>
Leo la guardò confuso <<Perché?>>
<<Fai come dice la mamma, è importante. Di' allo zio che dei vecchi amici di mamma e papà sono arrivati a casa senza invito, e che deve venire subito anche lui con altri amici, okay?>>
<<Ma chi sono questi amici?>>
<<Amore, fai come dice la mamma. Subito.>> ordinò infine in tono serio, e il bimbo, un po' spaventato, corse su dalle scale col cellulare.
Quando ebbe sentito la chiave della camera girare, Dorothea sospirò. Si portò le mani alle orecchie, si tolse gli orecchini di perla, ed evocò i propri pugnali; cautamente, si diresse verso il salone, con i sensi semidivini all'erta.
Appena voltato l'angolo dal corridoio, vide il candelabro d'argento a terra, una bottiglia e due bicchieri rotti, una torta ribaltata e, soprattutto, una pozza di sangue, con altre macchie che andavano verso il patio.
Col cuore in gola, la ragazza seguì la scia con lo sguardo, fino alla piscina a circa 20 metri di distanza, e lo vide.
<<Percy...>> mormorò, perché se avesse urlato avrebbe spaventato Leo, che sarebbe sicuramente tornato giù. Corse verso suo marito, impaziente e terrorizzata <<Percy...!!>> lo chiamò.
Lui, che ancora si trascinava verso casa, provò a urlarle <<NO! SCAPPA!>>.
Dal corridoio arrivò Alecto. In un attimo raggiunse la ragazza, colta alle spalle.
Percepito il pericolo, Dorothea si abbassò giusto in tempo per evitare una zampata che l'avrebbe stesa di certo.
Si voltò e rispose con due pugnalate veloci. Colpì superficialmente la Furia, che si ritrasse per un attimo. Quella, indispettita, si lanciò contro la ragazza, e la scaraventò di peso attraverso le vetrate, verso la piscina.
Volò oltre suo marito, e atterrò proprio in acqua. Tornò subito a galla boccheggiando, e nuotò verso il bordo dove giaceva Percy, per risalire e combattere, mentre Alecto usciva sul patio, pestando noncurante i vetri rotti.
Passò vicino a Percy, diretta verso Dorothea. Lui, con un guizzo di energia, per impedirle di raggiungere la moglie si allungò di scatto e la afferrò per le zampe posteriori, cercando di picchiarla e di dare tempo a Dorothea di scappare.
Ma la ragazza non lo fece, e si gettò sulla Furia per dare manforte al marito, e la pugnalò sulla schiena.
Alecto reagì calciando via Percy come fosse un burattino, e sbalzando la ragazza a terra, dove dolorante si portò una mano al pancione, preoccupata.
La Furia non indugiò più. Si avvicinò alla semidea, e senza alcuna pietà la infilzò con un artiglio nel ventre.
Dorothea rimase senza fiato, e provò a reagire difendendosi coi pugnali, e chiamando il suo amato <<Percy... Percy! AIUTO!>>.
Lui era ancora a terra, sanguinante e privo di sensi dall'ultimo colpo. Nel sentirsi chiamare, si ridestò quel che bastava per voltarsi verso sua moglie, e vederla agonizzante.
<<No... no... no...>> boccheggiò affranto allungandosi per raggiungerla. Alecto gli diede un altro calcio in faccia; poi prese lei per i capelli, e la trascinò in piscina.
Percy ormai non aveva nemmeno più le forze per lamentarsi del dolore. Non sentiva più nulla fisicamente ormai, ma imperterrito si trascinò verso la piscina, e rotolò in acqua.
<<PERCY!>> urlò un'ultima volta Dorothea. Poi, la Furia la spinse sott'acqua, e la trattenne giù con tutta la sua forza.
Il figlio di Poseidone guardò sua moglie dimenarsi, mentre cercava di raggiungerla. Ad Alecto bastò tenerlo lontano con una zampa, e lui non poteva fare altro che tendere le braccia disperatamente, cercando di liberarsi con le poche energie rimaste.
Urlò, imprecò, protestò con tutta la forza che gli restava, finché vedeva la moglie muoversi. Pregò. Che qualcuno li aiutasse. Che suo padre gli donasse nuovamente i poteri. Era lì, era in acqua. Bastava poco. Un movimento di dito, e avrebbe distrutto Alecto con un'ondata tagliente.
Non successe nulla.
Dorothea non si mosse più.
<<NOOOO...>> Percy iniziò a piangere. Seppe che era finita quando vide Alecto mollare la presa sul corpo, che tornò a galla.
Alecto lasciò che il semidio la raggiungesse, disperato, per abbracciarla, chiamarla, rianimarla. Si gustò quella scena, prima di allontanarsi.
Lui strinse il corpo esanime della moglie forte a sé <<Amore... amore... no... ti prego... no...>> mormorava tra i singhiozzi.
Lo sciaguattìo dell'acqua rossa creava un'atmosfera spettrale. Nessun'altro rumore, oltre al pianto inconsolabile di Percy.
Era la seconda volta che provava un dolore simile, con la differenza che la prima volta era riuscito a salvare la sua amata. Stavolta, aveva fallito, e questa consapevolezza non gli lasciava alcuna speranza.
Un dolore simile era indescrivibile, ti svuota e distrugge da dentro, divorandoti. Non pensava di poter provare nulla di peggio.
Poi, sentì un rumore di vetri infranti, e vide qualcosa venire scaraventato fuori dal secondo piano e cadere a terra con un tonfo sordo.
Sembrava una bambola. Non era una bambola.
Quando capì, gli mancò il fiato. Sentì un capogiro.
<<Leo...>> sospirò. Poi, senz'altro per cui vivere, si lasciò andare, e affondò nell'acqua scarlatta.
<<LEO!!!>> urlò mettendosi a sedere di scatto.
<<Percy, che succede?>> biascicò Dorothea svegliandosi di soprassalto.
Il suo fidanzato piangeva, urlava e si dimenava come un ossesso. Lei lo abbracciò e cercò di calmarlo <<Percy! Che hai!? Percy!! CALMA!>>
Ma lui continuava a disperarsi, gridando come un matto <<LEO! DORA! DORA!>>
<<SONO QUI! SONO QUI!>> urlò anche lei cercando di farsi dar retta.
Dalla stanza di fianco irruppe Leo spaventato, con già una mano infuocata pronto ad attaccare chiunque stesse facendo del male a Percy. Si guardò intorno confuso <<Che succede!?>>
Dorothea cercò di spiegare, mentre il fidanzato ancora piagnucolava e ansimava terrorizzato, <<Deve aver avuto un incubo...>>
<<Ah. Okay. Quindi... ci pensi tu?>> le chiese sbadigliando e spegnendosi la mano. Lei annuì, e il ragazzo lasciò i due fidanzati da soli.
<<Dora... Leo... morto... no... no...>> mugugnava Percy ancora sotto shock mentre lei lo stringeva.
<<Ma no, Leo sta bene, non hai visto!? Dai, era solo un incubo, tranquillo...>> gli disse accarezzandolo e baciandolo dolcemente.
Lui sembrò placarsi un poco a quel bacio, ma appena le labbra si furono staccate, tornò a piagnucolare frasi sconnesse. Era sudato, e ansimava ancora <<Non possiamo. No. NO NO! Dobbiamo restare!>>
Lei lo assecondò <<Okay, va bene. Resta qui. Resta qui con me...>> gli disse lasciando che lui si accoccolasse sul suo petto, tra le sue braccia, in cerca di conforto.
<<Alecto... non possiamo... non dobbiamo...>> mugugnava tra i singhiozzi e le lacrime.
Lei lo coccolò per almeno venti minuti mentre continuava a singhiozzare piano, e lo fece riaddormentare con lo stesso affetto che una mamma riserva ad un bimbo in crisi.
L'indomani mattina, Percy si svegliò ancora tra le braccia della fidanzata. Si sentiva appiccicoso e aveva molta sete. Sentiva anche gli occhi gonfi e un mal di testa atroce.
Bevve un sorso d'acqua, poi andò in bagno per darsi una sistemata. Si guardò allo specchio con una smorfia. Era a pezzi. Oltre alle ferite fisiche, il suo volto era stravolto e lasciava trasparire angoscia e stanchezza. Si stropicciò la faccia lavandosela con l'acqua fresca, si lavò i denti, poi tornò in camera.
Iniziò a vestirsi, poi si versò un altro bicchiere d'acqua, mentre la fidanzata si svegliava stiracchiandosi <<Ehi, tutto okay?>>
Lui annuì, ma aveva un'espressione seria.
<<Allora, a breve parlerai con Reyna... sei pronto a dirle che ce ne andiamo?>>
Quelle parole lo fulminarono, e si impanicò. Il bicchiere nelle sue mani esplose, e urlò <<NO! NON CE NE ANDREMO!>>
La ragazza si spaventò e scattò in piedi <<Percy ma che hai!? Ehi, ti sei tagliato!?>> chiese notando delle gocce di sangue sulla sua mano, e prendendo un fazzoletto per pulirlo, <<Ma che ti è preso?>> gli chiese poi.
<<Non possiamo andarcene!> ribadì lui. Il suo terribile incubo era riemerso, più vivido che mai nei macabri dettagli.
<<Ma come!? Eri così convinto! Perché ora cambi idea così di colpo!? C'entra qualcosa l'incubo di stanotte?>>
Non poteva spiegarglielo. Era del tutto irrazionale. Né voleva spaventarla. <<No... no, ma che incubo... ma... stiamo correndo troppo! Non va bene... no... dobbiamo... ponderare meglio questa cosa...>> farfugliò agitato.
Lei mise il broncio e incrociò le braccia <<Lo sapevo. Non sei sicuro di voler stare con me, vero!?>>
Lui sbuffò <<Ma no, no... Non è questo. Ma ieri eravamo provati e demoralizzati, non bisogna mai prendere decisioni del genere quando si è così vulnerabili...>>
<<Ahhh balle!>> protestò lei pestando i piedi, e insistette <<Finalmente stavi dimostrando di tenerci davvero, e ora fai dietrofront! Continui a scappare da me!>>
<<Ti ho detto che non è vero e che faccio sul serio! Ti ho proposto di sposarmi, per Venere! Ancora non ti basta!?>> sbottò lui spazientito.
Dorothea si offese, ed era così stufa di litigare per le stesse cose che tacque. Iniziò a vestirsi per potersene andare il prima possibile.
<<Ehi, dai, non fare così! E poi non puoi andartene proprio ora, Reyna potrebbe vederti.>>
<<Ma certo, non sia mai che Reyna ci scopra!>> brontolò, e andò verso il terrazzo della camera, dove fischiò forte per chiamare Blackjack, che ormai rispondeva anche al suo richiamo dato che i due amanti spesso ricorrevano al pegaso per potersi incontrare.
La ragazza montò in sella, e sparì in cielo veloce come un razzo.
Percy sospirò. Poi inspirò. Poi, si sentì mancare l'aria. Stava per avere un attacco di panico, di nuovo. Non gli capitava da qualche settimana, ma ogni volta era peggio e gli sembrava di morire.
Era incastrato. Impotente. Soffocato dall'ansia e divorato dal senso di colpa. Come poteva continuare così?
ops mancava un pezzetto finale che non si era copiato, ora l'ho messo!
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