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Nuova Filosofia

Percy si svegliò nel cuore della notte in preda al panico. Spaventato, ma lucido, istintivamente prese il cellulare dal proprio comodino e sgattaiolò fuori sul proprio terrazzo senza svegliare la fidanzata.

Iperventilava e sudava, ma riuscì a comporre la sequenza rapida per chiamare uno dei suoi numeri preferiti in caso di emergenza. Il suo unico numero preferito, per qualsiasi emergenza.

Prima di chiamare, però, ebbe di nuovo un flash di quell'incubo. E si bloccò, ricordando tutti gli altri raccapriccianti incubi avuti in passato, in cui vedeva morire le persone amate senza poterle salvare...

E d'un tratto pensò "Piuttosto di quelle alternative, meglio questa."

Se provava ad opporsi al proprio destino, come ben sapeva, potevano esserci conseguenze tremende. E stavolta non ne voleva. Quel destino, forse, lo poteva accettare ormai.

Quell'improvvisa epifania lo calmò istantaneamente.

Ritornò a respirare normalmente. Fissò per qualche istante il numero già compilato di Annabeth. Ribloccò lo schermo e poggiò il cellulare sul parapetto del terrazzo.

Non voleva coinvolgere nessuno. Se quella era la fine l'avrebbe affrontata da solo, a testa alta, senza danneggiare nessun altro.

E rimase su quel terrazzo, in attesa dell'alba, che quel giorno gli sembrò straordinaria.

<<Ehi, Percy? Percy? Ma mi ascolti!?>>

Il ragazzo si riscosse e tornò presente <<Sì, scusa... mi ero un attimo... imbambolato...>> mormorò stropicciandosi le labbra con un dito.

<<Lo vedo! È tutta la colazione che ti perdi nei tuoi pensieri!>> lo rimproverò Dorothea un po' risentita.

<<Scusami, sono solo... stanco...>> scelse quell'ultima parola con più cura di quanto sembrasse. Non era solo una stanchezza fisica. Era qualcosa di più profondo.

<<Hai dormito poco anche stanotte? Non era migliorato un po' il sonno?>>

<<Sì ma... più di 3 o 4 ore non riesco comunque a dormire...>>

<<Ma è troppo poco! Fai tanti incubi, vero? Vuoi parlarne?>> chiese preoccupata.

<<No. È solo stress. Tranquilla.>> la rassicurò sorridendo e riservandole una tenera carezza sulla guancia. Lei sorrise di rimando.

Stavano facendo colazione sul terrazzo, approfittando della bella giornata pre-estiva che si prospettava.

Dorothea tornò a gustarsi il proprio caffelatte. Ormai conosceva abbastanza bene Percy da sapere che insistendo lo avrebbe infastidito senza ricavarne nulla.

<<A breve devo scappare, ho un sacco di lezioni oggi e dopo ho anche gli allenamenti... ma stasera ci vediamo, vero?>>

<<Certo.>>

<<E il posto dove andremo a cena... è una sorpresa?!>> chiese giuliva.

Percy socchiuse un attimo gli occhi, riflettendo. Non capì subito a cosa la fidanzata si riferisse. Poi ricordò <<Oh, sì, certo.>>

<<Te ne eri già dimenticato!?>> lo accusò accigliata.

<<Ma no! Ho già in mente un posto, vedrai.>> mentì. Una bugia a fin di bene, dopotutto. Non sapeva se e quando il suo incubo si sarebbe avverato, ma non voleva altri drammi almeno per qualche giorno. Quella era la sua nuova filosofia di vita: "oggi potresti morire, rilassati e non perdere tempo in sciocchezze!"

La ragazza finì l'ultimo sorso e si alzò energica <<Beh, ci vediamo stasera! Va bene per le 19? Ti aspetto da me?>>

Si rese conto che in quel modo sarebbe passato in una delle zone più affollate della città, in bella stagione, ora di punta... E andava bene così, non erano più una coppia clandestina. E lei sarebbe stata finalmente felice. E questo andava sempre a favore della sua nuova filosofia. Annuì calmo.

Difatti, lei sembrò già illuminarsi per quella prospettiva, e lo salutò con un bacio prima di trotterellare via.

Percy decise di godersi ancora un po' il sole mattutino. Osservò i raggi illuminare la sua pelle. Poteva vedere il suo incarnato mediterraneo risplendere, anche se era attenuato, come fosse rimasto chiuso sottoterra per qualche anno. Ricordava di avere avuto una pelle più luminosa, e con meno difetti di quanti ne notasse ora.

Si guardò l'avambraccio, pallido, dove intravedeva le vene bluastre; poi osservò meglio la propria mano destra, sia palmo che dorso, muovendo lentamente le dita per sentire le articolazioni e la pressione che poteva esercitare. E apprezzò il calore del sole che lo scaldava contemplando la fragile perfezione di quel corpo umano.

Rifletté su quanto i suoi muscoli fossero deboli e atrofizzati rispetto un tempo. E i riflessi... quelli erano proprio imbarazzanti. Ricordava come all'inizio, appena dopo aver perso i propri poteri, si sentiva come se si stesse muovendo a rallentatore di almeno dieci volte!

Ridacchiò. Era ovvio che non sarebbe sopravvissuto ad un duello con un altro spadaccino. Almeno sarebbe morto battendosi, e non per qualche patologia data dai suoi organi malfunzionanti, allettato e con tubi e cateteri vari infilati nel corpo mentre scongiurava di non cagarsi addosso. Misera consolazione, pensò.

Sospirando, tornò in stanza. Si guardò intorno. La sola camera da letto era più grande dell'appartamento in cui era cresciuto a New York, e un singolo mobile valeva più di tutto il mobilio che per 18 anni gli era più che bastato. Da quando era abituato a vivere in tutto quel lusso!?

Si vergognò un po'. Sparecchiò la tavola su cui aveva fatto colazione, tanto che Xanto quando arrivò lo rimproverò <<Ma... Console! Questo dovevo farlo io...>>

<<Non sapevo che fare...>> rispose facendo spallucce, poi aggiunse <<E chiamami Percy...>> ribadì stancamente per la 2435esima volta.

Di lì a poco sapeva che sarebbe arrivato Leo. Di solito facevano colazione insieme, ma non così presto; probabilmente lui si era appena svegliato, pensò. Forse avrebbe fatto capolino dalla porta nel giro di 10 minuti, conoscendolo.

Capì che non aveva affatto voglia di compagnia. Decise di uscire nel parco per una passeggiata così da restare solo il più possibile. Evitò anche di passare dal salone di Artemide e dal patio, per non rischiare di incrociare Reyna, prendendo quindi una via secondaria per uscire dal palazzo dai locali di servizio.

Una volta nel parco, non riusciva proprio a liberarsi la mente da un chiodo fisso. Un'idea che lo attanagliava, e lo spaventava pure.

Però, la curiosità lo stava uccidendo. Doveva sapere. Prese il cellulare dalla tasca della tuta, e fece una telefonata.

All'altro capo, risposero dopo ben cinque squilli, e con parecchio entusiasmo <<Ciao Percy! Quanto tempo!>>

<<Ehi... tutto bene?>> chiese con un tono di voce caldo.

<<Sì dai, e tu? Certo che ti fai vivo solo 4 o 5 volte all'anno... non ti vergogni!?>>

<<Hai ragione... Sono un pessimo amico. Sono stato molto... impegnato...>> si giustificò senza impegno. Poi immediatamente pensò che lei non si faceva viva tanto più spesso, quindi di cosa lo rimproverava!? Ma la sua nuova filosofia gli fece abbandonare subito la voglia di polemizzare.

<<Immagino, quando hai una città come Nuova Roma da mandare avanti... ma se mi hai chiamato... so già perché... altri incubi?>> chiese cauta la sua interlocutrice.

<<Qualcosa del genere... ma tu... tu hai visto qualcosa, Rachel?>>

La ragazza si era preparata a quella domanda nel momento stesso in cui aveva visto il nome di Percy sullo schermo del cellulare. E da bravo Oracolo di Delfi, mentì <<No... nulla di particolare, perché?>>

<<Nah così. Curiosità. Volevo vedere se mi aiutavi a far chiarezza...>> banalizzò lui.

<<C'è qualche sogno particolare di cui vuoi parlarmi?>> gli chiese amichevole.

Percy soppesò la possibilità di raccontarle tutto. Ma a quale pro? Cosa poteva mai fare lei per aiutarlo? Avevano parlato spesso di sogni e premonizioni, e di come interpretarli e reagirvi. Se c'era una cosa che aveva capito in una vita semidivina, era che più si prova a sfuggire ad una profezia, più quella ti insegue! E tanto aveva già deciso di non sfuggirvi, quindi... perché mai disturbarla? Si pentì di averla chiamata, e tergiversò.

<<Ma no, Rachel, sempre le solite cose, si sa... Ma tu, che mi racconti?>>

Chiacchierarono un po' del più e del meno, aggiornandosi a vicenda sulle proprie vite. Rachel disse di essersi stabilita di nuovo a New York per frequentare un ulteriore corso. Nel frattempo, aveva iniziato a seguire alcune faccende dell'azienda di famiglia per placare l'insistenza del padre. Cercava di visitare il Campo Mezzosangue almeno un paio di volte al mese in veste di Oracolo. Tutto nella norma, insomma.

E Percy le raccontò un po' della città... e del processo appena subito, al quale Rachel reagì scandalizzata, finendo col commentare <<Comunque lo sapevo che eri un pervertito! Dietro quella faccia da piantagrane simpatico si nasconde un gran porco! Se te ne stavi a cuccia nulla di tutto ciò ti sarebbe successo!>> lo derise.

<<Ma dai, smettila!>> ribatté ridendo.

<<Quindi, questa ragazza... Dorothea... com'è?>> chiese curiosa.

<<È... beh, unica. Non pensavo di poter di nuovo...>> si bloccò, e Rachel finì la frase per lui <<Essere felice?>>

<<Sì, beh. Dopo Annabeth... Vedevo tutto nero. Ora per la prima volta forse riesco ad immaginarmi un futuro...>> appena finita quella frase, si rese conto di quanto fosse amara. Ma quale futuro!?

<<Questo è... bellissimo, Percy. Sono contenta per te.>> mormorò sinceramente colpita e commossa.

<<Grazie... ora devo solo non fare casini!>> concluse sforzandosi di sembrare leggero.

<<Lo puoi ben dire! Conoscendoti combinerai sicuramente qualcosa... Dammi il numero di Dorothea, ci parlo io con quella povera ragazza per prepararla!>>

<<Te lo puoi scordare!>>

Qualche altra battuta scema, e infine i due amici si salutarono, promettendosi di non sentirsi solo per parlare di incubi e disgrazie!

Appena riattaccato, Rachel sospirò, lasciando cadere la maschera indossata durante tutta la telefonata.

Osservò il telefono nelle proprie mani trattenendo a stento dei tremori, e le lacrime. Notò il colore dei pigmenti sulle proprie dita: si stava seccando.

In preda ad una specie di raptus, scattò verso il lavandino e iniziò a grattarselo via convulsamente. Strofinò così tanto da avere tutta la pelle rossa, quasi sanguinante, mentre cercava di non pensare a quanto aveva dipinto...

Non aveva del tutto mentito sulla propria ubicazione. Era sulla costa est, certo. Ma era proprio al Campo Mezzosangue, quel giorno. Era arrivata la sera prima, senza che fosse in programma, aveva solo avuto voglia di farci un giro. Coincidenze?

E vi aveva passato la notte. Una notte terribile. Aveva avuto una delle sue crisi, ed era andata in trance. Aveva iniziato a dipingere ciò che vedeva vividamente.

E la mattina, dopo ore e ore di lavoro irrefrenabile, si era trovata la parete principale della sua grotta ricoperta da quell'orrido capolavoro.

Una bellissima distesa fiorita, tra papaveri rossi, margherite, violette, tarassachi, e una bianchissima achillea. Due eserciti schierati, mostri e umani. Un'altura rocciosa, verso le colline, sovrastava quella vallata.

E su quell'altura due guerrieri scintillanti, uno dorato, uno madreperlaceo, si battevano.

E sapeva anche bene come andava a finire, poiché lo aveva visto. Il guerriero dorato trafiggeva quello madreperlaceo nell'addome, durante una finta, spezzandolo in due ed esultando per il proprio operato. Era proprio quel momento che aveva dipinto.

Le urla strazianti di quella visione l'avevano svegliata dalla trance. Stava urlando anche lei, nella realtà. Dopodiché, aveva iniziato a piangere, per ore, sconvolta e isterica.

Più volte aveva provato a chiamare l'amico. Ma per cosa? Avvisarlo? E se così facendo avesse solo peggiorato la situazione, o permesso a quella premonizione di avversarsi?

E quindi... doveva starsene lì con le mani in mano ad attendere che il destino si compisse? Cosa cambiava?!

Mentre si tormentava sul da farsi, Percy l'aveva battuta sul tempo, chiamandola per primo.

Si era asciugata le lacrime, schiarita la voce, e aveva indossato la maschera per l'intera telefonata. L'Oracolo di Delfi non può schierarsi, non può esporsi, non può tradirsi.

...

Però, in quel momento, era solo Rachel, una ragazza che non voleva lasciar morire l'unico uomo di cui fosse mai stata innamorata. La persona migliore che conosceva. No, non lo meritava.

Quindi risoluta digitò un altro numero, e appena sentì rispondere dichiarò <<Ciao, dobbiamo parlare.>>

Percy passò l'intera mattinata nel parco. Era talmente immenso che non gli sarebbe bastata l'intera giornata per visitarlo tutto.

Dapprima, passeggiò un po' lungo i sentieri. Scoprì molte piante maestose, secolari. Faggi. Querce. Lecci e olivi. E molti altri che lo affascinarono.

Arrivò fino al lago, ma dal suo retro, non dal sentiero principale che partiva da palazzo. Trovò un'ansa più in disparte, che si snodava tra ciliegi in fiore, e un bellissimo salice piangente sulla sponda.

Vi si coricò sotto, ascoltando i rumori della natura. Il frusciare della brezza tra le fronde; le prime cicale che davano il benvenuto al caldo; delle api che ronzavano alla ricerca di nettare. Lo sciaguattio di anatre e cigni nel lago.

Restò lì per chissà quanto, con un braccio sotto la testa, una gamba incrociata e il gambo di un fiore dolce in bocca. Stava pensando, a tutto e niente. Possibile che avesse già accettato così serenamente l'eventualità della propria morte? Ma certo, del resto, tutti devono morire. L'incognita è il quando e il come. Il come ora lo sapeva... Il quando restava un bel dilemma.

Sentì poi dei passi, e allarmato si mise a sedere. Forse non era così pronto a morire se dei semplici passi lo inquietavano così tanto...

<<Ehi... Xanto!>> esclamò sollevato.

<<Oh, Console... mi scusi, non volevo svegliarla!>> si giustificò imbarazzata la naiade, che stava passeggiando sulle sponde del lago con i piedi immersi fino quasi alle ginocchia.

<<Non dormivo, tranquilla... E chiamami Percy, ti prego!>> ribadì esasperato.

Lei strinse le labbra <<Ok, Percy. Che... che fai... qui?>> chiese cauta cercando di essere meno riverente.

Lui fece spallucce <<Mi godo la giornata, immagino. E tu?>>

<<Io? Oh... beh, questo è il mio lago...>> spiegò sorridendo.

Ma certo, che stupido. Non ci aveva mai riflettuto, ma ovviamente le ninfe di servizio dovevano avere il proprio reame vicino al palazzo, la propria fonte vitale.

<<Wow, vivete tutte qui nel parco?>> chiese curioso.

<<Sì sì... Io sono l'unica naiade, ma le altre hanno i propri alberi qui intorno... Quello è il salice di Emone!>> spiegò indicando l'albero sotto cui Percy aveva bivaccato.

Il ragazzo si guardò intorno, e si vergognò, come se avesse violato la ninfa stessa. Si alzò di scatto da terra <<Oh, caspita...>> e si allontanò dalle radici.

La naiade ridacchiò <<Tranquillo, non credo le dia fastidio!>>

A quel punto il figlio di Poseidone si sentì ancora più in colpa, e battendosi una mano sulla fronte con una smorfia mugugnò <<Mmmhh, accidenti... ora che mi viene in mente... devo proprio chiederti scusa!>>

<<Perché?>> chiese confusa.

<<Beh, io potrei... accidentalmente ovvio, aver gettato un deambulatore nel tuo lago, l'estate scorsa.>> pigolò.

La ragazza rise ancora, una risata adamantina e contenuta <<Non preoccuparti! L'ho già tirato fuori e riciclato correttamente!>>

<<Mi dispiace, davvero!>>

<<Non è un problema! Ho visto di peggio nelle mie acque!>>

<<Oooookay. Quindi... che altro mi dici di questo posto? Sicuramente tu lo conosci meglio di me!>>

<<Sì... vuoi visitarlo? Posso farti vedere qualche angolo interessante...>> appena ebbe proposto quest'idea, la naiade arrossì per il proprio ardire <<...cioè, se le va, Console, insomma...>>

Percy sorrise e la bloccò prima che le venisse un attacco di panico <<Va bene, sei gentile! Ti seguo... E smettila di chiamarmi Console!>> la ammonì di nuovo.

Quindi passeggiò nel bosco con la naiade, che parlava un sacco per tentare di nascondere l'imbarazzo <<E quello... quello è un ninfeo! Ci abitano alcune mie amiche... Lavorano nelle cucine!>>

<<Wow, che bello... Il ninfeo, intendo, non lavorare nelle cucine!>> specificò subito, suscitando una risata fragorosa della ragazza.

Accidenti, la sua naiade personale aveva una cotta per lui. Aveva avuto dei dubbi in passato, ma ormai l'aveva capito, anche se di solito non era affatto bravo ad interpretare quei segnali... Forse finalmente stava imparando! Un po' tardi, pensò.

"Non illuderla, Percy, non illuderla! Non flirtare! Non fare battute! Non fare domande che potrebbero mostrare interesse!" gli diceva una vocina, e un'altra rispondeva "beh allora deve starsene muto!"; sospirò confuso.

<<Va tutto bene?>> chiese preoccupata.

<<Come? Oh sì, perché?>>

<<Hai fatto un sospiro così profondo che pensavo la tua anima fosse scappata!>>

<<Oh, che espressione colorita!>>

<<Mi piacciono le metafore...>>

<<Davvero? Quindi... ti piace la poesia?>>

<<Intendi la lirica? Oh sì, l'adoro! Di qualsiasi epoca!>>

<<A proposito... quanti anni hai?>> chiese curioso.

<<Quanti ne dimostro?!>>

Percy la osservò meditabondo, poi rispose azzardando <<Mah, direi che ne dimostri sedici o diciassette, ma sono sicuro che tu ne abbia molti di più!>>

<<Ne ho 728!>>

<<Oh...Wow. Non pensavo così tanti di più!>> esclamò strabuzzando gli occhi.

E la naiade rise ancora <<Oh, ci rimanete sempre tutti male! Sono ancora giovane!>>

Proseguirono per un'altra decina di minuti, poi tornarono verso il sentiero principale, e Xanto mostrò a Percy come tornare al palazzo da quel punto senza perdersi <<Io ora devo andare, ricomincio il turno a ora di pranzo...>>

<<Allora devi correre, o quello stronzo del tuo capo chissà come ti punirà!>> esclamò sarcastico.

Ridacchiando, e arrossendo ancor di più, la naiade chiese <<Ma-ma non torni a palazzo per pranzo?>>

<<Nah, non credo. Ho fatto una colazione abbondante... proseguo nella mia passeggiata solitaria.>>

<<Devo avvisare la Console che non ci sarai?>>

<<Credo se ne accorgerà da sola.>> rispose pungente facendole l'occhiolino.

Sempre più allegra, la naiade salutò e corse via con una tale velocità e leggiadria che sembrò volare.

Percy la osservò per qualche momento. Non aveva ancora mai avuto modo di conoscerla così bene, e ora poteva confermare che fosse proprio strana. Sarebbe più riuscito a vederla gironzolare nel suo appartamento senza sentirsi a disagio? Boh! Ma poteva essere un problema di poco conto, visto che stava per tirare le cuoia...

Si avviò con calma verso il Palazzo, circumnavigando il laghetto e avvicinandosi al labirinto, dove decise di fare un'ultima passeggiata ammirando le statue degli dei, e chiedendosi chi odiasse di più.

Ogni volta che passava davanti ad una statua, si fermava ad osservarla, convinto fosse il dio che più odiava, fino ad arrivare alla statua successiva... Alla fine quando arrivò ad Era pensava di essere proprio al limite, e invece <<Ah, no... manca ancora tuo marito... Arduo decidere chi dei due sia peggio...>> bofonchiò.

Era pronto ad un fulmine a ciel sereno dritto in testa, ma a quanto pareva stavolta lo zio non brontolò.

Poco male. Continuò ad offendere lui e la divina moglie mentalmente – e non solo – mentre si avviava verso il palazzo. Ignorò totalmente la statua dedicata a suo padre, ed evitò di offendere qualche dio che tuttavia trovava simpatico.

Rientrò che erano quasi le 14. Come aveva fatto a passare quasi 6 ore nel parco senza farsi prendere dall'ansia!? Si stupì di sé stesso!

Iniziava ad avere un po' di fame, quindi passò dalle cucine per prepararsi un sandwich. Trovò ancora un paio di ninfe operative, che si prodigarono subito per soddisfarlo con un club sandwich degno di un miliardario dopo un set vincente nel proprio club privato di Long Island.

Le ringraziò, un po' imbarazzato, e gli uscì qualcosa del tipo <<Oh, figo il vostro ninfeo eh!>> suscitando delle risatine giulive. Ma perché tutte le ragazze ridevano quando diceva la minima cavolata!?

Tornò nel proprio appartamento e si gustò lo spuntino gourmet sul proprio terrazzo. Stranamente, notò che Leo ancora non era arrivato ad assillarlo. Dove si era cacciato? Di solito era la sua ombra, e lo avvisava se aveva altri impegni, così Percy sapeva di dover restare in campana al sicuro.

Anche Reyna non era a palazzo visto che aveva gli allenamenti della Settima. Quindi, era tutto solo in quell'immensa dimora lussuosa. L'idea non gli piacque.

Rimpiangeva i tempi in cui il suo nido era ben più raccolto, e caldo. Per poco non si strozzò con un boccone per il magone che sentì.

Finì il resto del sandwich sforzandosi, solo perché sapeva di dover ingurgitare un minimo di calorie e macronutrienti per sostenere quel corpo malandato.

Bighellonò poi per quasi due ore, cercando di tenere la testa impegnata e pensare positivo. Si concentrò sulla serata che lo attendeva, con Dorothea. Provò a pensare a quale potesse essere un buon posto per un primo appuntamento "ufficiale", davanti a tutta la comunità semidivina. Vuoto totale. Aveva una mezza idea, ma sperava che lei non l'avrebbe trovata banale...

Non aveva voglia di nulla di pomposo. Voleva semplicemente andare a prenderla col volto scoperto, passeggiare mano nella mano fino al Forum, e fermarsi nella pizzeria del centro per mangiare una pizza come tutte le giovani coppie, senza fronzoli e sotterfugi. D'altronde, era proprio quello che voleva lei, no? Vivere la loro storia d'amore alla luce del sole.

Poi, di nuovo l'ombra del suo incubo lo aggredì. Rifletté su quanto l'avrebbe fatta soffrire. Le aveva fatto delle promesse per il futuro... Le avrebbe deluse. Che senso aveva illuderla se avevano i giorni contati? Forse... forse era meglio allontanarla ora finché non si era affezionata troppo?

Ma che cavolata! Lei era innamorata, non poteva impedire che soffrisse, purtroppo. E allontanarla non era una soluzione... Tanto valeva donarle un periodo di felicità di coppia, finché potevano.

Poco dopo le 17, pensò che Reyna doveva ormai essere rientrata. Stranamente, nemmeno lei era andata a cercarlo, il che era tutto un dire visto quanto lo teneva d'occhio di solito... Ma quel giorno stava venendo totalmente ignorato, e forse questo un po' lo infastidiva. Tutto sommato, le attenzioni della collega lo facevano sentire... come? Protetto? Amato?

Si vergognò di quel pizzico di egocentrismo. Vabbè. Se Maometto non va alla montagna... Si convinse a fare il primo passo e andare a salutarla, anche solo per educazione, e si immaginò sua madre che lo rimproverava "Devi essere gentile e a modo! Anche se stai per morire! E soprattutto con le donne!". E la mamma ha sempre ragione, no?

Si avviò quindi verso l'appartamento di Reyna. Non era abituato a bussare prima di entrare, ma visto che non erano più intimi come un tempo, e visto che non andava nel suo appartamento da un pezzo – di solito appunto era lei ad andare a trovarlo – pensò che anche bussare fosse un segno di buona educazione.

<<Reyna, sono io...>> si annunciò, e attese che la ragazza lo accettasse.

<<... Un momento... Ok, vieni...>>

Percy entrò nell'anticamera per poi dirigersi verso lo studio, dove una volta entrato vide Reyna appoggiata con un fianco alla propria scrivania... e Annabeth seduta su una sedia vicino a lei.

<<Oh, disturbo?>> chiese sarcastico.

<<In effetti sì.>> rispose secca Reyna.

Percy non si aspettava quel brusco benvenuto e si accigliò <<Ok. Volevo solo farti sapere che sono ancora vivo. Ciao!>> fece per andarsene. Poi ci ripensò. Si voltò di colpo e con la sua faccia da piantagrane dondolò verso le ragazze <<Anzi, no. Adesso sono curioso... Quale discorso così importante ho mai interrotto!?>> chiese ironico avvicinandosi alla scrivania.

<<Scusa, Percy. Ma sono cose... tra donne...>> mugugnò Annabeth.

<<Sì, esatto. Quindi... non puoi partecipare.>>

<<Ora sono ancora più curioso!>> ridacchiò. Ma le due ragazze erano molto serie, e piuttosto infastidite... o in imbarazzo?

A quel punto, Annabeth sbuffò socchiudendo gli occhi, e disse <<Beh, vedi... stavamo parlando del mio matrimonio. Mancano pochissime settimane e volevo qualche consiglio... Ecco tutto.>>

L'espressione divertita e giocosa lasciò posto ad una maschera di rigidità sul volto del ragazzo. Tacque qualche istante, poi disse atono <<Okay. Capito. Allora vi lascio sole.>> e stavolta se ne andò davvero senza più voltarsi.

E pensò che forse sarebbe stato meglio starsene in camera e fare il maleducato anziché rovinarsi la giornata.

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