Ciò che doveva essere dimenticato
Carissimi! Sono viva! Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, ma le ultime due settimane sono state molto impegnative a livello lavorativo, e la sera ero sempre troppo stanca per scrivere qualcosa di decente!
Dovevo potermi concentrare, anche perché questo capitolo è speciale... Per chi di voi sta seguendo la mia altra storia "Athena e Poseidone - Una Storia Dimenticata", questo capitolo sarà un bel Easter Egg! Difatti, essendo questa la storia principale, era ovvio che prima o poi ci sarebbero stati dei richiami... e ce ne saranno molti altri col tempo!
Non sapete di cosa stia parlando? Allora dovete andare a leggere la mia storia spin-off dedicata ad Athena e Poseidone!
https://www.wattpad.com/story/233730449-athena-e-poseidone-una-storia-dimenticata
Bando alle ciance, ecco il capitolo! Come sempre, attendo i vostri pareri!! 😊
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Mattina del 20 dicembre 2014 – Palazzo di Poseidone
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Il giorno era giunto. Quel giorno, Tritone si sarebbe autoproclamato re, e sarebbe salito al trono per sostituire il padre morente e acquisire i suoi divini poteri per poter contrastare dei nemici fittizi, in una guerra farsa da lui architettata solo per ottenere lo scettro, o, in questo caso, il Tridente.
Nessuno aveva capito l'inganno, perché nessuno poteva immaginare che il legittimo erede di Poseidone potesse tradire il divino padre alleandosi coi suoi peggiori nemici, mandando a morire migliaia di soldati fedeli inutilmente e mettendo a repentaglio la vita dei cittadini.
Gli unici a conoscere la verità erano un vecchio pazzo, o considerato tale, che viveva come un eremita in una grotta in Sardegna; Bentesicima, figlia di Poseidone, nonché futura moglie di Tritone; e Anfitrite, ovviamente, che aveva sempre sostenuto il figlio a discapito del marito.
Poi c'era Percy Jackson, il figlio bastardo, il semidio mortale; ma, per quanto fosse famoso e rispettato, o anche temuto, per le sue gesta sulla terraferma, nessuno lì sotto gli avrebbe creduto contro Tritone senza delle prove concrete. E ora, imprigionato e abbandonato nelle profondità delle prigioni reali, era solo e senza via di fuga.
Mentre nella piazza principale si preparava il grande evento, nessuno teneva compagnia al dio morente. Nessuno si curava più del re in declino, troppo impegnati ad elogiare il futuro monarca divino. Nessuno, quindi, notò la donna avvolta in vesti greche che all'improvviso si materializzò in un angolo del patio del palazzo, dove un andirivieni di servi creava confusione e il perfetto espediente.
In altre circostanze, una divinità non avrebbe potuto presentarsi nel cuore del Regno di Poseidone senza invito, ma lei, un tempo, era stata la benvenuta in quei luoghi, e ne era quasi diventata la regina.
Camminò decisa ma aggraziata lungo quei corridoi, che ancora ricordava bene, fino alle stanze di Poseidone. Indugiò un attimo davanti alle eleganti porte adornate di conchiglie e perle, che un tempo erano quasi state l'ingresso al suo talamo nuziale; poi, fattasi coraggio, le aprì ed entrò.
Restò qualche minuto immobile, osservando ciò che restava del potente Scuotitore, ora un vecchio raggrinzito ed evanescente. Poi camminò più volte intorno al letto per scrutarlo da ogni angolazione, quasi per accertarsi che fosse proprio lui il dio che aveva conosciuto. Infine, si scoprì il capo e si avvicinò al capezzale del dio, sedendosi sulla sedia che solitamente veniva occupata dalla di lui moglie, Anfitrite.
<<Ma guardati, il grande Poseidone. Non sei nemmeno l'ombra di ciò che eri un tempo. Mai avrei pensato di vedere questo giorno, la fine del mio odiato rivale!>> disse Athena sprezzante, e aggiunse ridacchiando <<Saresti potuto essere il dio più potente di tutti, il nostro re, e invece... ecco come sei ridotto...>>
Poi, qualcosa le fece cambiare espressione, addolcendola e incupendola allo stesso tempo, e con meno rancore nella voce sussurrò <<... e credevo davvero che lo saresti diventato, un giorno. Chissà come sarebbe potuta andare... Forse avremmo regnato insieme, e il mondo sarebbe un posto diverso... come lo immaginavamo noi...>> un mezzo sorriso genuino si impadronì delle sue labbra, prima che potesse tornare altera e controllata come al suo solito <<... ma hai rovinato tutto. Sei il dio più distruttivo che conosca.>>
Si avvicinò ancor di più al dio sporgendosi col busto per osservarlo in volto, quel volto ora rugoso e avvizzito, così diverso da quello che era stata abituata ad accarezzare millenni prima. Deglutì per lo sconforto, e fu sopraffatta da emozioni che pensava di aver represso, che pensava di aver dimenticato.
Spostò una ciocca di capelli bianchi e sottili come ragnatele dal volto del dio, ricordando un gesto simile che sembrava appartenere ad una vita passata <<Eppure... ti ho visto fare del bene. Tanto bene. Hai dato vita alle cose più meravigliose che abbia mai visto. Avremmo potuto essere felici... insieme. Perché hai rovinato tutto?>> chiese con un filo di voce. E senza nemmeno rendersene conto, socchiuse gli occhi ricolmi di lacrime e si sporse piano, dolcemente, per dare un ultimo bacio all'unico uomo che avesse mai amato davvero. Indugiò sulle sue labbra qualche secondo, poi si allontanò di scatto, e ricomponendosi disse <<Addio, Poseidone.>> si alzò asciugandosi le lacrime, e si voltò per andarsene.
Fu allora che il dio morente aprì gli occhi all'improvviso, e con un inattendibile vigore allungò la mano e bloccò la dea per un polso, spaventandola. Lei sobbalzò dallo stupore, e sgranò gli occhi con espressione esterrefatta.
<<Athena...>> sussurrò lui debolmente. Lei, sconvolta, non rispose.
<<...aiut...>> provò a dire, ma non aveva forze. Lei si accigliò, confusa <<...Cosa? Non posso fare niente per salvarti! È giunta la tua ora, Poseidone! È ciò che ti meriti!>> disse con rinnovato disprezzo divincolandosi dalla sua stretta incredibilmente salda.
Ma Poseidone non demorse, e riprovò a parlare <<... aiuta...lo...>>. La dea, compreso il messaggio, smise di divincolarsi, e guardandolo negli occhi e digrignando i denti ribatté <<Come puoi pensare che voglia aiutare te o la tua progenie!?>>.
A quel punto, il "fu" potente Poseidone raccolse le ultime energie e con rabbia sentenziò <<Se davvero mi hai amato... me lo devi!! Lo sai!>> poi perse nuovamente conoscenza. La sua mano lasciò la presa dal polso della dea, e il braccio ricadde inerme sul letto.
Athena rimase qualche minuto interdetta, incapace di reagire; poi si ricoprì il capo e scappò dalla stanza come una furia, pronta ad uscire dal palazzo per potersi dematerializzare e andarsene via, lontano da lì. Venire era stata una pessima decisione! Ci aveva pensato a lungo, e alla fine non aveva resistito, ma ripensandoci in quel momento, si pentì terribilmente.
Stava per varcare la soglia, ma si bloccò proprio sull'uscio del patio. Inspirò pesantemente e strizzò gli occhi dalla frustrazione <<Che tu sia dannato!>> esclamò a denti stretti senza attirare l'attenzione, e tornò sui suoi passi.
Non poteva schierarsi apertamente rendendo pubblico il suo coinvolgimento in quella guerra, né era davvero convinta di salvare colui di cui parlava Poseidone, convinta com'era che quel ragazzo fosse un intralcio alla grandezza della sua amata figlia, Annabeth. Eppure, doveva farlo, e una piccola parte di lei lo voleva anche.
Conosceva bene il regno di Poseidone, quindi sapeva che Percy doveva trovarsi nelle profondità delle prigioni. Sapeva anche che si trattava di un luogo incantato, e se Percy era stato disarmato con la forza, Anaklusmos non poteva rimaterializzarsi nelle sue tasche come al solito.
Perciò, si recò verso la sala del trono da un percorso laterale, e spiò di soppiatto all'interno trovandovi chi cercava: Tritone sedeva scomposto e rilassato sul trono come fosse già suo, e giocherellava con una penna tra le dita. Ridacchiò e si alzò spavaldo, tenendo la penna ben salda in una mano, e messosi in posa pronto ad una grande rivelazione, con l'altra mano tolse il tappo alla penna... ma non accadde nulla. Era rimasta una semplice penna.
Evidentemente, Anaklusmos non aveva alcuna intenzione di sottomettersi a Tritone e rispondere al suo richiamo.
<<Inutile...>> sbuffò Tritone, e la gettò con veemenza a terra. Una guardia, che fino ad allora era rimasta in disparte nascosta alla visuale della dea, si avvicinò e la raccolse <<Cosa vuole che ne facciamo, Signore? La distruggiamo?>>.
<<Non può essere distrutta, stupido! Non è una penna! È un oggetto magico antico e potente... Prima o poi tornerà ad essere disponibile... quando il suo attuale padrone sarà morto... quindi domani potrò usarla!>> disse con un ghigno, e concluse <<Portatela in armeria, ci penserò dopo... Ora devo andare a prepararmi per il grande evento.>> e sorridendo si diresse verso le sue stanze.
Athena, conoscendo bene il palazzo, ne approfittò per recarsi subito in armeria attraverso un altro passaggio segreto, e lì attese nascosta che quella guardia arrivasse per lasciarvi là Anaklusmos.
Preso il bottino, con fretta si diresse verso le prigioni, sempre sfruttando dei passaggi segreti imparati centinaia di anni prima, quando aveva vissuto tra quelle mura, seppur per poco.
Ma non era l'unica a conoscere quei passaggi...
Sovrappensiero com'era, ci mancò poco che non andasse a sbattere contro una ragazza in abito da sposa, che proseguiva spedita e pensierosa quanto lei nella direzione opposta.
Le due donne si bloccarono, sorprese e spaventate, e si guardarono qualche istante negli occhi. Ad Athena, Bentesicima ricordava troppo l'odiosa madre, Anfitrite. Ma gli occhi erano terribilmente simili a quelli di Poseidone.
La giovane ragazza guardò dapprima il volto della dea, riconoscendola, poi il suo sguardò cadde sull'oggetto che portava tra le mani, riconoscendo anch'esso. Si accigliò, poi si ricompose, sorrise appena, inchinò leggermente il capo in segno di riverenza, e in greco antico disse <<ἀγαθῇ τύχῃ! Buona fortuna!>>, e riprese velocemente il suo cammino passando di fianco alla dea, come se nemmeno l'avesse vista.
Sollevata e stupita, Athena proseguì. Arrivata alla profonda bocca del baratro circolare che era l'ingresso delle prigioni, la dea non aveva modo di entrarvi senza essere scoperta. Quindi, sperò che quel fastidioso ragazzo fosse abbastanza sveglio da rendersi conto che la sua arma gli stava per passare vicino, e pregando davvero che Tyche le fosse favorevole, lasciò cadere la penna nelle oscure profondità dell'oceano, verso il proprio legittimo proprietario.
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