Una fiamma divampa
Buongiornissimo
Come ve la passate, ragazzi? Immagino che molti di voi saranno presi con gli esami: tranquilli, sono davvero semplici e i professori sono gentili e disponibili. Buona fortuna!
Eccomi ritornata con una nuova One Shot! Spero che vi possa piacere.
Quel giorno la cabina di Atena era deserta. Accadeva raramente visto che c'era sempre qualcuno dei suoi fratelli a scribacchiare, organizzare imprese e progetti oppure semplicemente a leggere i pesanti tomi della libreria.
Ripensandoci Annabeth provò una fitta al cuore mentre il senso di colpa l'attanagliava: non stava facendo nessuna delle attività precedentemente elencante a meno che stare spaparanzati sul proprio letto non rientrasse nella categoria. Aveva anche la mente in subbuglio, riprova che dovesse essere la giornata dei fatti rari; non capitava quasi mai, motivo per cui si sentiva così spossata, come svuotata da ogni energia.
Si scostò un ciuffo di capelli dal viso e fissò il soffitto così intensamente da farsi lacrimare gli occhi. Trattenendo un'imprecazione, spostò le gambe oltre il letto, mettendosi a sedere con il capo fra le mani. Riordinare le idee non era semplice, specialmente se il caso in questione era una figlia di Atena, nata letteralmente dal pensiero.
Non riusciva a smettere di pensare a Luke, al suo sguardo addolorato e il suo corpo ferito: sembrava avesse passato le peggiori torture. Una volta Percy le aveva detto che Crono lo torturava con degli incubi spaventosi. Erano passati due anni, ma ancora non riusciva ad associare il ghigno con cui l'aveva ingannava al sorriso che l'aveva sempre protetta. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
In preda alla frenesia si alzò. si muoveva rapidamente, seguendo sempre lo stesso percorso immaginario. Nello specchio colse il riflesso di una figura scheletrica, frenetica come una brezza di vento. Catturata dall'estasi di quel momento, si avvicinò cogli occhi che squadravano attentamente la ragazza allo specchio. Il volto scavato, gli occhi vacui ma illuminati da una fiamma sinistra. Le sue mani corsero insicure sul suo corpo, accarezzandolo con stupore e curiosità allo stesso tempo. Qualcosa dentro di sé si ruppe.
Aveva ormai quindici anni e non se ne era neanche accorta, il suo corpo non era più lo stesso di una volta: la guerra le aveva portato via anche l'adolescenza oltre che i suoi migliori amici. Senza alcun logico motivo sciolse i capelli dall'elastico e sorrise compiaciuta nel vederli cadere fino alla vita. Si guardo la maglietta del campo che cadeva larga sul suo busto, prese le estremità tra le mani tirandola fino a farla aderire perfettamente. I suoi occhi caddero sul suo petto sporgente, una vampata di calore la investì da capo a piedi, spaventata mollò la presa e si scansò dallo specchio con il respiro ansante. Una strana febbre si era impossessata di lei, desiderio e curiosità, una sensazione non totalmente sconosciuta. Si manifestava puntualmente ogni volta che pensava a Luke, la stessa che la spingeva a lavorare fino a tarda notte per elaborare un piano.
Si riscosse da quello stato di estasi spruzzandosi un po' di acqua in faccia. La investì l'abituale sensazione di controllo, dominata dalla logica e dagli anni di esperienza. Trasse un respiro tremante e si raccolse i capelli in una coda. Avrebbe voluto cambiarsi d'abito per il suo incontro con Percy, ma era troppo sbigottita per agire. Afferrò nettare e ambrosia, poi il pugnale ed infine il capello degli Yankees. Rapida come una ninfa, si catapultò fuori dalla cabinal; si aggirava per il campo con i sensi allerta sperando di non incontrare Silena.
Tyche le arrise e giunse al furgoncino di Argo senza alcun incontro spiacevole; questi le fece un breve cenno con la testa e Annabeth si affrettò a salire, un attimo prima che sfrecciassero verso New York. Naturalmente Chirone era già stato avvertito della sua uscita "impropria" ed al pensiero si sentì il cuore in gola. Si puntellò le ginocchia con le dita, maledicendosi per la propria iperattività. Con enorme stupore di Percy, pur essendo figlia di Atena, Annabeth rimaneva comunque preda dei disturbi tipici dei semidei. Puntualmente il furgoncino del campo si ritrovò sommerso nel traffico pomeridiano di Manhattan, si accasciò sul sedile con lo sguardo verso l'esterno ad analizzare ogni dettaglio. Non le sfuggivano le statue delle più celebri personalità americani e sorrideva tra sé e sé ricordando la storia di ognuno. Annabeth aveva strani modi per divertirsi.
Talvolta i suoi occhi si posavano sui passanti, semplici mortali e di quelli di cui intravedeva il viso, si dilettava a leggervi le emozioni espresse. Le era ormai una sensazione famigliare poiché costituiva spesso un vantaggio tra la vita e la morte: si riconoscevano anche così i mostri, nonostante i camuffamenti. Improvvisamente i suoi occhi si focalizzarono su un ragazzo su uno skateboard che sfrecciava trai passanti a tutta velocità, i suoi capelli, resi più spettinati dal vento, erano naturalmente neri. Annabeth era in ritardo, ma Percy trovava sempre il modo di batterla.
Ignorando lo sfarfallio del suo stomaco, si curvò in avanti rivolgendosi ad Argo: "Accosta subito, per favore" La guardò scettico, ma annuì senza replicare. La ragazza sorridendo si sistemò impazientemente i riccioli cadenti e si lisciò con cura le pieghe della maglia. Mormorò una parola di ringraziamento al guidatore e poi balzò via, dileguandosi tra la folla. Iniziò a correre tra la folla per raggiungerlo, domandando scusa ai malaugurati che urtava. Aumentò la velocità e finalmente tornò a vedere la figura dell'amico stagliarsi tra la folla "PERCY" Lo chiamò quando era ormai a pochi metri.
Il ragazzo si voltò di scatto, la mano che impugnava una penna e sul viso un'espressione reattiva. Poi la vide ed abbozzò un sorriso mentre rimetteva via Vortice, fermò lo skateboard e se lo prese sotto braccio. Era più alto dall'ultima volta che si erano visti, sebbene fosse comunque più basso di le, era smilzo come il solito e la zazzera corvina era spettinata. Annabeth incrociò le braccia
"Sei in ritardo" "Anche tu"
Lei alzò gli occhi al cielo: "Vengo dal campo e c'era traffica. Tu vivi letteralmente a Manhattan, Testa d'Alghe"
Arrossì e abbassò lo sguardo, si pose accanto a lei. "Diciamo che ho avuto un imprevisto" mormorò a disagio. Annabeth aggrottò le sopracciglia preoccupata "Un mostro? Dei, Percy..."
"Oh no, nulla di tutto ciò." E arrossì di nuovo. Annabeth lo fissò per un attimo con'espressione neutrale: accadeva spesso che Percy arrossisse. "Andiamo?" "Dove mi conduci?" Fece per riflettere qualche istante, poi gli si illuminò il viso: "Central Park. Ti piacerebbe"
"Sono più che sicura che lì non ci siano monumenti architettonici, strana coincidenza non trovi?" Lo vide arrossire sotto il suo sguardo indagatore e Annabeth non si trattenne dallo scoppiare a ridere. Gli diede un colpetto sulla spalla. "Idiota"
"Ehi, dammi una tregua. Non capisco nulla quando parli di architettura!" si giustificò a metà tra il riso. Annabeth non riuscì a smettere di ridere, ignorando le occhiatacce dei passanti. "Okay okay, parlerai pure di architettura e io farò finta di capire" propose lui. Lentamente smise di ridere, ma scosse la testa. "Verrà il tempo in cui ti parlerò dei nuovi progetti a cui sto lavorando, sfortunatamente per te non sono ancora pronti" mentì. Apprezzava lo sforzo dell'amico di farla discorrere di architettura, ma sapeva benissimo che l'avrebbe annoiato a morte.
"Piuttosto raccontami come va con il fidanzato di tua madre". A Percy brillarono gli occhi "E' forte. Sembra interessarsi davvero a mia madre. Poi vorrebbe portarmi nella sua scuola anche se... ehm... al momento non ricordo come si chiama. Ecco, dovrei avere a breve l'Open Day"
Avevano ripreso a camminare. Annabeth sapeva quanto fosse spinoso l'argomento scuola per Percy: era stato sospeso da qualsiasi scuola avesse frequentato. "Sono sicura che te la caverai egregiamente". Le rivolse un sorriso grato. "Lo spero, non vorrei deludere mia madre o farle fare una figuraccia davanti al suo compagno" sospirò. Il suo volto si era fatto ombroso e preoccupato tanto da non rendersi conto che talvolta le loro mani si sfioravano. "Sono sicura che andrà bene. Come sta Tyson?"
"Se la cava bene trai ciclopi da mio padre. Non ci siamo sentiti di recente, ma mi aveva detto che stavano iniziando a fabbricare armi..." lasciò in sospeso la frase e sbirciò per un attimo il suo viso, in attesa. Annabeth si irrigidì e sentì il suo cuore sprofondare. Doveva trovare un modo per salvare Luke: non poteva abbandonarlo. Gli afferrò il braccio bloccandolo "Dobbiamo fare qualcosa per Luke, bisogna salvarlo. E' in balia di Crono!" il tono era urgente. Percy serrò la mascella e i suoi occhi si incupirono "Annabeth... Ci ha già traditi. Noi... Non possiamo- Mi spiace"
Annabeth serrò i pugnie e scosse la testa "C'è sempre una soluzione. Dobbiamo elaborare un piano!" l'espressione di Percy era indecifrabile, ma sembrava parecchio arrabbiato. Qualcosa dentro di lei si incrinò "A te non importa salvarlo." Le pizzicavano gli occhi. "Certo che mi importa. Ma ha già provato ad ucciderti!"
"Non lo conosci. Io riuscirei a salvarlo, ne sono sicura. Devo trovare un modo per parlaci da sola, devo, Percy. Lui..." le si spezzò la voce. Se avesse proseguito sarebbe scoppiata a piangere. Trasse un profondo respiro e si incamminò silenziosamente per la folla. Percy la raggiunse immediatamente. Aveva il viso pallido dalla rabbia, ma leggeva nei suoi occhi una scintilla di preoccupazione.
Fino a Central Park il silenzio imperò tra di loro senza che alcuna parola lo spezzasse, alcune lacrime le erano sfuggite dagli occhi, ma Percy sembrava così distratto che probabilmente non se ne era accorto. Annabeth avrebbe voluto abbracciarlo, sentire la sua pelle contro la sua, dimenticare la guerra, i mostri e persino gli dei. DI nuovo quella vampata di calore le scorreva nelle vene. Il suo intero corpo ardeva. Ogni contatto con la realtà si perse ed Annabeth sprofondò nei suoi pensieri, perdendosi nelle sue inquietudini. Era una bambina smarrita in un corpo che non conosceva, le sue emozioni sgorgavano come una sorgente d'acqua purissima con l'unico scopo d'annegarla.
Le mancava Talia da morire; la sua rudezza la riportava alla realtà ed era l'unica a conoscere Luke quanto lei, ad amarlo come Annabeth. La sua mano cercò quella di Percy e assaporò la sensazione dell'intreccio perfetto delle loro dita. Sentì l'amico sussultare ed il suo corpo irrigidirsi, ma non mollò la presa e Annabeth gliene era grata. E passeggiarono nel silenzio fino al parco, le loro mani si allontanarono e si sedettero agli estremi di una panchina. "Annabeth..."
I loro occhi si incontrarono, ma nessuno dei due arrossì. "Scusami. So quanto è importante per te. Lo conosci più di chiunque altro, ma... ecco, ho paura che possa ingannarti di nuovo. I giorni in cui sei stata rapita e sorreggevi il cielo..." si schiarì la voce e guardò a terra. "Sono forse stati trai peggiori. Sapevo che eri viva, ma-" gli mancarono le parole. Annabeth lo circondò con le braccia mentre lui le avvolgeva intorno alla sua vita, stretta a sé. Sapeva di mare. Non ci aveva mai fatto caso.
Rieccomi qui.
Ho deciso di descrivere una Annabeth un po' diversa dal solito: la sua controparte adolescente. Mi auguro che vi sia piaciuta.
Prima di lasciarvi volevo chiedervi se potesse interessarvi una storia incentrata sul processo creativo di chi ama scrivere, arricchita di consigli per migliorare e che sperimenterò io stessa. Fatemi sapere che ne pensate. I consigli sono ben accetti.
(SPOILER DAL FUTURO: ho appena pubblicato)
Vi saluto. Alla prossima.
Ciauuuuu
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