Capitolo 6: Tu sei viva.
Impossible, James Arthur.
Non riusciamo a vedere quanto vale qualcosa, fin quando non la perdiamo.
Agnese piangeva copiosamente. Il volto le si era contratto in una smorfia di atroce dolore, mentre osservava e capiva, da rumori e chiacchere agitate, dove l'avevo portata.
-No, ti prego...-, sussurrò. Davanti a noi una donna che viene riconosciuta come una delle poche italiane sopravvissute all'attentato. Davanti a noi, infatti, vi era Gina Lippis, con la sua testa bionda agitata, l'imprecare in italiano e il disorientamento nelle movenze.
-Mi dispiace-, risposi, mentre cercavo di sorreggere Beatrice che, pian piano, stava abbandonandoci, prima ancora che potessimo fare qualcosa.
-Perché non ci hai portate direttamente al piano terra?-, pianse Agnese e il cuore mi si riempii di amarezza. Aveva gli occhi cerchiati di rosso e il mascara colato giù per le guance pallide, mentre guardava l'orrore scorrerle davanti come un fiume in piena e gli urli strazianti della gente le perforavano le orecchie. Mi resi conto di odiare la sua vista in quello stato. Avrei voluto prendere anche lei e cancellarle dallo sguardo e dalla mente tutto quello a cui stava assistendo, per non dover più guardare le sue iridi diventare grigie e velate di lacrime.
-La Commissione mi ha rallentato, probabilmente. E poi non posso arrivare davanti ad un mucchio di persone.- La guardai ed ebbi voglia di passarle una mano nei capelli e dirle che sarebbe andato tutto bene. Ma l'unica cosa che riuscii a fare, fu ripetere che mi dispiaceva. E così lei abbassò la testa e guardò i piedi di tutta quella gente che voleva solo tenersi stretta la propria vita e nulla di più.
-Lei lo può fare-, biascicò Beatrice, con la bocca impiastrata di sangue. Guardai avanti. Non eravamo neanche a metà: la targa sul muro mostrava che il piano era ancora il trentesimo.
-Cosa, Bea?-, sussurrò, mordendosi le labbra.
La ragazza che mi stava morendo tra le braccia tirò gli occhi verso di me, li chiuse e si lasciò scivolare una mano verso il basso, esausta. -Non posso togliere il posto a nessuno o cambierò anche io la storia.- Schiuse le labbra. -Può farlo lei.-
Ed io capii. Mi girai immediatamente verso Agnese, non spaventata, quanto più sorpresa. Aveva l'espressione di chi non capiva cosa stesse dicendo la sua amica e, ovviamente, era così. Come biasimarla, d'altronde.
Con il cuore in gola e la mente che non riusciva a capacitarsi di quel che aveva appena detto Beatrice, voltai le spalle e risalii. La testa bionda di Gina, come le altre, scomparvero velocemente dal nostro campo visivo e tonfi sempre più sordi ci facevano sobbalzare ogni volta il triplo della precedente. Sperando che noi fossimo davvero stati gli ultimi della fila, mi misi in ginocchio e posai la ragazza a terra, facendo attenzione alla testa e alla schiena. Agnese, intanto, mi seguiva accondiscendente, in attesa che io le spiegassi cosa voleva dire che "poteva farlo lei".
-Lo so che hai paura e credi di essere pazza, lo so che non hai motivo di fidarti di me e so anche che sei confusa, okay? Ma devi darmi retta, rimane poco tempo ed è l'unico modo di salvarla. Se lei ha ragione, puoi.-
Non piangeva più. Aveva solo tanta volontà dipinta sul volto e, nel suo annuire, disse freneticamente: -Mi fido di te.-
Tirai un piccolo respiro di sollievo. -L'uomo che è entrato in camera vostra non l'ha chiamata col suo nome, vero?-
Respirò profondamente, continuando a tenere la stoffa premuta sulla ferita. -No, l'ha chiamata Aella.-
Spalancai gli occhi. La Astrum più celebre della storia del tempo era lì, quasi morta, davanti a me. E proteggeva Agnese. Ero arrivato ad avere anche una vaga idea di chi potesse essere quest'ultima, ma non era sicuramente il momento di rivelarle i miei dubbi. Avrei avuto conferma solo in un modo.
-Devi fare un incantesimo.-
-Che cosa?!-, urlò, alzandosi da terra e spalancando le braccia. Io lo sapevo che non si fidava per niente. -Tu sei pazzo.-
Scattai in piedi e mi avvicinai, sovrastandola. Le presi le guance tra le mani, spingendo verso l'interno. -Non sono pazzo.- Mi avvicinai di più. -Sono un Viaggiatore. Beatrice è una Astrum e tu, se lei dice la verità, sei una Fatum. E credimi, sei l'unica possibilità che ha di salvarsi.-
Indietreggiai.
Lei si morse le labbra così forte che si tagliò, ma sembrava non essersene nemmeno accorta. Semplicemente, batté un piede per terra e si accasciò a gambe incrociate vicina alla sua migliore amica. -Dimmi cosa devo fare.-
-Per una Fatum la magia è naturale. Semplicemente, visualizzala in vita e sana, ed espandi il tuo pensiero sul suo corpo.-
-Oh, sì, mi hai praticamente detto di farmi una frittata.-
Risi, nonostante la situazione. Era terrorizzata, eppure la sua lingua tagliava come una lamina di metallo affilata. La vedevo, però. In fondo, sapevo che ce l'avrebbe fatta. Era tutta nel suo modo di essere, di porsi, una Fatum, ed io non me ne ero accorto in tre giorni, quando avrei dovuto farlo in pochi minuti.
Agnese chiuse gli occhi. Pose le mani sul cuore di Beatrice e chinò la testa. Mi fidavo di lei, credevo in lei. Era troppo caparbia per non riuscirci.
Restò qualche secondo ferma, completamente assente dal mondo che la circondava. Lei credeva che non ce l'avrebbe fatta ed è per questo che ancora non riusciva nel suo dovere. Nessuno le aveva mai detto niente, nessuno le aveva estorto quel che era già dentro di lei da molto, molto tempo prima che lei nascesse nell'epoca corrente. Se nemmeno lei si fosse fidata di se stessa, il suo potere di Fatum sarebbe stato inutile. Eppure era cosi strano che fosse lei una di loro, una delle tre Fatum. E comunque, se prima eravamo nei guai, da lì in poi io sarei stato spacciato, mentre Agnese protetta dal tempo, dallo spazio, dalla sua Astrum e dalla Commissione stessa. Era l'unica di noi tre che era immune a qualsiasi cosa, anche se la sua famiglia l'aveva tenuta nascosta per anni.
-Non sono capace, Vale.-
-Riprova.-
Lo fece. Non piangeva, non tremava. Semplicemente, continuava a stringere gli occhi e muovere le mani sul petto di Beatrice. Irrigidiva le spalle ed io la lasciavo fare, non più così sicuro che Bea sarebbe tornata da noi.
All'improvviso, il petto della giovane smise di muoversi. La mano destra, che era riuscita a tenere lievemente chiusa, come quando si dorme, le si era aperta completamente. Agnese soffocò un urlo sordo ed io spalancai gli occhi. La sua Astrum era morta. La sua Astrum le aveva dato la sua vita in mano e lei non aveva saputo curarla.
Era talmente assurdo che non mi sembrava neanche che fosse reale. Beatrice era appena morta. E noi eravamo lì, statue marmoree testimoni della sua resa, tra l'incredulità e la disperazione.
Poi, successe qualcosa. Agnese pianse e una goccia di sangue e una lacrima caddero inerme sulla canotta grigia di Beatrice. La bionda, che non se ne era resa conto, la abbracciò stretta, scuotendola e piangendo. Dopo pochi secondi, il pianto cessò. -Non ti lascio andare. Io sono dove sei tu.-
E gli occhi di Beatrice si spalancarono. Si alzò in fretta e furia, ritta sulla schiena, e sputò almeno mezzo litro di sangue sul pavimento. A poco a poco, la ferita le si rimarginava e la pelle tornava intatta, come se non fosse mai stata ferita. Il sangue sembrava evaporare e i capelli di lei tornare in ordine muovendosi da soli. Era la cosa più assurda che avessi mai visto. E non ero mai stato così felice di aver visto qualcosa di assurdo.
-Oh, porca troia-, esordì Beatrice. Sì, ovviamente è la prima cosa che ti viene in mente se sei appena tornata dal mondo dei morti, ma non mi aspettavo una cosa simile. -Dio santo, ci hai messo una vita.- Molto tranquillamente, dette una pacca sulla spalla di Agnese, ancora allibita, con la mascella che strusciava per terra, e si mise su due piedi, scuotendosi la gonna rossa.
Né io né Agnese ci capacitavamo di quel che era successo e restammo immobili a fissare Beatrice che, come se niente fosse successo, si metteva a posto i vestiti e i capelli. -Beh? Dove siamo?-
-Tu sei viva-, mormorò Agnese.
-Grazie a te! Batti il cinque, sorella!- Sollevò la mano, ma nessuno le diede il cinque. Ovviamente. -No? Vabbè, cos'è questa topaia? Dove siamo finiti?-
Agnese non parlò, ancora esterrefatta. Forse era un po' lenta ad accettare le situazioni e le corsi in aiuto, parlando al posto suo. -Undici settembre duemilauno, attentato alle Torri Gemelle.-
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