[Ventisei]
𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 ➙
Lilith.
«Non mangi?» sospirai sotto lo sguardo interrogatorio di mia madre, ero consapevole di ciò che mi attendeva «Smettila di fare i capricci, non sei più una bambina» continuò ad infierire senza considerare i miei sentimenti, come accadeva spesso. Rigiravo la forchetta nel piatto senza portarla alla bocca, sobbalzai quando mia madre scattò in piedi furiosa causando trambusto.
Non trovavo il coraggio per riuscire a guardarla negli occhi colmi di rabbia «Tuo padre ed io abbiamo fatto sacrifici per te, per riuscire a farti avere una dannata vita normale! Questo è il tuo ringraziamento? Non vedo progressi-» mio padre la interruppe bruscamente mentre le lacrime minacciavano di fuoriuscire dai miei occhi «Ellen, calmati» la sua voce si fece spazio in quel silenzio che si era creato.
Allontanai il piatto alzandomi in piedi, ignorai spudoratamente le parole di mia madre cercando di non darci peso.
Ma la realtà era un'altra, quelle dannate parole si erano fatte spazio in angoli remoti. Erano riuscite a sgualcire, riaprire quelle ferite che ormai credevo sigillate da tempo.
Mi chiusi in bagno mentre i pensieri vagavano indisturbati nella mia mente come un treno in corsa, mi ero sempre sentita un peso per i miei genitori ma ciò non era altro che la conferma. Le lacrime iniziarono a tracciare dei sentieri sulle mie guance, tutto ciò che mi ero ripromessa di non fare nuovamente si stava ripetendo.
Non riuscivo a guardarmi allo specchio, non potevo guardare la mia figura così dannatamente imperfetta riflessa in quell'oggetto. Non ero ciò che mostravo agli altri, non ero la ragazza con il sorriso sempre dipinto sul viso, non ero forte e non lo ero mai stata.
Provavo a fare star meglio le altre persone senza preoccuparmi minimamente di come stavo io, dannata empatia. Ci misi qualche secondo prima di sentire qualcuno che bussava con insistenza contro la porta di legno «Lilith» come avevo immaginato era mio papà. Non risposi mentre socchiusi gli occhi «Tua madre non pensa realmente ciò che dice, è stressata» sospirai con la consapevolezza che non fosse così.
La cosa peggiore è che lei aveva ragione, i miei genitori continuavano a cercare una soluzione invano. Presi un respiro concedendo a mio padre di entrare nella piccola stanza «Cosa c'è che ti turba?» scrollai le spalle indecisa su quale risposta dare, erano innumerevoli le cause di quel mio atteggiamento.
Ero passata da un estremo all'altro nell'arco di pochi anni senza prenderne coscienza «Davvero, non ascoltare tua madre. Spesso parla senza pensare, senza dare un peso a ciò che dice» osservai il lieve sorriso dipinto sul suo viso «È accaduto qualcosa?» continuò a pormi domande sperando in una mia reazione.
Era come se in realtà non fossi presente tra quelle mura, la mia mente era completamente disconnessa «Com'è andato il compleanno?» quella frase mi catapultò nel ricordo di quegli attimi felici fino ad arrivare alla notte, a quando vidi Dylan in quelle condizioni «Bene» mi limitai nel rispondere accennando un lieve sorriso totalmente sforzato.
Non mentivo mai a mio padre ma quella volta, non volevo scorgere nei suoi occhi un velo di delusione e preoccupazione. Un miscuglio di emozioni contrastanti circolavano nel mio corpo, dicevo a Dylan che lo capivo ed era la verità. Non avevo la certezza che mi avesse creduto, quella figura che mi ero creata dominava agli occhi degli altri.
Eppure era come se si stesse frantumando lentamente portando a galla sentimenti che credevo di aver scordato completamente, stavano accadendo troppe cose in quei giorni. Avrei voluto avere un telecomando e poter mettere in pausa, passare del tempo da sola cercando di riflettere sulla scelta migliore. Ma tutto ciò non era possibile.
«So che qualcosa non va, di certo non posso tirarti fuori le parole con la forza» sapevo che tenermi dentro non avrebbe portato a nulla, dovevo sfogarmi con qualcuno ma quel qualcuno non sarebbe stato mio padre. Non potevo recargli ulteriori problemi futili, mi limitai a sorridere prima di sussurrare alcune parole «Davvero papà, è tutto a posto.»
Andai in camera afferrando il cellulare tra le dita avendo una scelta da compiere, Audrey era con Noah e di certo non volevo nuovamente interromperli. La mia migliore amica si sarebbe precipitata fuori casa mia all'istante però si meritava quella felicità, non potevo essere considerata un intralcio anche da lei.
Il mio dito scorreva sui contatti soffermandosi su uno ben preciso, avevo ottenuto il suo numero dopo l'organizzazione della festa di Alex. Mi avrebbe considerata? Sarebbe stato disposto ad aiutarmi lui questa volta? Non potevo saperlo standomene ferma in quella stanza.
Mi morsi nervosamente il labbro inferiore prima di far partire la chiamata «Lilith? Come mai mi chiami a quest'ora? È successo qualcosa? C'entra Marshall?» sorrisi di fronte a quella sua preoccupazione, Dylan era riuscito a farmi stare bene dopo che Marshall aveva abusato di me e del mio corpo.
Tra le sue braccia mi sentivo protetta come se nulla potesse scalfirmi, d'altra parte mi stavo già pentendo di quella mia scelta. Mi sentivo un peso anche per lui che doveva affrontare già se stesso «Non provare a mettere giù» mi bloccai a quel suo rimprovero.
Era come se fosse riuscito a leggermi perfettamente nella mente «Sbaglio o se stata tu a dirmi che alcune volte, dobbiamo accettare di essere aiutati?» accennai un lieve sorriso senza riuscire a ribattere in alcun modo «Tra dieci minuti davanti il cancello di scuola» mise giù la chiamata mentre i miei pensieri ripresero a farsi sempre più rumorosi.
Infilai le scarpe passando davanti a mia madre senza rivolgerle uno sguardo, soltanto un tono di voce freddo «Vado a fare due passi» non udii risposta e proseguii al di fuori dell'abitazione. Non sapevo perché mi avesse proposto di incontrarci ma di certo mi avrebbe fatto bene, mi sentivo soffocare tra quelle mura.
Sospirai iniziando a scorgere Dylan in lontananza, mi sentivo costantemente oppressa e mai nel posto giusto. Portò una sigaretta tra labbra salutandomi con un cenno «Allora? Che succede?» corrugai la fronte davanti a tutta quella preoccupazione nei miei confronti, in realtà non sapevo nemmeno io con certezza che cosa mi stesse accadendo.
«Credo di essere stupida» mormorai, dalla sua espressione intuii che mi avesse sentito. Non gli diedi tempo di ribattere proseguendo, le parole iniziarono ad fluire come un fiume in piena. Necessatavo di sfogarmi e non poteva recarmi altro che bene, non riuscivo a guardarlo in quegli occhi profondi.
«Inciampo sempre negli sbagli, nelle stesse paure. Per quanto ci abbia provato a diventare forte e a cambiare, non ci sono riuscita affatto, sono sempre rimasta me stessa. Metto le persone davanti ad ogni cosa, perfino prima di me stessa, anche quando non fanno altrettanto. Metto me stessa in ogni cosa che faccio e basta poco per farmi stare meglio, eppure le persone non sembrano disposte nemmeno al gesto più banale.»
Sbuffai sentendo le guance umide «La verità è che non sono la ragazza con la vita perfetta che sorride costantemente, vorrei tanto che fosse così» non rispose, le sue braccia mi avvolsero tirandomi a sé.
La sensazione di benessere si approppriò del mio corpo mentre appoggiai la testa sul suo petto «Non sei tu che sbagli, sono le persone che non sanno apprezzarti» sussurrò lasciandomi piacevolmente sorpresa dalle sue parole «Come fai ad esserne così sicuro?» mi allontanai leggermente riuscendo a scorgere quelle pozze color caramello.
«Sei tu che ti sei offerta di aiutarmi senza nemmeno conoscermi» asserì «Credo che ogni persona conservi gelosamente della sofferenza dentro sé, c'è chi la nasconde dietro ad un sorriso falso e chi invece non ci riesce. Fa parte dell'essere umano il dolore.»
×××
Non sono morta, eccomi :)
Non mi convince a pieno (un po' come sempre), fatemi sapere voi cosa ne pensate!
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