[Uno]
𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 ➙
Dylan.
Il mio dito si posò facendo una leggera pressione sul citofono situato dinanzi a me, strinsi le labbra nervosamente attendendo una risposta. Quel pomeriggio era gelido, mi stringevo nel giubbotto rendendomi conto di aver perso quasi totalmente la sensibilità alle mani. Nessuna voce rispose come al solito, ci fu soltanto un lieve rumore. Spinsi la porta di legno massiccio addentrandomi nel vecchio palazzo, la vernice verde pistacchio si era quasi del tutto staccata dai muri. Lasciai andare la porta creando un tonfo assordante facendomi riconoscere all'istante dall'intero edificio, iniziai a salire la prima rampa di scale accarezzando la ringhiera, lo scontro tra quel metallo rovinato e i miei anelli procurò un rumore tenue. Arrivai al secondo piano soffermandomi all'ingresso per qualche secondo, notai la solita targhetta dorata appesa "Studio Dott. ssa Tricia Reyes" scritto in grassetto. Sotto c'era un'altra scritta con caratteri più sottili psichiatra. Presi un respiro prima di intrufolarmi al suo interno «Dylan, accomodati» la sua calda voce si fece spazio in quel piccolo appartamento. Conoscevo quel posto come le mie tasche, mi tolsi la giacca appendendola prima di raggiungere Tricia nella solita stanza. Mi attendeva seduta su quella poltrona dal colore indefinito e alquanto orribile, sorseggiando la tua solita tisana «Cocco e zenzero?» annuì mentre mi decisi a sedermi di fronte a lei. Appoggiò con cautela la tazza sul tavolino lì accanto e iniziò a scrutarmi con attenzione «Come sta mamma?» scrollai le spalle lasciando vagare lo sguardo.
Due imponenti librerie troneggiavano nella stanza e dei quadri inguardabili erano sparsi sui muri «Tu invece, come stai?» sentendo pronunciare quelle parole deglutii rumorosamente, iniziai a torturarmi le mani e a giocherellare nervosamente con gli anelli. Cercavo di guardare altrove, non sarei stato in grado di sostenere il suo sguardo «Lo sai che ti puoi fidare di me» continuava con insistenza.
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi «Sono passati due anni, due fottuti anni» la voce mi tremava mentre il bruciore si estese per tutta la gola, mi morsi violentemente il labbro inferiore cercando di trattenere ulteriori lacrime «Sono ancora nella stessa situazione, come un emerito idiota» affondai le dita con forza nel braccio della poltrona. Sentivo il suo sguardo attento su di me «Ci vuole tempo per affrontare determinate cose» la prima di tante lacrime segnò la mia guancia, mi sentivo come una dannata bomba ad orologeria. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal paesaggio tetro al di fuori della finestra «Dormi la notte?» scossi la testa mentre le mie guance ormai erano umide, tirai su con il naso e lei mi passò un pacco di fazzoletti. Ne estrassi uno «Mi manca terribilmente, appena chiudo gli occhi sento la sua voce..» sbuffai odiando il mio atteggiamento, non ne potevo più di piangere ogni maledetto giorno. Abbassai lo sguardo lasciandomi sprofondare nella poltrona «Avrei dovuto accorgermene che stava soffrendo, sono una persona di merda» cercai di soffocare un singhiozzo «Non potevi saperlo, non è così semplice» notai la preoccupazione nella sua voce «Avrei dovuto.»
Ormai la ritenevo come una sorta di migliore amica e sapevo bene quanto fosse preoccupata per me «Stai mangiando?» scossi la testa prima di proferire parola «Ogni tanto» odiavo quando mi tremava la voce, mi sentivo inerme «Non riesco a pensare a nient'altro che lei, vorrei.. tanto stringerla tra le mie braccia» incrociai i suoi occhi, volevo uscire da quel turbine senza fine che lentamente mi stava logorando. Eravamo rimasti in silenzio, questo mi piaceva di lei. Non mi obbligava mai a parlare ma dipendeva tutto da me e in quel momento stavo cercando di calmarmi, volevo semplicemente tornare a vivere. Erano passati due anni e non riuscivo, non potevo, dimenticarmi di quel tragico giorno. Presi un respiro «Non ne posso più, Tricia» il mio sguardo si posò sull'orologio appeso alla parete «Devo andare» mi alzai da quella poltrona andando verso di lei a passo svelto prima di fiondarmi tra le sue braccia, sapevo bene che non era affatto professionale eppure era un gesto così banale da farmi stare meglio. Sentii le sue braccia avvolgermi trasmettendomi calore «Grazie..» sussurrai prima di allontanarmi «Ti prescrivo delle pillole per poter dormire, va bene?» annuii arrendendomi. In realtà non volevo più avere a che fare con quella robaccia ma era anche vero che avevo bisogno di dormire, misi il giubbotto e uscii dopo averla salutata.
Corsi frettolosamente per le due rampe di scale catapultandomi al di fuori di quell'edificio, non potevo arrivare tardi al mio appuntamento giornaliero. Infilai una sigaretta tra le labbra accendendola, aspirai profondamente sentendo il fumo scendere trascinandosi con sé il bruciore, causato dalle eccessive sigarette. Proseguì indisturbato dalla gola fino ai polmoni, era l'unica cosa che mi faceva sentire vivo. L'aria gelida si scagliava contro il mio viso con insistenza «Dylan» una mano si appoggiò sulla mia spalla, mi voltai sorpreso «Aria» mi fece un sorriso a trentadue denti che non riuscii a ricambiare. Sapevo bene che stava fingendo bastava guardarla negli occhi per capirlo, nessuno era più quello di un tempo compresa lei. Camminavamo fianco a fianco senza avere il coraggio di spezzare quel silenzio che si era creato.
In quel periodo la nostra amicizia si stava rafforzando forse perché il nostro dolore derivava dalla stessa causa. Capimmo di essere arrivati quando ci trovammo davanti a un imponente cancello di metallo, rimasi fermo ad osservarlo qualche secondo prima di addentrarci. Probabilmente mi mancava il coraggio di affrontare la cruda realtà, vedermela sbattere in faccia sarebbe stato doloroso come ogni volta. Sentivo le gambe deboli come se non riuscissero più a reggermi da un momento all'altro mentre tenevo lo sguardo fisso sulle mie scarpe, capii di essere arrivato quando la ragazza accanto a me smise di camminare.
Mi bastò alzare lo sguardo per sentire un forte vuoto, probabilmente un pugnale conficcato nel petto sarebbe risultato meno doloroso.
Avvicinai la mano tremante, non per il freddo gelido di quel giorno, alla foto posizionata sulla lapide accarezzandola con le nocche. Aria si precipitò tra le mie braccia scoppiando a piangere e non esitai nemmeno un secondo ad avvolgere le braccia intorno a lei, le accarezzai delicatamente la schiena con la mano sperando di trasmetterle un minimo di conforto.
In quel momento era lei ad aver bisogno, non volevo apparire debole anche se il bruciore agli occhi la pensava diversamente. Restammo in silenzio, fermi in quella posizione mentre la mia testa iniziava a vagare liberamente. Strizzai gli occhi cercando di scacciare dalla mente quella scena che continuava a manifestarsi come un odioso loop, era un continuo tormento.
×××
Eccoci alla fine del primo capitolo, vi consiglio di ascoltare le canzoni che metterò in alcuni capitoli (la maggior parte) dato che mi sono ispirata al testo di esse. Non tutte saranno di Fasma, i generi cambieranno anche dato che ascolto di tutto.
Vorrei sapere inoltre se vi farebbero piacere capitoli più lunghi o se va bene così.
Fatemi anche sapere cosa ne pensate nei commenti e non temete, tutto sarà spiegato a tempo debito ツ
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