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[Trentotto]

𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨

Dylan.

Le mie gambe compievano gli stessi movimenti da ormai mezz'ora, come se non mi appartenessero più e stessi vivendo in un corpo diverso dal mio.

Il mio sguardo era fisso sul cemento, il mio braccio percorreva la medesima strada fino al raggiungimento delle labbra, appoggiandoci la sigaretta, prima di tornare disteso.

I miei pensieri erano assillanti, tante voci mischiate insieme che creavano un caos incessante, un ronzio continuo all'interno della mia mente.

Le frasi incise su quel pezzo di carta non avevano intenzione di darmi pace. La cosa più atroce era immaginare Aria, con la voce spezzata a causa delle lacrime e gli occhi lucidi a contornarle il viso pallido, mentre pronunciava quelle parole.

Il bruciore, che si diffondeva rapidamente all'interno della trachea, stava risultando insopportabile. Il fumo continuava ad infiltrarsi nel mio corpo con totale indifferenza, aggravando ulteriormente il fastidio.

Non avevo alcuna intenzione di porre una fine a quello strazio, non ci riuscivo, forse per mancanza di coraggio o, forse perché pensavo di meritarmelo.

Ero curioso di sapere se Lilith si trovasse ancora al mio fianco, ma dentro di me temevo di conoscere già la risposta, ero terrorizzato all'idea di rimanere solo con me stesso.

Girovagavo senza una meta, senza sapere da quanto tempo stessi effettivamente camminando. Di me era rimasto solamente più un involucro vuoto, spoglio interiormente.

Infilai la mano sinistra in tasca entrando in contatto con la lettera accartocciata, le ipotesi peggiori iniziarono a plasmarsi nella mia mente.

Delle dita si appoggiarono sul dorso della mia mano, impedendo ala sigaretta di raggiungere le mie labbra.

La mia pelle risultò come ustionata dopo quel contatto improvviso, non ebbi nemmeno la forza di ritirarla, «Basta» il mio corpo si irrigidì e le mie gambe smisero di muoversi, «Per favore» quella voce l'avrei riconosciuta tra milioni.

Non se n'era andata, possedeva un'infinità di motivazioni per poterlo fare, ma era ancora lì.

«Dovresti andare a casa, non restare a perdere tempo con uno come me» mormorai, la mia nuca era rivolta verso il suolo. Non trovavo il coraggio per poterla alzare, e permettere al suo sguardo di scrutarmi.

Lilith prese posizione di fronte a me, prima di permettere alla sua voce rotta di esprimersi «Non vado da nessuna parte, non senza di te» il mozzicone ormai consumato, scivolò via dalle mie dita, le sue parole scavarono nel profondo.

«Perché?» sussurrai, «Perché insisti tanto? Sono marcio ormai, non c'è più rimedio per me.»

Le sue dita accarezzarono le mie guance prima di posarsi su di esse con estrema dolcezza, mi costrinse ad elevare il capo.

Le sue iridi smeraldine si sciolsero nelle mie, «Questo è ciò che sostieni tu, che ti sei imposto inconsciamente» rimasi ad ascoltare non riuscendo a fare altro, «Il dolore non durerà per sempre, non devi permettergli di prendere la parte migliore di te.»

Avrei voluto credere alle sue parole, ma non era così banale. Mi ero convinto che non finisse mai, un vortice dal quale non puoi fuggire. I momenti di tregua si stavano affievolendo diventando soltanto più un ricordo lontano, quasi surreale.

Un tuono squarciò il cielo annunciando l'inizio di un imminente temporale, la pioggia iniziò a cadere sugli alberi, sulle case silenziose nei loro colori.

Il cielo era in lutto, il suo colore era grigio tendente al nero.

«Spero che tu abbia ragione, Lilith» mormorai, noncurante del fenomeno atmosferico che stava avvenendo.

Gli occhi iniziarono a pizzicare, la mia testa era piena e in un completo disordine, la sensazione di caduta prese il sopravvento.

Ma quella volta erano presenti due braccia tese, propense a offrirmi un riparo. Una mano pronta a afferrarmi per riportarmi in superficie.

Appoggiò il viso sul mio petto, le sue braccia si avvolsero intorno ai miei fianchi intrappolandomi in un abbraccio. Tra le sue dita strinse un lembo della mia felpa, «Sarò sempre accanto a te» le sue parole si dissolsero nel vento.

La pioggia iniziò a farsi insistente, sperai che le lacrime potessero diventare tutt'uno con essa.

«Resterò nonostante tu provi a cacciarmi, perché so che in fondo hai paura di rimanere da solo» la strinsi forte, cercando di nascondere il viso tra i suoi capelli ramati.

«E poi, soltanto uno stolto si allontanerebbe da ciò che più lo fa stare bene» socchiusi gli occhi, in seguito a quella frase, con cui concluse il discorso.

Non aveva importanza l'acqua che cadeva ripetuta sui nostri corpi, i vestiti che aderivano alla pelle, i capelli completamente fradici attaccati al viso.

«Ha fatto male» la mia voce uscì flebile, «Leggere quelle parole, immaginare che sia lei a pronunciarle» le lacrime continuarono a disegnare sentieri sulle mie guance.

«Mi ha scritto che non voleva infrangere la nostra promessa, nonostante le avessi ripetuto che non m'importava di essa. Ho semplicemente sperato che quel giorno non arrivasse mai, in quella casa immersa nel silenzio, mi sono sentito catapultato in un incubo senza fine.»

Furono le uniche parole a lasciare le mie labbra, colme di dolore, ero esausto di quelle situazioni che puntualmente si presentavano. Gli occhi gonfi e arrossati ormai, contornavano troppo spesso il mio viso stanco.

Non sarei riuscito a sopportare la perdita di Aria, mi avrebbe devastato, probabilmente manco Lilith sarebbe riuscita ad aiutarmi, di quello ne avevo la certezza.

«Sperare non cambierà le cose, è soltanto un'illusione effimera» sussurrai, «So che non avrei potuto fare diversamente, non ero presente nella sua testa. Questo mi fa male, mi fa sentire inutile.»

La sua mano scivolò sul mio braccio, prima di raggiungere la mia. Le nostre dita si unirono, «Non sei inutile, Dylan» tentò nuovamente di stabilire un contatto visivo.

«Mi sei stato accanto fin da subito, non mi conoscevi ma ti sei preso cura di me senza esitazione. Non mi hai mai abbandonata, soprattutto nei momenti più bui. Sei un ragazzo infinitamente dolce che tende a trascurare se stesso, pur di aiutare gli altri. Tu mi hai salvata, mi hai salvata da me stessa.»

Le parole uscirono senza sosta dalle sue labbra, piegate in un sorriso, i suoi occhi lucidi erano fissi su di me.

Era come se non esistesse nient'altro intorno a noi, nemmeno le gocce di pioggia, che precipitavano copiose sul cemento.

I pensieri che fino a poco prima mi assillavano, cessarono di esistere, non avevo la minima idea di ciò che stesse accadendo.

Rimanemmo in quella posizione, l'uno tra le braccia dell'altro, per un tempo che parve infinito. Senza avere il coraggio di interrompere quel silenzio, o forse, non ne avevamo voglia.

«Dovresti andare a casa a riposarti» mormorò Lilith, non riuscivo a decifrare le sue emozioni.

Le parole mi uscirono senza esser ragionate, «Mi sento già a casa» subito dopo, tornò ad udirsi soltanto la natura che ci circondava.

Temevo di aver commesso qualche errore, non ottenendo un riscontro, mi allontanai da lei per riuscire a scrutare il suo viso. I suoi occhi erano lucidi e le sue labbra incurvate in un sorriso, «Andiamo al riparo, mi sentirei in colpa se dovessi ammalarti.»

Dopo aver pronunciato quella frase, afferrai nuovamente la sua mano in una presa salda, ci ritrovammo a correre sotto la pioggia alla ricerca di un posto asciutto.

Mi fermai una volta giunti al di sotto di un porticato, persi qualche secondo a scrutarla meticolosamente. I capelli ramati erano più scuri a causa dell'acqua impregnata in essi, erano disordinati e aderivano al suo viso.

Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo, «Lilith» portai la sua attenzione su di me.

«Non mi lascerai, vero?» domandai, ripresi a parlare subito dopo impedendole di rispondere, «Sono consapevole della persona che sono, non è affatto semplice starmi accanto. Ma io... ho bisogno di te.»

Le parole uscirono dalle mie labbra sussurrate, quasi dimenticai le lacrime che fuoriuscivano dai miei occhi come gocce di rugiada.

«Te l'ho già detto, soltanto uno stolto si allontanerebbe da ciò che che più lo fa stare bene.»

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