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[Trentatre]

Lilith.

Le persone costruiscono muri alti, insormontabili, come delle masse di cemento ed è impossibile attraversarli. Cercano di proteggere i pochi residui di loro stessi, tendono ad allontanare chiunque per paura. Paura del dolore, paura di soffrire ancora e ancora.

Dylan camminava al mio fianco in silenzio, la sua mente era chiaramente altrove. Eravamo vicini eppure lo sentivo così distante, si stava chiudendo in sé stesso ma quella volta, era diverso.

Non sarebbe stato semplice poterlo aiutare, lo ritenevo impossibile.

Quei muri li creava per proteggere gli altri da sé stesso, temevo che avrebbe cercato di allontanarmi. Mi avrebbe respinta se solo avessi provato ad avvicinarmi a lui, ne ero certa ma era comprensibile.

Mi strinsi nella giacca, nonostante le temperature si stessero alzando, il vento non aveva intenzione di cessare.

Portava ripetutamente la sigaretta tra le labbra mantenendo lo sguardo assente, avrei voluto entrare nella sua mentre tra quei pensieri che, sicuramente stavano prendendo forma.

«Dylan» mormorai osservando il moro accanto a me, non avevo idea di come proseguire. Mi era bastato interrompere quel silenzio assordante, strinse le dita in un pugno serrato. Le nocche assunsero un colore biancastro, sembrava non percepire gli anelli metallici che aderivano.

Il fumo abbandonò le sue labbra prima di dissolversi lentamente, la sigaretta cadde in una pozzanghera creando un rumore lieve «Secondo te, c'è la farà?» mi precedette dando voce ai suoi pensieri, la sua voce tremava. Sicuramente stava temendo il peggio, ancora.

Rimasi interdetta ripensando alle spropositate quantità di sangue che aveva versato, i suoi occhi si velarono di lacrime. Accennò una risata amara prima di proseguire «È un codardo» corrugai la fronte non riuscendo a comprendere.

Da quella semplice frase traspariva una rabbia repressa, smisurata, attendeva soltanto il momento adatto per poter esplodere. Sarei rimasta al suo fianco anche in quel momento, soprattutto in quel momento. Era l'unica certezza che era rimasta salda.

Non mi sarei fatta intimorire, nonostante non lo ammettesse nemmeno a sé stesso, non poteva permettersi di rimanere solo.

Accostò nel bel mezzo della strada, a pochi metri dalla sua abitazione «Lui lo sapeva, aveva capito che sta mattina qualcosa non andava. E sai cos'ha fatto?» la sua voce tremava facendo trasparire le sue fragilità.

Avanzò nella mia direzione puntando i suoi occhi dannatamente tormentati nei miei «Te lo dico io, appena siamo arrivati dal cancello insinuava che doveva parlarmi. Quando la campanella è suonata ha esordito con 'non è importante, né parliamo dopo', come se la vita di una persona fosse insignificante!»

Gridò facendomi sussultare, le lacrime iniziarono ad attraversare il suo viso rendendolo umido. Cercai di tenere i nervi saldi permettendogli di sfogarsi «Ho passato le ore a sperare. Speravo soltanto che non arrivasse a tanto, speravo di entrare in casa e trovarla in camera. Speravo di poterla abbracciare e dirle che sarebbe andato tutto bene ma in fondo, la colpa è anche mia. Passavamo quasi tutti i giorni insieme, avevo notato le sue ricadute eppure, ci speravo davvero.»

Feci un passo nella direzione di Dylan «Hai fatto il possibile, tu non hai colpe» cercai di non far trasparire le mie emozioni, avrebbero incrementato le sue facendo precipitare la situazione.

«Chiunque mi stia accanto ne esce danneggiato» quelle parole che lasciarono le sue labbra, si insinuarono nel mio petto come una lama affilata. Persi il controllo che fino ad allora ero riuscita a mantenere con difficoltà, stava cercando nuovamente di allontanarmi.

Scossi leggermente il capo ignorando una lacrima fugace che, creò un piccolo sentiero sulla mia guancia «Non è così» sussurrai.

Portò lo sguardo altrove per evitare le mie iridi, indietreggiò prima di sputare tutto ciò che fino ad allora, aveva custodito gelosamente dentro di sé.

«Non voglio farti del male, stammi lontana per favore. Un disastro come me ti può solo far dannare» non riuscii a proferire alcuna risposta, rimasi inerme ad osservare il suo viso sommerso dalle lacrime.

Intravidi un sorriso amaro prendere forma sul suo volto «Sto arrivando a fidarmi di te, sai? A fidarmi a tal punto da guardarti negli occhi e, ammettere che ho bisogno del tuo aiuto. A tal punto da crollare tra le tue braccia e non riuscire a placare queste maledette lacrime, ma sto aspettando. Attendo il momento in cui ti stancherai di me, perché so che arriverà. Non sai quanto mi dispiace di essermi affezionato proprio a te.»

Mantenni il silenzio restando pietrificata dalle sue parole «Mi dispiace di averti dato questo fardello da sopportare, tu hai già i tuoi problemi e non voglio che tu debba ascoltare i miei. Stammi lontana finché puoi, ti supplico. Almeno tu, salvati da me

Continuavo a convincermi che non fosse lucido, sicuramente emozioni contrastanti avevano preso il possesso del suo corpo. Proprio come era successo a me, a udire le sue parole.

Cercai di avvicinarmi a lui inutilmente «Lilith, sei disposta a frantumarti pur di aiutare gli altri. Ma ciò non te lo permetterò, non con me» la sua voce era rotta, mi avvicinai tentando di prenderlo alla sprovvista.

«Scordatelo, non me ne vado» asserii, il mio indice accarezzò il dorso della sua mano prima di scivolare verso le dita. Permise alle nostre mani di unirsi in una presa salda, tirai un sospiro di sollievo temendo un rifiuto da parte sua e ripresi a parlare «Ti attribuisci colpe che non hai, non sei ciò che dici di essere.»

Pensavo seriamente ogni parola che lasciava le mie labbra, il dolore cambia radicalmente le persone. Aveva tutte le ragioni per permettere alla rabbia e alla brama di vendetta, di prendere il sopravvento.

Eppure non cedette nonostante fosse quasi del tutto, accecato dalla bufera di sentimenti che si stava scatenando all'interno del suo corpo. Era proprio ciò a renderlo speciale «Dylan, non sei affatto una persona orribile. Sei la persona più genuina che io conosca a cui, sono accadute cose terribili» cercai di accennare un sorriso.

«Guardami» affermai dura riuscendo ad ottenere il suo sguardo, le sue iridi si sciolsero con le mie «Non ti lascerò da solo, per nessun motivo. Non resterò ferma a guardare mentre ti sgretoli, non permetterò ai tuoi demoni interiori di prendere il sopravvento. Costi quel che costi.»

Rimase interdetto alle mie parole ma era esattamente ciò che pensavo, anche in quel preciso momento, stava combattendo una guerra contro sé stesso. Sarei rimasta al suo fianco, non avrebbe combattuto da solo.

Non finché ci sarei stata io.

Ero consapevole di cosa volesse dire, restare da soli ad affrontare se stessi. Con il timore di raccontare ogni pensiero, a chi ci sta affianco. La paura costante di essere considerato come un peso, ciò che per me lui, non sarebbe mai stato.

«Non sai a cosa stai andando incontro, ti tirerai indietro ma... é comprensibile. Mi tirerei indietro anch'io, se soltanto potessi farlo» riuscii a scorgere quella frase colma di dolore, tra un singhiozzo e l'altro.

Nessuno meritava tali atroci sofferenze, tanto meno quei ragazzi così puri. Strappati dalla felicità continuamente, pensai a come si stesse sentendo Alex in quell'esatto momento. Ai sensi di colpa che probabilmente, lo stavano logorando come acido.

Pensai ad Aria e al gesto avventato che aveva compiuto, alla grandezza di ciò che l'aveva spinta a commetterlo.

Pensai a Noah e Audrey, probabilmente in quel momento erano rimasti accanto ad Alex. Al primo che stava ammirando il proprio gruppo sfaldarsi, vite troppo mature per essere strappate alla vita così bruscamente.

Pensai a Julie e alla tenacia che aveva riservato fino alla fine, ciò che aveva passato che sarebbe potuto accadere anche a me. Era soltanto merito di quel ragazzo, che si stava distruggendo sotto ai miei occhi, se avevo evitato tutto ciò.

Pensai al dolore con cui conviveva Dylan da ormai due anni, quel giorno fu maggiormente incrementato. Sarebbe bastato guardarlo negli occhi, quelle pozze color nocciola che erano fisse nelle mie iridi, per poter intravedere ciò che custodiva al suo interno.

«Probabilmente hai ragione tu» affermai «Non so a cosa sto andando incontro» continuai ammirando l'espressione sul suo viso, non esageratamente sorpresa.

Tirai un lungo sospiro prima di concludere «Ma è meglio affrontarlo in due, insieme, non credi?» cercai di accennare un sorriso sotto a quelle lacrime incessanti, che continuavano a rigarmi le guance.

Aumentò la stretta delle nostre mani facendo aderire maggiormente le dita, compiette un gesto che in quel momento, non mi sarei mai aspettata.

Fino ad allora tentava di allontarmi per poi, appoggiare la testa sulla mia spalla. Ebbi la conferma del mio pensiero, in realtà necessitava soltanto di qualcuno che avesse forza per stargli accanto.

Appoggiò delicatamente la mano libera sul mio fianco, come se temesse di ferirmi semplicemente sfiorandomi. Mi avvicinò a lui facendo fondere i nostri corpi in cerca di conforto.

Portai la mano, esitando, verso la sua nuca prima di accarezzare i suoi capelli morbidi.

Restammo fermi in quella posizione, con il vento che si scagliava su di noi con noncuranza. Mi teneva stretta a sé, probabilmente, aveva il timore di potermi perdere. I nostri respiri si erano ormai uniti come se riuscissimo a completarci.

Dylan era come un piatto di porcellana, possedeva le stesse fragilità, se non lo maneggi con cura si scalfirà. Con il passare del tempo, arriverà a sgretolarsi perdendo dei pezzi.

Nonostante si provi in seguito ad aggiustarlo, non tornerà mai come prima. Eppure, io avrei fatto il possibile per aggiustare quel ragazzo.

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