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[Trentadue]

Troverete un asterisco (*) per sapere quando ascoltare la canzone qui sopra, vi consiglio vivamente di farlo per inoltrarvi fino a fondo nella lettura.

𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨

Dylan.

Le mani tremavano come foglie in balia del poderoso vento, la sensazione di continua caduta, la mente che vaga negli angoli angusti, le gambe che oscillano e che se non ti siedi ti fanno sedere loro.

Nel mio petto era come se si fosse appena abbattuto uno tsunami, i battiti del cuore presero ad accelerare, li sentivo esplodere nelle orecchie.

Il respiro era sempre più veloce ed irregolare, boccheggiavo come se cercassi inutilmente di porre fine a quella dannata tortura.

Avvenivano così frequentemente, che ero arrivato a considerare normale una cosa da non definire tale.

I pensieri peggiori si insinuarono nella mia mente, come il ronzio di un insetto fastidioso. Alex si era comportato da stolto ed ingenuo, qualcuno avrebbe rischiato di pagare le conseguenze al suo posto.

Mi stavo pentendo di aver fatto chiamare Lilith, in quegli istanti era un bene per tutti se fossi stato da solo. Non ero in grado di rimanere lucido, il mio peggior presentimento probabilmente, si sarebbe avverato da lì a poco.

Tutto quanto si stava ripetendo, nessuno ci costruisce la vita su misura, c'è a chi sta troppo stretta e deve adattarsela da solo.

Quel giorno più che mai, eravamo soltanto come delle pedine di scacchi, stavamo giocando una partita contro il tempo. Una mossa consiste nel mettere un pezzo su una casella differente, seguendo delle regole precise.

La partita è conclusa quando il giocatore a cui spetta muovere, non può più effettuare mosse valide.

Ciò che temevo era proprio scacco matto.

Rimanere impotente ad osservare uno scenario, quello che tenevo serrato in una cassaforte con la speranza che non si averasse mai.

Le mie dita portavano continuamente la sigaretta tra le labbra, come se ormai fosse un gesto automatico e nemmeno pensato. Desideravo che, il fumo trascinasse via con sé, tutto ciò che mi stava logorando dentro. Come un acido che scioglie al solo contatto, tutto ciò che incontra nel suo impetuoso cammino.

«Dylan? Cosa succede?» la voce di Lilith mi raggiunse in poco tempo, rimase in piedi ad osservarmi. Cercavo di non incontrare quelle dannate iridi verde smeraldo, provavo a formulare dei pensieri lucidi e sensati. Senza ottenere alcun risultato.

Percepivo il terrore scorrermi nelle vene, mischiandosi con il sangue, attraversarmi la carne fino al raggiungimento delle ossa.

Prese posto sedendosi di fronte a me «Cosa succede?» scandì nuovamente la domanda posta in precedenza, non riuscì a nascondere le sue emozioni, era preoccupata e si udiva dalla voce.

Girai il viso trovando un punto fisso da osservare, che non fossero i suoi occhi vitrei. Le lacrime insisterono fino ad avere la meglio, sgorgarono una dopo l'altra senza degnarsi nemmeno di una pausa.

Gettai il mozzicone appartenente alla sigaretta ormai consumata «Hai visto Alex?» mormorai con voce flebile, mantenni la mia posizione «Mi ha detto qualcosa di confuso, io non sto capendo. Parlarmi, per favore.»

Riuscii soltanto a confonderla ulteriormente, le parole lasciavano le mie labbra in modo indefinito. Non pronunciò nient'altro, le sue braccia mi avvolsero tirandomi a sé.

«Ho paura» sussurrai non considerando nemmeno più, quelle lacrime salate che tracciavano piccoli sentieri sul mio viso. Appoggiai il mento sulla sua spalla, in balia delle mie emozioni, mi sentivo semplicemente fragile.

Il fastidioso rumore metallico della campanella, si espanse comunicandoci la fine dell'intervallo. Mi strinsi maggiormente tra le braccia di Lilith, non volevo lasciarla ma non potevo costringerla a saltare le lezioni.

Mi allontanai passando i palmi delle mani sugli zigomi, asciugai le lacrime «Aspettami fuori scuola» mormorai prima di addentrarmi nuovamente in quei corridoi affollati, mi precipitai in bagno.

Appoggiai le mani sui bordi di quei sudici lavandini, dovevo restare lucido. Non dovevo permettere alla rabbia di accecarmi, annerbiarmi la mente.

Gli errori non devono ripetersi, dovrebbero lasciarci un'impronta importante nella nostra vita. Chiusi gli occhi regolarizzando il respiro, feci scorrere l'acqua gelida per qualche istante prima di sciaquarmi il viso.

Entrai in aula senza dare spiegazione alcuna per il mio ritardo, mi sedetti picchiettando le dita sul banco di legno.

Il mio sguardo era fisso sulle lancette dell'orologio, bramavo la fine delle lezioni, eppure il tempo sembrava andare a rallentatore.

Continuavo a torturarmi con i denti il labbro inferiore, pochi secondi sarebbero stati decisivi, eravamo in balia del tempo.

Le ipotesi migliori mi avevano ormai abbandonato, mi stavo convincendo che non ci avrebbe attesi nulla di buono, eppure era così tremendamente difficile accettarlo.

La tentazione di andarmene si era ormai insinuata nel mio cervello, allo stesso tempo non potevo permettermi un gesto simile, avrei aggravato il mio andamento scolastico a dir poco pessimo.

Inoltre sarebbe stata l'ennesima delusione per mia madre, ero in costante lotta contro me stesso. Ogni azione portava a una conseguenza, mi perdevo in riflessioni a volte anche inutili, prima di fare qualsiasi cosa.

Per la prima volta fui così felice di udire quel suono metallico, afferrai bruscamente lo zaino precipitandomi al di fuori dell'edificio. Iniziai a cercare Alex con lo sguardo, in quel momento riservavo le peggio parole nei suoi confronti.

«Andiamo» affermai senza riuscire a guardare il diretto interessato, esitò aumentando la mia rabbia nei suoi confronti. Era spaventato tanto quanto me ma, in quel momento la lucidità non era presente nel mio corpo, scagliai lo zaino ai suoi piedi «Tienimelo, io vado» ringhiai, spostai lo sguardo sulla sua mano tesa.

Rimase come paralizzato, il suo sguardo era assente. Stava temendo il peggio, afferrai le chiavi continuando a nutrire un odio profondo nei suoi confronti, le gambe presero a muoversi da sole «Dylan!» ignorai la voce di Lilith.

Non mi sarei comportato come Alex, non sarei stato fermo ad attendere, avrei agito con qualsiasi mezzo a mia disposizione.

Corsi contro il tempo che si opponeva. (*)

Corsi cercando di ignorare il bruciore che si propagò dai polmoni, fino al raggiungimento della trachea.

Corsi con le lacrime salate che accarezzavano le mie guance.

Corsi nonostante mi mancasse il respiro, il fiato si faceva sempre più corto, le gambe sembravano non reggermi ma nulla di ciò era importante.

Non abbastanza.

Solo dopo aver raggiunto l'abitazione, mi accorsi che Lilith mi aveva seguito, probabilmente in lei regnava la totale confusione. Speravo vivamente che non venisse a conoscenza di tutto ciò, osservandolo con i suoi occhi.

Infilai le chiavi nella serratura dopo svariati tentativi, la rossa non proferì parola, mi assecondò in silenzio. Le emozioni ormai, avevano il controllo del mio corpo.

«Aria!» urlai con tutto il fiato che riservavo nei polmoni, rimasi immobile qualche secondo, attesi un riscontro che non arrivò.

Incrociai gli occhi di Lilith per un brevissimo istante, bastò per rendere più chiara ogni cosa nella sua mente. Corsi da una stanza all'altra, spalancai ogni porta che mi ritrovavo davanti, sentivo il cuore in gola.

Lilith fece lo stesso ma non ottenemmo nulla, rimase una porta chiusa, mi precipitai da essa senza ripensamenti.

I ricordi di due anni prima si fecero sempre più vividi nella mia mente, una piccola parte di me sperava che il finale fosse diverso. Afferrai la maniglia con le dita tremanti, osservai uno scenario che nessuno mai vorrebbe ammirare.

Ciò che più temevo lo stavo osservando con i miei stessi occhi, rimasi pietrificato sulla soglia per un tempo che mi parve infinito.

Scacco matto.

Il pavimento del bagno era colmo di sangue, la luce della piccola stanza rifletteva su di esso, rendendolo lucido e impossibile da non notare.

Alzai gli occhi da cui ormai sgorgavano un'infinità di lacrime, l'acqua della vasca aveva assunto il colore rosso del liquido denso, il braccio inerme era l'unica cosa a fuoriuscire da quello scenario raccapricciante.

Mi precipitai sul corpo privo di sensi, cercai in tutti i modi di percepire un singolo segno, qualcosa che mi facesse capire che lei fosse ancora viva.

Il suo battito cardiaco era debole ma esistente «Chiama un'ambulanza!» urlai sperando che Lilith riuscisse ad udirmi, scostai i capelli fradici dal suo viso.

Mi inginocchiai alla sua altezza «Perdonami...» fu l'unica parola a lasciare le mie labbra. L'avevo lasciata sola, dovevo starle accanto e non l'avevo fatto.

Appoggiai la mano sulla sua guancia candida, la sua pelle risultava tiepida sotto alle mie dita. Strizzai gli occhi «Per favore... Non lasciarmi, ti prego!» le parole rilasciate dalle mie labbra, erano graffianti.

Incrementavano il bruciore estenuante, come tanti piccoli aghi conficcati nella carne «Resisti...» mormorai, i singhiozzi non volevano cessare. Appoggiai la mia fronte sulla sua, mentre le lacrime non avevano intenzione di cessare.

Per due anni avevo cercato di evitare tutto ciò, per due anni avevo cercato di non commettere gli stessi errori, tutto ciò si era rivelato un completo fallimento.

«Non lasciarmi anche tu...» la mia voce era flebile, ero riuscito ad affievolire quel macigno e in quel momento, si stava rivelando più arduo che mai.

Udire il suono delle sirene fu un sollievo, mi scostarono dal piccolo bagno facendomi sentire inerme ed era proprio ciò che ero.

Non potevo fare assolutamente nulla, se non assecondarli e sperare.

Osservare il suo corpo posto su un lettino, privo di sensi, fu come una pugnalata in pieno petto.

«È un parente?» l'uomo fece scorrere il suo sguardo su di me, scossi semplicemente il capo «Non può venire» un'altra lama sgualcì la carne a sentire pronunciare quella frase, colma di freddezza.

«Voi mi farete venire!» affermai stringendo i pugni, gli anelli metallici aderirono alle mie dita come una morsa «Mi dispiace» furono le uniche parole che mi rivolse prima di salire sul veicolo, cercai di oppormi.

Non sarebbe andata da sola, non l'avrei permesso.

Non l'avrei abbandonata.

Le avevo promesso che le sarei stato accanto, nonostante tutto e tutti. Le avevo detto che poteva contare su di me, saremmo dovuti uscirne insieme.

Ne avevo già infrante molteplici, non se ne sarebbe aggiunta un'altra. Le braccia di Lilith si avvolsero intorno ai miei fianchi, impedendomi di correrle incontro.

«Dylan!» riconobbi la voce di Noah, alzai lo sguardo e bastò puntare i miei occhi nei suoi. Non servirono ulteriori spiegazioni.

Cercai di dimenarmi inutilmente, non mi sarei arreso, avrei dovuto proteggerla ad ogni costo. Avrei dovuto proteggerla da sé stessa.

«È inutile» udire la voce spezzata di Lilith, incrementò soltanto la mia rabbia smisurata nei confronti di Alex. Le mie dita aumentarono la presa stretta, non diedi importanza agli anelli che si strinsero maggiormente intorno alle mie dita.

Mi sentivo nuovamente impotente, come se non avessi più il controllo della mia vita.
Una marionetta pilotata dal cosiddetto fato.

×××
Ricordo che ogni fatto all'interno della storia, non è messo in modo casuale.

Detto ciò spero di avervi fatto impersonificare nelle mie parole, nonostante il capitolo non mi convinca più di tanto.

Mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma non avrebbe avuto senso dividerlo in due parti.

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