[Trentacinque]
𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 ➙
Dylan.
La rabbia riprese a scorrere repentina all'interno nelle mie vene, non appena la porta d'ingresso si aprii, mostrandomi Alex sulla soglia.
Il suo viso era sommerso dalle lacrime come un fiume in piena, davanti a quella visione, persi la lucidità che avevo acquisito dopo tanti sforzi, soltanto con l'aiuto di Lilith.
Il suo sguardo era inchiodato al pavimento, avrei voluto che alzasse quei dannati occhi, per poter incastrare le mie iridi colme di ira nelle sue.
I miei muscoli si irrigidirono, le dita si chiusero in un pugno serrato, gli anelli aderirono alla carne dopo quella pressione, la mia mascella era contratta.
Accadde tutto all'improvviso, in una manciata di secondi, non ebbi nemmeno il tempo di realizzare le mie intenzioni. Ero una dannata bomba ad orologeria, pronta ad esplodere senza il minimo preavviso.
Da quell'istante nulla mi fu chiaro, iniziai a vedere soltanto buio intorno a me, nessuna luce fioca lontana, nessuno spiraglio a cui aggrapparsi, soltanto tenebre.
Probabilmente accecato dalle mie emozioni, eppure stava accadendo qualcosa di insolito, ero totalmente distaccato da ciò che era la realtà.
Un ricordo riaffiorò a galla, una voce si fece limpida all'interno della mia mente senza un apparente motivo.
«O'Brien! Sappi, che ti toglierò tutte le persone a cui tieni. Proprio come tu mi hai tolto ogni singola cosa! Non la passerai liscia, ricorda: Evans mantiene sempre una promessa.»
I suoi occhi rimasero incastrati nei miei, la sua mano cingeva fortemente il colletto della mia maglietta.
Sbarrai gli occhi udendo la voce di Lilith in lontananza «Dylan! Fermati!» quelle parole mi riportarono violentemente su ciò che stava effettivamente accadendo.
Le sue dita avvolsero il mio polso facendomi interrompere ogni azione compiuta, o con l'intento di portare a termine. Quel singolo contatto era risultato come una scarica elettrica sulla mia pelle, come se potesse ustionarmi.
Scostai il braccio subito dopo, realizzando ciò che stavo per fare, realizzando che Alex non avesse nessuna intenzione di placarmi. Attendeva soltanto che agissi nei suoi confronti, che sfogassi la mia ira su di lui. Non si sarebbe opposto, tanto meno avrebbe cercato di proteggersi.
Rimasi pietrificato con le labbra leggermente schiuse, la nostra mente è il nemico che più dobbiamo temere ed io, avevo ceduto per l'ennesima volta perdendo il lume della ragione.
Lilith si era posta tra noi due, cercando di farci evitare ogni tipo di scontro, senza avere la certezza che avrei lasciato scivolare dalle mie dita, la maglietta del mio amico.
Non aveva certezze, non poteva sapere cosa mi ronzasse per la mente, non me ne capacitavo nemmeno io, ma lei non aveva esitato ad opporsi.
Incastrai le mie iridi color nocciola nelle sue smeraldine, sotto lo sguardo attento dei presenti. Cercavo di donare una spiegazione logica, che avesse un senso, a ciò che era appena accaduto.
Il silenzio assordante calato su di noi, si stava rivelando fin troppo rumoroso.
Mi allontanai non riuscendo più a sopportare, presi posto su una sedia bianca di plastica, presente sul balcone. Estrassi il pacchetto e l'accendino, dalla tasca dei pantaloni, i miei pensieri stavano iniziando a soffocarmi.
Posizionai la sigaretta tra le labbra, il mio sguardo era catturato dalla fiamma al contatto con il tabacco. Il fumo mi riempì i polmoni in breve tempo, spostai l'attenzione sulle mie mani che cominciarono a tremare leggermente.
Le parole che mi rivolse Marshall quel giorno, continuavano a ripetersi come un'odiosa cantilena, a tratti con delle immagini fisse di ciò che era accaduto due anni prima.
Il brusio proveniente dal salotto giungeva ovattato alle mie orecchie, tanto da non riuscire a distinguerne l'origine. Sorressi la nuca con l'aiuto delle mani, facendo leva sulle gambe «Dylan?» nuovamente, la voce flebile di Lilith si espanse attorno a noi.
Le parole si rifiutavano di abbandonare le mie labbra, fuoriuscivano soltanto delle lettere sconnesse tra loro. L'ossigeno sembrava non aver intenzione di entrare nel mio corpo, ero consapevole di cosa stesse per accadere.
Ma non potevo permettermelo, non davanti a lei, ancora.
La sigaretta scivolò via dalle mie dita.
Si sedette di fronte a me, senza pronunciare nulla. In fondo era vero: si finisce sempre per stare in silenzio, quando si hanno troppe cose da dire.
Quella maledetta volta, l'attacco si stava presentando più irruente del solito. Temevo di non poterlo controllare, ne ebbi la conferma pochi istanti dopo, quando le lacrime presero a rigarmi il volto.
Le mani della rossa, si appoggiarono esitando sulle mie guance umide, rimasi sorpreso da quel gesto poco pensato «Guardami» quella, fu l'unica parola che pronunciò con tanta durezza.
L'assecondai sperando di scovare in lei, un qualcosa che mi facesse sentire bene.
Le nostre fronti rimasero in contatto così come i nostri sguardi «Non perdere il controllo, resta lucido» la sicurezza che tendeva a mostrare, si era dissolta.
La sua voce tremava come se avesse paura di me, se mi fossi lasciato sopraffare, non potevo lontanamente immaginare come si sarebbe conclusa la vicenda. I suoi occhi erano velati di lacrime, stava cercando di non cedere.
Avrei voluto rifugiarmi tra le sue braccia, lasciarmi andare fino a svuotarmi ma non riuscii a fare nulla. Rimasi paralizzato soltanto all'idea, di aver già vissuto una scena simile in passato.
Il terrore scorreva libero all'interno del mio corpo, il mio viso ormai era come un fiume in piena. Ritrassi all'istante la mano, come se fosse un gesto automatico, quando Lilith cercò di creare un ulteriore contatto.
«Ho paura di farti del male...» sibilai ammettendo la realtà, temevo di poterla rovinare soltanto sfiorandola. Non riuscii a decifrare l'espressione dipinta sul suo volto ma, avevo constatato che non aveva intenzione di darmi retta.
Le sue dita si spostarono sul dorso della mia mano, «Sono certa che non accadrà» rispose con convinzione lasciando intravedere un sorriso.
«Lilith...» mormorai lasciando che le parole, finalmente, uscissero dalle mie labbra senza alcun ritegno. Era inutile, ormai, sopprimere ciò che più mi tormentava «Hai ancora visto Marshall?» rimase interdetta qualche secondo, alla mia domanda fuori luogo, prima di scuotere il capo.
«Se dovesse dirti, o farti qualcosa... tu me lo diresti, vero?» la rossa annuì con semplicità alla mia domanda, sospirai profondamente «Ne sei certa?» corrugò la fronte senza comprendere «Certo, Dylan» mi avvicinai a lei stringendola in un abbraccio, dopo quella sua affermazione.
Socchiusi gli occhi «Non... non voglio perderti» la mia voce era flebile e spezzata, tanto che non ero sicuro che mi avesse udito.
Allontanarla non sarebbe servito, avrebbe soltanto fatto precipitare la situazione. Quel bastardo se ne sarebbe approfittato, come aveva già fatto una volta, mi ero imposto che non avrei più ripetuto gli stessi errori.
Non sarei riuscito ad osservare un'altra volta, quei lividi violacei presenti sulla pelle, la sera della festa. Mi allontanai da lei dopo un tempo indefinito, accesi un'altra sigaretta chiudendo gli occhi per una manciata di secondi.
Nessuno di noi aveva toccato cibo o tanto meno aveva intenzione di farlo, il mio stomaco si stava contorcendo su se stesso.
L'accaduto ci aveva destabilizzati, nessuno di noi era realmente pronto ad affrontare una cosa simile. Nonostante fossimo consapevoli della situazione, era impossibile accettarlo.
«Guarda!» la voce di Lilith mi distolse bruscamente dai miei pensieri, i suoi occhi vitrei brillavano di luce propria. Il mio sguardo si spostò sul suo braccio, per poter capire cosa stesse indicando.
«Sono bellissime...» mormorò, quella sera erano presenti numerose stelle, tanto da nascondere quasi completamente il cielo cupo.
Esse emanavano una luce fioca, erano come una lama affilata che sgualciva il manto bluastro.
Le mie labbra si incurvarono in un piccolo sorriso, avrei voluto dirle che lei, infondo, era un po' come quei corpi celesti.
Ma non lo feci.
Mantenni il silenzio scrutandola meticolosamente, appariva come una bambina, così pura da avere il timore di poterla sporcare. Era rapita da quello scenario naturale, che si stava manifestando davanti ai nostri occhi.
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