[Trenta]
𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 ➙
Dylan.
Il rumore insopportabile della sveglia rieccheggiò nella camera, mugugnai tastando il comodino alla ricerca del cellulare con ancora gli occhi chiusi.
Dopo svariati minuti mi arresi sedendomi sul letto, mi passai le mani sul viso realizzando ciò che era accaduto. Ero riuscito a dormire senza fare incubi «Lilith» biascicai sbadigliando.
«Sei riuscita a dormire? Come stai?» accennò un sorriso sedendosi accanto a me, non avrei augurato mai a nessuno ciò che stavo passando da ormai due anni.
I suoi occhi erano colmi di paura il giorno precedente, aveva lasciato frantumare quei muri che si era creata attorno. Non avevo intenzione di farle considerare inutile tutto ciò «Si e non lo so» sussurrò poco prima di sospirare.
«Andiamo a fare colazione poi si vedrà» asserii intuendo a cosa si riferisse, prima di recarci a scuola saremmo dovuti passare da casa sua. Non avevo idea di cosa fosse accaduto o stesse accadendo e di certo non l'avrei obbligata a parlarmene, ma non l'avrei abbandonata.
Presi posto su una sedia di legno che contornata il tavolo «Ciao mamma» si avvicinò lasciandomi un bacio umido sulla fronte, passai una mano tra i capelli mori sprofondando nei miei pensieri.
La preoccupazione scorreva nel mio corpo incessantemente «Lilith?» la voce di madre mi riportò nella realtà «È in bagno, tra poco arriva» mi morsi nervosamente il labbro inferiore cercando di fare chiarezza nella mia mente.
Mi diressi verso i fornelli con l'intenzione di preparare il caffè «Cos'è accaduto?» scossi la testa come risposta, non sapevo chi o cosa l'avesse spinta ad andarsene di casa.
«Buongiorno cara» accennai un sorriso dopo le parole di mia madre, avevo sempre amato la sua dolcezza e premurosità smisurata. Si sedette accanto alla rossa «Vuoi mangiare qualcosa?» Lilith scosse la testa prima di mormorare un no.
Quelle mura che si innalzano intorno a noi ogni volta che ci chiudiamo in noi stessi, portano ad allontarsi chiunque cerchi di starci accanto. Inizi a vivere in una bolla dove sei estraniato dalla realtà credendo che essa sia dannosa, quando in realtà bisognerebbe essere spaventati da noi stessi.
Da tutti quei pensieri che formula ripetutamente il nostro cervello, avrei voluto sapere a cosa stesse pensando in quel momento Lilith.
Quella ragazza che si era insinuata nella mia vita come un fulmine a ciel sereno, senza rendersene conto si era infiltrata in quei muri che avevo costruito.
Avevo sempre avuto la paura di perdere chi avevo accanto e di rimanere solo, forse perché non c'ero mai stato o forse... rimanere con me stesso era ciò che mi conferiva quel terrore.
Non avrei commesso gli stessi errori, non sarei rimasto ad osservare inerme il ripetersi della storia. Non sarei mai riuscito a perdonarmelo.
«Faccio io, tesoro» mia madre si avvicinò a me ed io presi posto accanto a Lilith, rimasi qualche istante ad osservarla prima di riuscire a proferire parola «Sei preoccupata?» si limitò ad annuire.
Girai la sedia nella sua direzione per cercare di guardare quegli smeraldi «Non sei sola, lo sai?» mormorai, era ciò che pensavo realmente. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di aiutarla come lei stava ancora facendo, inconsciamente, con me.
Le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso «Se sarà necessario entrerò con te» incastrò le sue iridi verdi nelle mie «Davvero» proseguii.
Mia madre posizionò la tazzina di ceramica sul tavolo, la afferrai tra le dita iniziando a sorseggiare il liquido marroncino. Puntai gli occhi sull'orologio «Vado a prepararmi» annunciai dirigendomi in camera.
Aprii le ante dell'armadio afferrando i primi capi che trovai dopodiché entrai in bagno, mi sciacquai il viso con l'acqua gelida che sgorgava dal lavandino.
Rimasi ad osservare per qualche secondo la mia figura riflessa nello specchio situato dinanzi a me, feci leva sulle braccia appoggiate sui bordi del lavandino bianco.
Era accaduto per la seconda volta.
Lei mi stava salvando da me stesso.
Scossi lievemente il capo cercando di allontanare quei pensieri, mi cambiai frettolosamente prima di afferrare lo zaino e recarmi dall'entrata dell'abitazione.
Quando approdai in cucina Lilith e mia madre smisero di parlare, corrugai la fronte «Andate ragazzi, o farete tardi!» dopo aver pronunciato quella frasi si avvicinò a me, mi lasciò un dolce bacio sulla guancia.
Afferrai il pacchetto di sigarette estraendone una, la infilai tra le labbra osservando il tabacco ardere a contatto con la fiamma. Il fumo scese indisturbato fino ai polmoni riempiendoli, agii d'impulso accostando nel bel mezzo del viale alberato.
La rossa si girò verso di me con sguardo interrogativo «Faremo tardi» sussurrò cercando di non incrociare i miei occhi «Non importa» asserii.
«È complicato starmi accanto, ne sono consapevole. C'è un lato di me che si frantuma e cade a pezzi ed è la parte che nessuno vede. Tu mi sei stata accanto ed io voglio ricambiare, non meriti di stare male. Non ripeterò gli stessi errori, non più.»
Il bruciore aumentò propagandosi nella trachea, gli occhi iniziarono a pizzicarmi e le lacrime minacciavano di uscire «Ho paura» mormorò distogliendo nuovamente lo sguardo «Anch'io, in realtà la paura di fallire non mi ha mai abbandonato. La paura di ricadere nuovamente in quel limbo di incertezza che mi paralizza, mi incatena per giorni nel letto a chiedermi che cos'abbia di diverso rispetto alle altre persone.»
Feci un ultimo tiro dalla sigaretta prima di concludere «Forse è meglio avere paura insieme, no?» scrollai le spalle ignorando il bruciore ormai persistente, si fiondò tra le mie braccia scoppiando in un pianto liberatorio.
Avvolsi le braccia intorno a lei sospirando «Entri con me vero? Non lasciarmi sola» quelle parole furono paragonabili ad un pugnale conficcato in pieno petto.
Non volevo più fare avvicinare nessuno a me, forse avrei dovuto lasciare perdere ma ormai c'ero dentro «Io e le promesse non andiamo d'accordo» nella mia voce si poteva percepire una nota di sarcasmo.
Eppure sapevo che non l'avrei fatto, sapevo che avrei cercato di starle accanto.
«Andiamo?» domandai passando il palmo della mano sullo zigomo, cercai di asciugare quelle lacrime che mi rigavano il viso senza alcun controllo.
Vivevo con il terrore di poter ferire altre persone e puntualmente mi dimostravo un grandissimo incoerente, non avrei sopportato un'altra perdita a causa mia.
Mantenemmo il silenzio fino alla destinazione, Lilith accostò davanti ad un cancello di metallo tenendo lo sguardo basso.
Non riuscivo a comprendere cosa fosse accaduto la sera precedente, qualsiasi cosa fosse l'aveva frantumata.
Socchiuse gli occhi come se si stesse preparando ad affrontare qualcosa, strinsi le labbra riuscendo a compiere un unico gesto.
Mi avvicinai a lei di poco permettendo alle nostre mani di sfiorarsi, sospirai incrociando le nostre dita in una presa serrata.
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso, il suo dito si posò facendo una leggera pressione sul citofono situato dinanzi a noi. Si morse nervosamente il labbro inferiore attendendo una risposta, il rumore di un lieve scatto si propagò intorno a noi.
Aumentai la stretta tra le nostre mani mentre ci avviammo verso l'entrata principale, non sapevo a cosa avrei assistito.
Comparve un uomo sulla quarantina, i capelli castani erano colmi di gel. Si precipitò da Lilith stringendola tra le braccia «Allora stai bene! Io e tua madre ci siamo preoccupati» le nostre dita si allontanarono creando nuovamente distanza tra noi.
«Magari tu eri preoccupato, non mia madre. Vado a prepararmi» rispose fredda come non l'avevo mai vista prima d'ora, si allontanò dalle braccia di suo padre senza alzare lo sguardo.
Rimasi in silenzio senza sapere cosa dire, intromettermi non sarebbe stata un'ottima scelta. Tutto quello non mi riguardava minimamente «È stata con te?» alzai lo sguardo verso l'uomo, sul suo viso vi era dipinto un sorriso. Mi limitai ad annuire e comunicargli il minimo indispensabile «Aveva il cellulare scarico.»
Trascorsero alcuni minuti «Vuoi qualcosa ragazzo?» scossi lievemente il capo «No, grazie» cercai di ricambiare la gentilezza e l'educazione che mi rivolse.
Qualcosa non mi tornava.
Suo padre era preoccupato seriamente per sua figlia, glielo si leggeva negli occhi. Eppure lei era spaventata all'idea di ritornare a casa.
La osservai arrivare «Hai compiuto un gesto avventato, Lilith» qualsiasi genitore si sarebbe allarmato. Ma cosa l'aveva spinta ad andarsene?
In breve tempo tutte le domande trovarono risposta e tutto fu chiaro.
«Tua moglie potrebbe trattarmi diversamente ma tanto è inutile parlare con lei, vive nelle sue convinzioni» pronunciò quella frase a denti stretti. Mi ritrovai ad assistere alla scena inerme, senza avere la possibilità di agire in alcun modo.
Suo padre si avvicinò a lei prima di ribattere «Non pensa veramente ciò che dice» Lilith strinse le dita in pugni serrati mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime.
«Non me ne frega un cazzo! Le parole hanno un peso, lei non fa altro che ritenermi un fottuto sbaglio. Una malata che non farà mai nulla nella propria vita, io dovrei ignorare tutto ciò? Fa male papà.»
Le lacrime iniziarono ad attraversarle il viso dopo essersi depositate sulle ciglia «Io vado, salutami tutti» sputò acida, avvolse le sue dita intorno al mio braccio trascinandomi dietro di sé. Ignorò spudoratamente suo padre mentre ci allontavavamo dall'edificio.
Lasciò la presa quando fummo abbastanza distanti, mi sentivo nuovamente lontano da lei nonostante stessimo camminando uno accanto all'altro.
Posizionai una sigaretta tra le mie labbra, conoscevo il suo sguardo. Era assente, seppellita dai suoi pensieri.
«Non avrei dovuto trascinati in tutto ciò» mormorò cercando miseramente di sopprimere un singhiozzo «Sono io che non volevo lasciarti sola, tu non hai colpe» asserii.
Feci un tiro, il tabacco attraversò la mia gola donandomi la solita sensazione di bruciore «Probabilmente lei ha ragione» sgranai gli occhi a quella sua affermazione, mi posizionai di fronte a lei impedendole di proseguire.
«Un figlio non è mai un errore» alzò lo sguardo «Io si» mi sorpassò a passo svelto «Come mi definiresti? Guardami» la sua voce era flebile, sarebbe bastato un soffio di vento per poterla spezzare.
Feci scorrere lo sguardo su di lei «Rara» sussurrai, il silenzio ci abbracciava e non fu complesso udire la mia voce. Accennò una risata amara come se non credesse alle mie parole «Lo dici solo per farmi stare meglio.»
Lasciai cadere il mozzicone sull'asfalto «Sto imparando a conoscerti, per questo lo dico. Perché se l'unica persona che è entrata in contatto con la parte di me che è nascosta agli occhi degli altri, oltre a lei. Perché nonostante ti abbia urlato contro sei rimasta, nonostante abbia cercato di cacciarti diverse volte.»
Deglutii a fatica ad ogni parola che abbandonava le mie labbra «Perché hai un cuore immenso, talmente tanto che sei stata disposta ad aiutare uno come me. Perché nonostante tutto sei fragile e forse perché alcune cose non si possono spiegare. Non c'è una logica in tutto.»
Percepivo le lacrime abbandonare i miei occhi stanchi «Non hai fatto niente di sbagliato se non imbatterti in un casino come me» accennai una risata amara permettendo alle emozioni di prendere il sopravvento.
«Lo pensi davvero?» si girò verso di me «Perché dovrei mentirti? A che scopo?» le sue labbra si incurvarono in un sorriso, il sorriso più gratificante che abbia mai visto.
La raggiunsi cercando di trattenere ulteriori lacrime «Non sminuirti, per favore» mormorai, era tutto così familiare da suscitare emozioni contrastanti all'interno del mio corpo.
Avvicinai le dita alla sua guancia asciugando le ultime lacrime che le accarezzavano la pelle, estrassi il mio cellulare dalla tasca udendo la suoneria.
Osservai il nome sul display prima di rispondere alla chiamata «Hai visto Lilith?» intuii che Noah si trovasse con Audrey, traspariva preoccupazione dalla sua voce.
Sospirai cercando di usare un tono di voce privo di qualsiasi emozione «Si, è con me. Arriviamo» riattaccai dopo averlo salutato, riprendemmo il nostro cammino mantenendo il silenzio.
Il mio sguardo scorreva fugace sugli alberi posti ai lati della strada prima di depositarsi per qualche secondo su Lilith, tenni l'ennesima sigaretta tra le labbra prima di accenderla «Fa male fumare così tanto» la sua voce uscì flebile, scrollai le spalle prima di aggiungere «Anche rimuginare troppo eppure tu lo stai facendo» accennò un sorriso distogliendo nuovamente lo sguardo.
Accostai davanti alla macchinetta, selezionai il pacchetto mentre la voce metallica si espanse nel vicolo «Nell'intervallo se vuoi parlare, sai dove trovarmi» affermai propenso ad andare verso l'entrata «Aspetta» mormorò facendomi voltare verso di lei.
Attesi qualche istante senza ricevere una continuazione «Vieni?» annuì seguendomi verso il cancello d'entrata «Cerca di focalizzare la tua attenzione su altro ad esempio, non mi hai ancora detto qual è il tuo animale preferito» riuscii a strapparle un sorriso «Lupo.»
Iniziai a scorgere in lontananza il nostro gruppo di amici radunati al solito punto di ritrovo «Musica?» continuai a porle domande esattamente come la sera precedente, sembravano banali e a dir la verità alcune lo erano.
Eppure era il modo più efficace per portare la mente altrove «In realtà ascolto un po' di tutto» asserì «Allora canzone preferita» mi scrutò per qualche istante prima di rispondermi «Parasite Eve» le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
Sgranai gli occhi «Non ti facevo da Bring Me The Horizon» scrollò le spalle «Solitamente Audrey cerca di convincermi ad ascoltare le sue» fece una smorfia che mi procurò una leggera risata «Non farti corrompere» esordii.
«Lilith!» Audrey corse tra le braccia della sua migliore amica «Perché non mi hai risposto?» iniziò a riempirla di domande com'era normale che accadesse «Avevo il telefono scarico» mormorò.
Alex si avvicinò a me a passo svelto con gli occhi velati dalle lacrime «Ho bisogno di parlarti.»
×××
Ho scritto un po' troppo sta volta, mi sono fatta trascinare :')
La canzone a inizio capitolo trovo che si abbini perfettamente sia con la storia in sé ma soprattutto con il capitolo in questione.
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro