[Sedici]
𝐒𝐜𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐝𝐞𝐨 ➙
Dylan.
Mi sedetti sul solito muretto permettendo al freddo gelido di quel mattino di penetrarmi fino alle ossa, estrassi una sigaretta dal pacchetto notando che era quasi giunto al termine. La portai alle labbra accendendola con noncuranza, il fumo entrò nel mio corpo indisturbato. Mi concentrai sul testo di "Broken" che mi accarezzava le orecchie tramite le cuffiette, quelle parole mi sfioravano l'anima come ogni dannata volta. Quella canzone sembrava descrivermi alla perfezione, è incredibile come degli sconosciuti con un microfono tra le dita, possano capirti meglio di chi ti sta accanto.
Il bruciore rilasciato dalle ferite aumentò a causa del freddo, sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla sinistra. D'istinto tolsi la cuffietta alzando lo sguardo, era presto quella mattina e non avevo idea di chi potesse essere. Incrociai due smeraldi che mi scrutavano attentamente, corrugai la fronte trovando Lilith ed Audrey. Aspirai profondamente «Ciao Dylan» rimasi in silenzio rispondendo con un lieve gesto del capo prima che la mora prendesse parola «Grazie per averla aiutata» scrollai le spalle mentre il mio sguardo fu catturato da quell'essere deplorevole.
Non perse tempo nell'avvicinarsi alla rossa accanto a me, accennai un sorriso beffardo notando come l'avevo ridotto «Bel naso, rinoplastica?» mi trucidò con lo sguardo prima di avvicinarsi a Lilith con aria pentita, avrebbe potuto ingannare chiunque, ma di certo non me. Osservai ogni suo singolo movimento prima di buttare la sigaretta sull'asfalto bagnato, quel contrasto rilasciò un lieve rumore che si udì con facilità dato il silenzio che ci circondava. Scattai in piedi pronto ad intervenire «Lilith, devi credermi. Mi dispiace..» l'attore era la parte che gli si addiceva, oltre al ruolo del viscido verme.
Non esitai nell'avvolgere le mie dita intorno al polso di Marshall in una presa serrata impedendogli il contatto con Lilith, il dolore alle nocche si espanse ma non ci diedi importanza. Ci guardammo con una rabbia smisurata per un tempo indeterminato «Lasciami O'Brien» si rivolse a me a denti stretti serrando la mascella «Noto che non ti è bastato sabato sera» continuai a provocarlo, a infierire con totale indifferenza. Avrei voluto che provasse anche solo una minima parte del dolore che mi logorava ogni giorno da ormai due anni, continuavo a stringere il suo polso sentendo gli anelli metallici aderire maggiormente alle mie dita.
Solo pensando alle sue azioni ignobili sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, una voglia irrefrenabile di rovinargli quel viso si impossessò del mio corpo, scaturita dalla rabbia che cercava una scappatoia per poter fuoriuscire. Cercava di divincolarsi inutilmente «Non ho tempo di giocare con un perdente come te, conserva i tuoi sensi di colpa per la prossima volta» quelle frasi uscirono dalle sue labbra come se fossero veleno, bastò quello per farmi esplodere.
Cercai di non perdere il controllo mentre le parole fuoriuscirono come lame taglienti «Hai ragione, non sono io quello che deve tormentarsi. Dovresti essere tu ma a quanto pare ti importa solamente di te stesso» sorrisi amaramente prima di proseguire «Mi crei ribrezzo, dopo tutto quello che hai fatto non riesci ancora a renderti conto delle tue azioni. Per non dimenticare le sentenze che ti sei subito in tribunale in quanto colpevole, non pensi di aver creato innumerevoli sofferenze? Ma nonostante tutto continui a vivere la tua vita come se nulla fosse scaricando le tue colpe sugli altri!» alzai il tono della voce ignorando le persone intorno a noi, sentivo i loro sguardi osservare curiosi quello spettacolo che stavamo dando.
Mollai la presa mantenendo il contatto visivo, i miei occhi ripresero a pizzicarmi udendo le sue parole «Questa rabbia dovresti nutrirla nei tuoi confronti, non ti sei nemmeno accorto di quanto soffrisse la tua ragazza» ghignò sapendo di aver colpito il segno. Lo spintonai rivolgendogli un'ultima occhiata truce, non gli avrei concesso di scoprire le mie fragilità, di vedermi vulnerabile a causa delle sue azioni. Mi allontanai a passo svelto dirigendomi verso il distributore, infilai l'ultima sigaretta del pacchetto tra le labbra. Sorpassai senza la minima considerazione i miei amici diretti verso il cancello d'entrata, sentivo i loro sguardi preoccupati concentrarsi su di me.
Necessitavo in modo smisurato della nicotina all'interno del mio corpo, di un qualcosa che mi permettesse di mantenere il controllo, di non eccedere. Iniziai ad udire dei passi alle mie spalle senza darci troppo peso, dentro di me speravo che non fosse quel bastardo. Cercai di cacciare quelle lacrime che minacciavano di uscire senza risultato, iniziarono a rigarmi le guance una dopo l'altra tracciando un sentiero sottile. Alcune si depositarono sulle labbra lasciandomi un gusto salato, mi fermai davanti alla macchinetta selezionando il pacchetto di sigarette. La voce robotica emessa da quell'aggeggio si espanse nel vicolo, mi chinai afferrando il pacchetto fuoriuscito «Dylan..» riconobbi la voce di Lilith alle mie spalle.
Farmi vedere in quelle condizioni era come esporre una parte di me, una parte vulnerabile non accessibile a tutti. Passarono alcuni minuti, non mi voltai finché non smisi completamente di versare lacrime. Aspirai dalla sigaretta appoggiandomi al muro retrostante «Perché mi hai seguito?» mormorai senza riuscire a guardarla negli occhi, un soffio lieve quasi inudibile «Io..» farfugliò parole sconnesse senza fornirmi una vera e propria risposta. Il mio sguardo era perso nel vuoto quando il telefono iniziò a vibrare, lo presi tra le dita prima di rispondere ad Aria.
Dove sei?
Dal suo tono di voce traspariva preoccupazione, d'altronde poco prima li avevo ignorati spudoratamente mentre il mio viso sembrava il letto di un fiume. Sospirai prima di rispondere che non avremmo tardato nel raggiungerli all'ingresso, la sua voce risuonò forte e chiara.
Tu e chi?
Riattaccai semplicemente «Nell'intervallo raggiungimi, la tua amica sa dove vado a fumare. Sempre se ti va» annuì a quelle mie parole senza aggiungere altro, iniziammo ad incamminarci verso l'entrata cullati dal vento gelido. Sentivo i suoi occhi scorrere su di me «Perché vi odiate così tanto? Insomma..» la interruppi, non avrei risposto a quella domanda così spontanea. Aveva toccato un tasto dolente, sarebbe venuta a conoscenza dei miei demoni interiori e di quel passato che in realtà non passa mai. Restammo in silenzio per quel breve tratto di strada, raggiungemmo il cancello giusto in tempo.
Il suono metallico della campanella iniziò a diffondersi, ci addentrammo in quell'edificio ormai troppo familiare. Non rivolsi la parola a nessuno, non ne sentivo la necessità. Mi sedetti al banco preparandomi a due ore della mia materia preferita: letteratura.
Iniziò ad alzarsi un brusio alquanto fastidioso all'interno della classe «Vorrei farvi notare la mia presenza» asserì il professore, la sua espressione emanava puro nervosismo. Fece scontrare la sua mano sul legno della cattedra creando un tonfo, sussultai leggermente per la sorpresa.
Con quel gesto piombò il silenzio assoluto «O'Brien, l'ultima volta abbiamo visto Giacomo Leopardi. Le va di esprimere un'opinione a riguardo? Magari su una sua opera» notai gli sguardi rivolgersi a me, sospirai prima di sorprendere tutti, iniziando a parlare «Le opere di cui vorrei parlare in realtà sono due, la quiete dopo la tempesta e A Silvia» il professore mi invitò a proseguire. Iniziai a giocherellare con gli anelli «Analizzando la prima, si può notare un'affermazione di Leopardi stesso: il senso della vita sta nella morte. Poiché la vita non avendo alcun senso positivo, i sentimenti e i desideri vengono visti come fonte di illusioni dalla quale l'uomo deve liberarsi per non diventare ancora più infelice» rimasi impassibile senza far trasparire alcuna emozione.
«La felicità si ottiene dopo un superamento di un pericolo o un dramma, l'uomo non deve provare timore di fronte ad essi ma semplice rassegnazione. Viene vista come una sorte di liberazione definitiva dal peso della vita. Per quanto riguarda A Silvia: Leopardi tende ad evidenziare, rifiutandolo radicalmente, il desiderio umano di felicità destinato a rimanere inappagato come se la natura avesse voluto beffarsi degli uomini. Come dice il poeta stesso "la natura non rende quel che promette", Silvia è morta in giovinezza così come la speranza del poeta è caduta prima di realizzarsi.» sentivo gli sguardi ardere prepotentemente sulla mia pelle come se avessi appena rivelato di essere un alieno «Complimenti O'brien, qualcun'altro vuole provarci?»
Mi immersi nuovamente nei miei pensieri, Silvia mi ricordava tremendamente Julie. Strappata dalla vita in piena giovinezza lasciando un vuoto incolmabile nelle nostre vite, come se quell'illusione di felicità si fosse dissolta davanti ai miei occhi.
×××
Eccoci, perdonate gli errori ma sono davvero stanca!
Domani cercherò di rileggere e sistemare.
Ovviamente non poteva mancare Giacomo Leopardi in una mia storia :')
Fatemi sapere cosa ne pensate, spero che questo capitolo non risulti troppo pesante!
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