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67- Domande senza risposta


La poca voglia di dormire, quella notte, mi diede modo di pensare a tante cose alle quali forse non avevo mai dato peso.

C'era una cosa che avrei dovuto fare prima di pensare a me e alle mie esigenze.

Prima ancora di capire, se ed eventualmente cosa, il mio cuore volesse, era necessario chiudere con la mia vita passata.

Io non volevo nascondermi, non volevo illudere né ferire nessuno.

Prima anche solo di pensare di darmi una possibilità dovevo risolvere i miei problemi con Carmela.

Non potevo farlo per telefono, dovevo parlarle a voce.

Avevo bisogno di dirle delle cose, di spiegarle tutte le cose che non andavano più tra di noi. 

Avevo tanto rimandato quella decisione ma forse era giunto il momento.

E la spinta più grande non me l'aveva data qualcuno ma i rimorsi che mi rodevano dentro. Io a Carmela volevo bene davvero, non era mia intenzione ferirla ma continuare con quella storia avrebbe fatto del male a entrambi.

Quello che un tempo era stato amore si era trasformato in una squallida routine che pure aveva finito il suo tempo.

Ero ancora immerso nelle mie riflessioni quando mi parve di sentire un rumore. Subito sgusciai fuori dal letto, mi misi in ascolto ma tutto taceva. Uscii dalla stanza, mi guardai intorno ma tutte le porte erano chiuse. Allora scesi in sala ma, anche lì, nulla attirò la mia attenzione. Guardai l'orologio, erano le tre, diedi un'ultima occhiata in giro e mi convinsi che il rumore che avevo sentito era stato solo uno scherzo della mia immaginazione.

Tornai a letto, cercai di dormire e ci riuscii, per una ventina di minuti. Poi ancora una volta sentii qualcosa e, ancora una volta, si trattò del nulla più assoluto. 

Mi rimisi a dormire, chiusi gli occhi turbato dagli incubi e, quando alle sei e mezza riaprii gli occhi decise che fosse giunto il momento di alzarmi.

Sicuramente fuori da quel letto di spine sarei stato meglio.

Mi cambiai velocemente e raggiunsi la sala. Mentre preparavo la moka per il caffè sentii degli scricchiolii provenire dalla scala e, quando alzai gli occhi mi ritrovai di fronte al viso assonnato di Lei.

-Buongiorno- disse tenendo, volontariamente basso, il tono della voce.

-Buongiorno- risposi - caffè?-

-Magari!-

-Dormito male?-

-Malissimo, mi serve un caffè con tanto zucchero-

Mi accigliai  -Poco zucchero! Altrimenti cosa ci alleniamo a fare?-

Lei sbuffò alzando gli occhi al cielo. Finsi di non notarlo ma, quando le porsi la sua tazzina col caffè, adagiai al suo fianco anche la zuccheriera. Per quanto potessi esser fissato con la forma fisica non ero di certo un despota e, a quegli occhi assonnati, non avrei saputo negare nulla.

-Bevi in fretta che usciamo, alla colazione ci penseremo poi-  la esortai per poi scrutarla meglio  -tu vuoi uscire così?-  domandai notando il suo abbigliamento poco adatto alla corsa.

Lei si osservò i vestiti, poi tornò a guardarmi -qualcosa non va?-

-Vuoi correre in jeans? Non è comodo-

-Sai com'è, non avevo preventivato di venir qua per "allenarmi"- disse muovendo indice e medio per sottolineare quella sottile allusione.

-Aspetta un attimo-  le dissi allontanandomi verso il corridoio. Raggiunsi l'armadio a muro che se ne stava nascosto dalla scala e, tra le mille cianfrusaglie stipatevi, recuperai qualcosa che potesse fare al caso nostro.

Tornai da Lei e le porsi quei vestiti  -questi sono di Alessia, saranno di sicuro più comodi-

-Ma...- provò a ribattere.

-Cinque minuti!-  le intimai non dandole modo di continuare.

Sbuffò ancora una volta ma corse a cambiarsi e in pochi minuti fu di nuovo al mio fianco pronta per uscire.

Bastò poco per raggiungere il parco situato vicino casa. Una volta lì cominciammo con gli esercizi di riscaldamento ma ad ogni movimento i miei occhi cercavano i suoi e un sorriso nasceva spontaneo. Era così goffa, impacciata, era uno spettacolo infagottata in quei vestiti non adatti a Lei.

Cominciammo a passeggiare, poi a correre senza fretta.

Non volevo che si sforzasse, non volevo davvero farmi odiare ma volevo passare del tempo con Lei. Quel tempo che forse avevo perso sprecato in modo inutile.

Continuavo a guardarla, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso eppure c'era un particolare che stonava, qualcosa che distorceva la mia immagine di Lei.

-Perché tieni i capelli legati?- domandai.

Mi guardò contrariata  -i capelli?-  chiese  -Bhe non è facile correre coi capelli che ballano e si sparpagliano davanti agli occhi-

-Io li preferisco sciolti-  considerai  -mi piace come ti cadono sulle spalle e come ti incorniciano il viso-

Il suo sguardo era confuso ed io non riuscii a non infierire.

-Dai scioglili- la esortai sfiorandole i capelli  -possiamo anche non correre-

Lei mi fissò allibita, poi rise  -fammi capire, tu mi tiri giù dal letto all'alba, mi fai mettere questi stupidi vestiti e poi nemmeno vuoi correre?-

-Si!-  confermai -adesso via l'elastico-

Subito portò le mani ai capelli, li liberò e, in tono di sfida, chiese  -contento?-

-Adesso sei più bella-  annuii.

Il suo viso si colorò di rosso mentre i suoi occhi si allargarono quasi impercettibilmente.

-Cos'è, ti ho lasciata senza parole?-  domandai.

-Si, cioè, no-  scosse la testa continuando a guardarmi con quegli occhioni.

-Ma davvero ti imbarazzo ancora?-  chiesi lasciando andare una risata.

Non riuscì a rispondermi, riusciva solamente a fissarmi con quelle gote che ad ogni istante diventavano sempre più rosse.

Per evitare di metterla ancora in difficoltà le chiesi di seguirmi. Avevo bisogno di tranquillità e soprattutto di guardarla negli occhi.

La condussi nei pressi della grande fontana dove sul prato trovammo posto per sederci.

-Ci vieni spesso qua?- chiese.

-Di solito ci vengo solo a correre, non mi fermo mai ad osservare i particolari-

-E, oggi cosa è cambiato?-

-Ma sul serio non l'hai ancora capito?-

Scosse la testa.

Era giunto il momento di parlarle, di trovare il coraggio e dirle tutto quello che mi frullava per la testa. O almeno, tutto quello che al momento era chiaro anche a me.

Non era facile aprirmi. Con Lei di fronte mi sentivo vulnerabile e privo di tutte le barriere che ogni volta tendevo a costruirmi intorno.

Presi coraggio, un respiro e presi a parlare.

-Tra un po' riparti e ieri non siamo riusciti a parlare molto... E, niente, volevo passare un po' di tempo con te, senza nessuno intorno. A casa c'è sempre troppa gente tra i piedi-

Lei annuì, poi senza preavviso buttò lì qualcosa che mi lasciò di sasso.

-Stanotte mi sei mancato- 

Immediatamente mi voltai verso di Lei e sorrisi, perché anch'io pensavo lo stesso.

-Mi sei mancata anche tu-  dissi  -Ho fatto su e giù dalle scale tutta notte sperando di vederti uscire da quella stanza-

-Perché non sei venuto da me?- disse.

Ecco, perché?

Non lo sapevo ma sapevo quello che volevo in quel momento.

-Vieni qui- dissi invitandola a farsi più vicina.

Lei si avvicinò ed io l'abbracciai tenendola stretta. 

-Come potevo sapere che anche tu avessi bisogno di me?- domandai.

-Tu, tu avevi bisogno di me?-  domandò in un sussurro pieno di... Cos'era? Paura, timore, aspettativa.

-Si-  sorrisi  -non te ne sei ancora accorta? Come faccio a fartelo capire?-

-Ho letto la tua intervista- disse all'improvviso.

-Oh!- incespicai nelle parole - Tu... Come...-

-Andrea!-  sussurrò.

-Mi odi?-  domandai colpevole.

-No, non potrei mai-

Sospirai di sollievo e la strinsi ancora di più contro di me.

Con quelle poche parole mi aveva detto tantissimo.

Lei sapeva, aveva letto le mie parole e chissà forse le aveva capite.

Ma io volevo spingermi oltre. Volevo parlarle, volevo dirle dei miei programmi, di tutto quello che mi passava per la mente, anche per merito suo.

-Ho avuto modo di pensare molto stanotte- le dissi -ho preso una decisione importante e spero di risolvere tutto nel più breve tempo possibile perché non riesco più ad andare avanti così-

-Vuoi parlarne?-  chiese.

-Non posso, finirei per incasinare tutto ancora di più-

Lei abbassò lo sguardo mentre le mie mani presi ad accarezzare i suoi capelli.

-Grazie per essere venuta-  sussurrai.

Lei ghignò  -in realtà dovresti ringraziare i tuoi genitori che mi hanno affidato Manuel altrimenti i miei non mi avrebbero mai permesso di partire da sola. Anzi, a proposito, sai la cena a casa tua?-

Annuii.

-Ecco all'invito sono stati aggiunti anche i miei genitori-

Finalmente risi  -stiamo diventando proprio una grande famiglia  -appena torno, e sappi che cercherò di farlo il prima possibile, ringrazierò tutti- le promisi -però concedimi di riservare a te il mio grazie più grande. Tanto lo so che è da questa testolina che è partito tutto. Ma, toglimi una curiosità, quando lo hai deciso?-

-Quando mi hai riportata a casa. Ho passato la mattina a litigare coi miei poi Manuel ha avuto la fantastica idea di venire con me e, con la complicità di Alessia, abbiamo organizzato tutto-

-Non dovevi litigare coi tuoi per me-  la ammonii.

-Se non lo avessi fatto non sarei qui-

-Allora ne è valsa la pena!-

E come potevo dirle quanto ne fosse valsa davvero.

Cercai di comunicarglielo coi gesti, le presi una mano e cercai di canalizzare su di Lei tutte le mie attenzioni.

-Sono stati due giorni bellissimi, hai fatto qualcosa che mai nessuno aveva fatto per me-

-Anche tu- disse -mi hai migliorato la vita-

Quei suoi occhi...

Quei suoi occhi sembrarono riempirsi di mille sfumature, di mille colori, di un caleidoscopio di emozioni.

Rimasi incantato per un attimo, con gli occhi fissi in quei magnifici colori e mi chiesi cosa stesse accadendo al mio cuore che aveva preso a battere all'impazzata.

Ripensai ai momenti vissuti assieme, all'attimo in cui i nostri occhi si erano intrecciati mentre dalla tribuna Lei mi osservava incantata, alle parole che certe volte erano state troppe mentre altre troppo poco.

Avevo voglia di stringermela contro, di sentirla con ogni fibra, contro ogni mia aspettativa.

Non mi aspettavo sarebbe successo eppure mi sentivo legato a lei ed ogni istante questo legame sembrava rafforzarsi. Ne stavo diventando dipendente fino a non poterne più fare a meno; era come se, ormai, avessi bisogno di Lei per respirare.

Con quella consapevolezza e col profumo dei suoi capelli ad infondermi tranquillità lasciai che le mie braccia cullassero entrambi per un tempo che non saprei definire.


Quando decidemmo di rientrare ce ne tornammo a casa in silenzio, mano nella mano.

Entrammo in ascensore e subito sul suo viso si aprì un sorriso.

Capii subito dove fossero diretti i suoi pensieri, d'altronde anch'io rividi, vivide nella mia mente, le immagini di noi due in quello stesso ambiente, a prometterci un nuovo capitolo, un inizio che forse non ero stato in grado di garantirle davvero.

-Questo è uno dei miei posti preferiti-  dissi.

Lei sorrise di rimando e i nostri occhi si incatenarono.

Era così bella in quel suo sguardo sognante, era così bella che non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso, era così bella che, quando fece per varcare l'uscio, la afferrai e la riportai ad un palmo da me.

Eravamo così vicini che mi sembrava di sentirla addosso. I suoi occhi, le gote arrossate, le sue labbra. Tutto di Lei mi stava mandando in confusione.

-Stai riempiendo di te la mia vita, ti sento ovunque, in ogni spazio e in ogni pensiero eppure non mi pesa-

La sentivo davvero, mi sembrava di star bruciando per quanto sentissi la sua presenza al mio fianco.

Chiusi gli occhi e in un attimo mi ritrovai a fare qualcosa che mai mi sarei aspettato.

Spinto da chissà quale istinto avvicinai le mie labbra alle sue.

Non le toccai, non veramente, ma quel semplice contatto di labbra contro pelle mi fece sprofondare nel baratro più scuro.

Cosa diavolo mi era preso?

Cosa stavo facendo e, soprattutto, perché?

-Scusami-  borbottai abbassando lo sguardo mortificato.

Non avevo avuto il controllo delle mie azioni, non avevo tenuto conto delle mie intenzioni né avevo avuto cura di Lei che se ne stava inerte, con gli occhi vuoti e con l'espressione mesta di chi ha ricevuto un'enorme delusione.

E il pensiero di essere il veicolo di quella colpa mi fece ancora più male.

D'improvviso quell'ascensore mi sembrò strettissimo, fu come se tutta l'aria lì presente fosse stata risucchiata da una botola invisibile.

La superai allora e, tenendo aperta la porta, aspettai che anche Lei uscisse da quel vano.

Entrammo in casa insieme ma non eravamo mai stati così distanti.

Senza prestare attenzione a nulla filai in camera mia dove il silenzio assordante mi fece ancora più presente la cazzata che avevo fatto.

Cosa mi era preso?

Cosa diavolo mi passava per quella testa bacata?

Perché dovevo sempre rovinare ogni cosa?

Avevo milioni di domande che rimbalzavano nella mia testa ma nessuna risposta.

Ero solo.

Solo con un peso enorme che mi gravava sulla coscienza.



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