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66 - Possibilità

Anche se forse non ve lo dico molto spesso, vorrei ringraziarvi per essere al mio fianco sempre. In questo cammino lungo e abbastanza complesso so di ritrovarvi ad un passo da me.

Grazie!!!

Per me, che sapevo al massimo preparare un uovo sodo o, volendo esagerare, un piatto di pasta, metter su un pranzo per undici persone sembrava un'impresa quasi impossibile.

Lei, al contrario, dopo un attimo di smarrimento prese in mano la situazione e, con una concentrazione che non mi aspettavo da Lei, in poco tempo riuscì a preparare tutto quanto necessario per il pranzo.

Avevo inizialmente provato a propormi, a dare idee ma avevo ben presto capito che la mia invadenza spesso risultasse molesta. Mi limitai quindi a rimanere al suo fianco, ad assisterla e a rispondere ad ogni sua richiesta.

Ogni istante che passavo al suo fianco mi dava modo di scoprire nuove angolazioni di Lei. In quel momento era attenta, concentrata ed il modo in cui corrucciava le sopracciglia era adorabile.

Adorabile...

Chi l'avrebbe mai detto che l'avrei trovata adorabile.

Quello che ogni volta trovavo in Lei non avrebbe mai smesso di stupirmi. Era una continua scoperta, un continuo viaggio nelle sue espressioni, nelle sue stranezze. Era un viaggio che mi stava inesorabilmente portando verso di Lei.

Le fui accanto per tutta la preparazione poi, quando tutto fu pronto per essere servito, ci spostammo in tavola.

Lì eravamo ai due poli opposti, distanti ma coi sorrisi ad incontrarsi complici.

Probabilmente però tutta quella complicità non era di certo passata inosservata.

-Sono buonissimi questi pomodori- disse Adriano ad un certo punto con la bocca ancora mezza piena  -complimenti ai cuochi-

-Ma quali cuochi?-  lo canzonò Andrea -Paolo non ha fatto niente, ha solo perso tempo-

-Oi!- sbuffai cercando di darmi un tono.

-Dai sei stato un ottimo aiutante- disse Lei sorridendomi ancora.

-Tutto merito tuo-  le risposi ricambiando il suo sorriso.

-Assieme formate proprio una bella coppia- aggiunse Manuel gelando tutta la tavolata.

Stupito dalla sua affermazione mi voltai a guardarlo ma lui scrollò semplicemente le spalle con noncuranza.

Sorrisi, non prima di ritrovarmi nuovamente sotto fuoco amico.

-Dovresti venire più spesso-  disse Luigi rivolgendosi a Lei  -almeno questi ragazzi mangerebbero in modo normale-

-Già- continuò Alessia -sei proprio una donna da sposare-

-Ragazzi ma è solo una frittata col prosciutto!- rispose Lei sminuendosi come suo solito.

-Eh, sei pure modesta- aggiunse Andrea  -beato chi ti si prende! Non è vero Paolo?-

Il boccone che stavo mandando giù mi si bloccò in gola finendomi di traverso. Tossii alla ricerca d'aria mentre i miei occhi, ormai fuori dalle orbite, fissavano sconvolto le risatine divertite di tutti gli altri.

Scorsi tutti i visi presenti al tavolo, fissai in cagnesco Andrea che non riuscì a contenere una risata e passai oltre, fino a giungere al viso al quale tenevo maggiormente.

Noi vi lessi nulla. Non avrei potuto. Quel viso era rigorosamente rivolto verso il basso, gli occhi celati ai miei e la mia voglia di correre verso di Lei ed abbracciarla, portarla via da quell'imbarazzo.

Ormai avevo imparato a conoscerla, sapevo quanto non le piacesse stare al centro dell'attenzione e in quel momento il centro di tutto eravamo proprio noi.

Odiavo Andrea in quel momento, odiavo quel suo modo stupido di scherzare, di premere su punti che lui sapeva essere come ferite aperte. Eppure proprio lui, che sembrava conoscerla meglio di me, che sembrava esserle vicino in un modo speciale era la causa di quel suo turbamento.

E poi, perché lui?

Perché Andrea sembrava conoscerla così bene?

Perché ad ogni problema Lei sembrava rivolgersi a lui? E perché lui era pronto a darle conforto? Prima di tutti, prima di me?

Quegli strani ragionamenti mi provocarono un forte fastidio all'altezza dello stomaco che non seppi spiegarmi ma che mi costrinsi ad accantonare appuntandomi di parlare ad Andrea il prima possibile.

Per fortuna quel pranzo finì nel migliore dei modi, con tutti soddisfatti che presto tornarono alle proprie occupazioni.

Mentre i nostri ospiti si defilarono e Alessia e Adriano si proposero di riordinare, io, Andrea e Manuel ci fiondammo sul divano.

Lei se ne rimase in disparte, seduta alla penisola, forse persa nei suoi pensieri.

Ad un tratto sentii Alessia richiamarne l'attenzione.

-Più tardi ce ne andiamo al centro commerciale? Abbiamo bisogno di un vestito-  disse.

Non riuscii a resistere e subito mi proposi  -veniamo anche noi-

-Noi?-  domandò Alessia incuriosita.

-Si, veniamo tutti. Facciamo anche un po' di spesa- dissi riuscendo a salvarmi dal fare la figura del pazzo.

-Ok, come vuoi!- rispose Lei con un sorrisetto compiaciuto che non prometteva nulla di buono.

Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe.

Mi stavo cacciando in un gran bel guaio senza neanche rendermene conto.

La sola idea di passare del tempo lontano da Lei mi aveva fatto scattare qualcosa dentro. E quel qualcosa mi aveva spinto a parlare, a propormi in quel modo stupido.

Forse stavo impazzendo o forse ero già impazzito ed era troppo tardi per preoccuparsene.

Questi miei pensieri furono rapidamente interrotti da un'immagine che si presentò dinnanzi ai miei occhi.

C'era Lei che si apprestava a raggiungere il piano superiore ed Andrea che scattava per correrle dietro.

La raggiunse a metà scalinata e le disse qualcosa che non riuscii a sentire.

Quella fastidiosa sensazione alla bocca dello stomaco tornò a farmi visita. Senza pensarci su due volte li seguii, percorsi le scale e mi ritrovai sul pianerottolo in attesa di chissà cosa.

Feci avanti e dietro un paio di volte dandomi mentalmente dello stupido. 

Chissà cosa credevo di trovare in quel corridoio, chissà cosa stessero facendo quei due, chissà cosa mi era preso.

Stavo quasi per mollare, per ritornare sui miei passi quando mi trovai di fronte Andrea.

-Ehi-  disse chiudendosi la porta alle spalle.

-Ehi-  risposi vistosamente in imbarazzo.

-Che... Cosa fai tu qui?-  chiese indicandomi con un'espressione indecifrabile in volto.

-Ehm... Io... Stavo andando in bagno, si-

Lui ristette per un attimo poi scoppiò vigorosamente a ridere.

Lo guardai esterrefatto ma fu lui a rispondere alla domanda che non avevo avuto il coraggio di porgli.

-Sei un cretino!-  disse.

La mia espressione non cambiò di una virgola, anzi forse si incupì maggiormente.

-Un grandissimo cretino-  rincarò la dose.

-Mi hai seguito-  disse con fare ovvio.

-Ma cosa dici? Io non...-

-Paolo, smettila-  sorrise  -ti conosco e, ti dirò, mi fa piacere-

-Cosa?-  quella conversazione mi stava innervosendo.

-Il fatto che tu mi abbia seguito-

-Ti ho detto che non è vero, non ti ho seguito-

-E invece si... Cercavi me o Lei?-

-Nessuno dei due, piuttosto-  dissi frenetico cercando di cambiare discorso  -che ti è preso a tavola?-

Lui mi guardò interrogativo.

-Tutte quelle frecciatine stupide-  spiegai.

-Ah quello! Ho solo detto la verità-

Fu il mio turno di mostrare un cipiglio interrogativo.

-Quale verità?-  chiesi.

-Andiamo Paolo, certe volte mi sembri davvero un cretino-  si lamentò.

-Io davvero non capisco di cosa stai parlando. Sii più chiaro o chiudiamo qui il discorso-

Lui sospirò frustrato  -ti ricordi cosa ho detto?-

-Che sarà fortunato chi l'avrà a fianco-

-Bingo!-  esultò lui.

-E vorresti essere tu? Il fortunato dico?-

Ancora una volta si proruppe in una fragorosa risata.

-No va be'-  disse mentre cercava di riprendere fiato  -io mi arrendo! Tu sei impossibile. Il "fortunato"-  disse mimando le virgolette con le dita  -saresti tu, non io-

Lo fissai sbalordito.

Lui mi sorrise e mi posò una mano su di una spalla.

-Lo so che è presto, che sei confuso, che hai altri pensieri per la mente e soprattutto che sei un coglione. Però Lei è speciale e tu lo sai, ed io lo vedo anche se magari tu non l'hai capito ancora-

-Io...- balbettai preso da una paura viscerale.

-Amico-  disse posandomi entrambe le mani sulle spalle e posizionandosi di fronte a me  -Lei ti fa stare bene, io non dico che vi innamorerete e che vivrete per sempre felici e contenti, ma dattela una possibilità-

-Una possibilità per cosa?-

-Per essere felice Paolo, per essere felice davvero-

Lo guardai ancora una volta stranito, come se mi stesse parlando in una lingua che non comprendevo.

Io volevo essere felice, volevo esserlo con Lei nella mia vita ma non capivo cosa c'entrassero tutte quelle parole che Andrea aveva messo assieme.

Lei era bella, era speciale, mi faceva stare bene ed era tutto quello che volevo in quel momento.

Andrea, come al solito, sembrò leggermi nel pensiero e capirmi al volo. Senza lasciarselo chiedere mi trascinò con sé nella sua stanza riempiendomi la testa di chiacchiere più o meno serie.

Rinfrancato da quel momento tutto nostro mi preparai per uscire.

Raggiungemmo il centro commerciale con due macchine ma, una volta arrivati ci dividemmo. Le ragazze si concentrarono sui negozi di abbigliamento mentre a noi non rimase che perdere tempo.

Quando ci raggiunsero optammo per spostarci al supermercato. Benché il tempo a nostra disposizione fosse piuttosto risicato ci perdemmo tra scaffali e corridoi a furia di gareggiare coi carrelli a mo' di Formula 1.

A ridestarci e metterci fretta ci pensò Alessia. Sotto i suoi dettami portammo a termine la spesa e rientrammo in casa per prepararci finalmente alla cena.

Come da copione a noi ragazzi toccò aspettare che le ragazze fossero pronte.

Quando le vidi raggiungerci in sala potei constatare tutta la loro bellezza. Avevano davvero fatto un bel lavoro, era eleganti ma non ingessate, erano stupende.

Non ero abituato a vederle così, quindi rimasi per qualche istante intento a fissarle orgoglioso. Quando Adriano raggiunse Alessia per cingerle la vita e portarla con sé verso l'esterno per andare a prendere l'auto i miei occhi si posarono su di Lei che sorrideva imbarazzata ai complimenti di Andrea e Manuel.

Fu una strana sensazione ma fu come se le parole scambiate con Andrea si fossero interposte tra me e Lei. Non riuscii a reggere quella sensazione e, fingendo indifferenza, seguii Adriano e Alessia fuori casa.


Una volta raggiunto il ristorante in centro non ci fu molto tempo per fermarsi a parlare o a riflettere. Ad attenderci trovammo schiere di fotografi e giornalisti pronti ad immortalare ogni istante e a porre le domande più insensate. Per fortuna c'era stata un'accurata selezione alla base che rese comunque la situazione tranquilla e gestibile.

Si trattava di una cena informale ma che, proprio per la presenza della stampa, richiedeva un certo tenore e contegno. Proprio per quel motivo avevamo deciso di programmare la festa, quella vera per la fine del campionato. Lì non ci sarebbe stato nessun estraneo, nessuno pronto a fotografare ogni più piccolo movimento.

Quando riuscimmo a sederci a tavola fu semplice per me perdermi e ritrovarmi solo in quegli occhi che, pur non guardando me, attiravano tutta la mia attenzione.

Dovevo esser sincero, Lei era davvero bella. Più di quanto non fossi stato disposto ad ammettere fino ad allora.

E non si trattava del trucco, dei capelli acconciati o dell'abito che portava, era qualcosa di più profondo.

Era elegante nei modi pur risultando spesso impacciata, era affascinante nella sua semplicità e, anche se non l'avevo mai vista sotto quell'aspetto, non mi fu difficile notare le attenzioni che riceveva.

Ogni sorriso, ogni stretta di mano, ogni foto che veniva scattata era un colpo per il mio stomaco.

Solo allora mi tornarono in mente le parole di Andrea.

Che davvero stessi mentendo a me stesso?

Che davvero stessi perdendo tempo in inutili congetture che mi allontanavano soltanto dalla felicità?

Che davvero stessi sperperando la mia occasione?

Mi accorsi in quel momento che valeva la pena provare, che non avrei più lasciato che il tempo scorresse invano.

Io volevo darmi quella possibilità di cui parlava Andrea.

Quella di conoscerci, di capire quale fosse il filo che ci teneva legati, di passare con Lei quanto più tempo possibile.

Fu per quello che, una volta giunti a casa, prima che potesse rintanarsi nella sua stanza, lontano da occhi indiscreti, la bloccai per un polso e le dissi:  -domani sveglia alle 7, ce ne andiamo a correre!-

Idea quanto meno stupida portarla a correre ma era l'unica scusa che mi venne in mente per potercene finalmente restare da soli.

Lei tentò di ribattere, di dirmi quanto odiasse fare sport, ma non volli sentire ragione.

L'avrei costretta o, se fosse stato necessario, l'avrei pregata addirittura.

Ma non avrei resistito ad un rifiuto.

-Allora non hai capito-  dissi concentrando il mio sguardo su di Lei  -non accetto un no come risposta. Buonanotte-  la lasciai andare.

Poi però un pensiero tornò a farsi presente.

Non mi trattenni.

Dovevo dirglielo.

-Comunque stasera sei bellissima-

Non aspettai la sua risposta perché scappai in camera col cuore che come un martello pneumatico batteva nella cassa toracica.

L'avevo detto davvero, finalmente dalle mie labbra era fuoriuscito quel pensiero che tanto mi aveva turbato tutta la sera.

-Perché hai quella strana espressione?-

Alzai gli occhi verso il letto trovando un Manuel intento a fissarmi con sospetto.

Mi ero completamente scordato della sua presenza.

-Fratello, stai bene?-  chiese ancora.

-Si si, sto bene-  dissi allontanandomi dalla porta  -sono solo un po' confuso da tutte queste giornate-

Lui sembrò convincersi o finse di farlo quindi si distese a letto pronto per dormire.

Io lo raggiunsi subito ma faticai a prendere sonno.

C'era una parte di me che, anche quella notte, non vedeva l'ora di esser richiamato da un rumore.

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