61 - Parte uno
Inizialmente non capii quello che Adriano volesse dirmi quindi mi voltai verso di lui che mi indicò col capo una zona particolare delle tribune.
Quando alzai gli occhi verso il settore in cui sapevo avrei trovato Alessia mi si bloccò il respiro in gola ed il cuore accelerò come se stesse per scoppiare fuori dalla cassa toracica.
Battei più volte le palpebre, volevo la certezza di essere sveglio, di non essere di fronte ad un'allucinazione.
Ero lì, su quel campo di calcio e di fronte a me c'era Lei.
C'era Lei su quegli spalti, accanto ad Alessia, e c'era anche Manuel.
C'erano loro ed erano lì per me.
Eppure a me sembrava tutto un sogno.
Era come se tutto quello che ci circondava fosse d'improvviso svanito. Come se ad un tratto ci fossimo solo noi, io e Lei, occhi negli occhi.
Anche la distanza che ci separava sembrava essere solamente un lontano ricordo, un riflesso della mente, una convenzione infranta e totalmente capovolta.
C'era qualcosa che ci univa, che legava me e Lei.
Forse era il nostro sguardo, complice e incantato, che sanciva ancora di più quel legame che da quel giorno ci avrebbe unito ancora di più, perché il fatto che Lei fosse lì, in quel giorno, solo per me, mi aveva smosso qualcosa dentro.
Lei aveva fatto crollare tutte le mie certezze, tutte le mie convinzioni, e ne aveva costruite delle altre più forti, più solide e salde che facevano tutte capo a Lei.
Proprio Lei era il centro di tutto quello che cercavo; era stata capace di far rivoltare il mio intero mondo in un istante. Era bastato guardarla, incontrare i suoi occhi così distanti ma indissolubilmente incatenati ai miei, per perdere cognizione di ogni cosa.
Per quanto in quello stadio ci fossero mille e mille persone quell'istante era solo nostro.
Mi ero perso.
Ero totalmente assente.
Ero stato rapito da noi due.
Avevo perso la consistenza spazio-temporale, non sapevo quanto tempo avessi trascorso incantato da Lei, né mi ero accorto che, intorno a me, tutti gli altri si stessero muovendo.
Mi accorsi che tutti stavano aspettando solo un mio movimento quando Adriano mi colpì nuovamente con una gomitata indicandomi la mano del capitano avversario tesa verso di me.
La presi tra le mie in un movimento meccanico, senza dar minimamente peso a ciò che stavo facendo perché, al momento, il centro della mia attenzione era altrove.
Il mio sguardo si perdeva ancora tra le tribune e non riuscivo a capacitarmi dell'enorme regalo che mi era stato fatto.
Ero ancora incredulo e stralunato, tutto intorno a me si svolgeva come al solito ma io sembravo non rendermene conto.
Ad un certo punto ad avvicinarmi fu Andrea. Mi scosse con delicatezza e mi parlò ma io ero talmente scosso da non riuscire a capire nemmeno una parola.
-L'hai vista?- domandai come in trance.
-L'ho vista, l'ho vista- sbuffò una risata.
-E', Lei è...- balbettai inconcludente.
-Si- ripeté lui -Lei è qua, però adesso tocca a te-
-Cosa?- domandai.
Lui sbuffò nuovamente, poi però sorrise -falle vedere quello che sai fare-
Capii quello che Andrea voleva sottintendere ma non credevo di esserne capace. Avrei dovuto rimuovere quell'immagine, avrei dovuto concentrare la mia attenzione solamente sulla partita.
Ma come potevo farlo quando sapevo che Lei era lì per me?
Ero nella confusione più totale ma gli occhi dei miei compagni fissi su di me riuscirono a darmi una scossa.
Dovevo fare del mio meglio per portare a casa il risultato; dovevo concentrarmi esclusivamente su quell'immenso rettangolo verde e sulla palla. Non doveva esserci nient'altro per me.
Guardai ancora una volta gli spalti, sorrisi a Manuel, a Lei, ad Alessia, poi chiusi gli occhi sospirando e fu in quel momento che l'arbitro fischiò l'inizio del match.
Mi bastò davvero poco per capire che quella non sarebbe stata una delle mie migliori partite. Ero teso, distratto, svogliato quasi.
In realtà io provavo a mettercela tutta ma non riuscivo a concentrarmi sul gioco. Sentivo le imprecazioni dei miei compagni, del mister a bordo campo, sentivo persino i fischi dagli spalti ma non potevo fare a meno di voltarmi di tanto in tanto verso la tribuna per accertarmi che tutto fosse reale.
La mia distrazione mi impediva di giocare come volevo ma nonostante questa consapevolezza non riuscivo a concretizzare nulla. Le cose, mio malgrado, precipitarono intorno al quindicesimo minuto del primo tempo quando, per uno stupido errore in difesa, subimmo un goal su rigore.
Tornammo tutti a centrocampo, increduli e rammaricati ma convinti di poter fare di più. Ci guardammo negli occhi, ci parlammo e bastarono i nostri occhi a prometterci che ce l'avremmo messa tutta per rimetterci in carreggiata.
Da quell'istante qualcosa cambiò, il gioco passò nei nostri piedi ed avemmo più volte l'opportunità di oltrepassare la nostra metà campo.
Intorno alla mezz'ora però caddi nuovamente in tentazione. Avevo il pallone tra i piedi, correvo in volata sulla fascia in netto vantaggio sugli avversari, ero in procinto di valicare l'area quando un impellente bisogno di voltarmi mi fece perdere il passo.
Nonostante tutto mi voltai e fu allora che uno degli avversari mi raggiunse avventandosi sulle mie caviglie. Persi il controllo e ruzzolai sull'erba accompagnato dal clamore del pubblico che, deluso e sconfortato, si faceva sentire sempre più forte.
Quando mi rimisi in piedi, prima che il gioco potesse riprendere, fui richiamato dal mister che mi indicò di raggiungerlo.
-Si può sapere che hai oggi?- mi urlò contro prima che potessimo dirci faccia a faccia, l'espressione dura e gli occhi scuri dalla rabbia.
Provai a scusarmi ma lui mi anticipò.
-Lo so io- disse continuando a sbraitare e muovere nervosamente le mani -ma adesso basta! Se ti vedo ancora una volta guardare verso gli spalti sei fuori-
Annuii rammaricato ma i suoi toni non mutarono per nulla -e non fare quella faccia da coglione, corri piuttosto!-
Annuii ancora, forse più convinto, forse consapevole della realtà di quelle parole.
Incassai tutto, le feci mie e me ne feci scudo.
Avevo bisogno di uno scossone e, probabilmente, il mister era riuscito nell'impresa.
Dal mio ritorno in campo cercai di mantenermi concentrato, di farmi violenza per impedire di deviare la mia attenzione dal rettangolo di gioco, dai miei avversari e da quel pallone che, mai come in quel momento, mi sembrava un nemico.
Il calcio, la mia più grande passione, sembrava volermisi rivoltare contro.
Lo stadio, l'unico posto in cui potevo davvero essere me stesso, stava mostrando le mie fragilità. E tutto per la mia stupida ostinazione nel non credere alla realtà.
Lei e Manuel erano lì per me, in carne ed ossa e lo sentii forte come un secchio d'acqua gelida in pieno volto quando, mentre correvo nuovamente sulla fascia, nel silenzio generale dato dalla massima tensione del momento, una voce mi scosse fin dentro le ossa.
-Vai Paolo, corri!!!-
Quella voce; la Sua voce.
Quel suono mi rimbombava nella mente, si riverberava in ogni mio movimento e mi diede la spinta che bramavo.
Corsi ancora più veloce, più forte, quasi fuori di me.
Scartai due degli avversari e mi accentrai. Mi bastò alzare lo sguardo per cogliere un movimento di Andrea.
Un respiro, chiusi gli occhi e tirai, era la cosa che sapevo fare meglio. La palla raggiunse il centro dell'area dove Andrea la colpì con precisione spedendola dritto in rete.
Dalle tribune si levò un profondo sospiro di sollievo che presto si tramutò in urla di gioia e giubilo.
La stessa gioia che vidi dipinta negli occhi di Andrea quando, dopo aver capito di aver segnato la rete del pareggio, si voltò a guardarmi e prese a correre verso di me.
-E' tuo! E' tuo!- urlava scuotendo la testa felice.
Con un balzo si lanciò tra le mie braccia, con una tale foga da spingere entrambi distesi sull'erba.
Le sue parole frenetiche ed urlate si confusero con quelle degli altri che intanto ci avevano raggiunti per scaraventarsi sopra di noi.
Mi sentivo soffocare sotto quella piramide umana ma non potevo essere più felice di così. Quell'ammasso di corpi che mi pesava addosso stava a significare che qualcosa in quel match stava finalmente cambiando.
Quando tutti si alzarono Andrea mi tese una mano per aiutare anche me.
-L'hai sentita vero?- mi domandò tirandomi ancora una volta a sè.
Capii al volo a cosa si stesse riferendo, annuii fissando lo sguardo nel suo e godendomi il suo sorriso che metteva felicità solo a guardarlo.
Ancora ancorato ad Andrea distolsi lo sguardo da lui per portarlo sugli spalti. In quel momento l'abbraccio tra Lei e Manuel fu la cosa più bella che potessi vedere, più bella di qualsiasi goal immaginabile.
Quando si staccarono tornarono a guardare verso il campo, i nostri occhi tornarono ad incontrarsi e il mio cuore prese a battere forte. Guardai per un attimo Andrea che sembrò capire al volo tutte le sensazioni che mi scorrevano dentro.
Lui mi fece un cenno d'intesa, alzammo nuovamente gli occhi e mi venne naturale sollevare il pollice in segno di intesa. Andrea fece lo stesso e solo in quel momento capii che quel goal non era mio come aveva detto lui, ma era tutto loro.
Tutto di Lei e Manuel.
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