61 - Parte tre
Mi prendo un piccolo spazio prima di lasciarvi all'ennesima parte di questo lunghissimo e travagliatissimo capitolo.
Uno spazio per ringraziarvi ancora una volta.
Perché anche se io ultimamente latito, anche se spezzetto i capitoli, anche se non sono più capace di rendere la storia come appare nella mia testa voi continuate ad esserci.
Ci siete con i commenti, con i voti, col vostro affetto silenzioso, ed è solo per voi che questa storia vedrà il suo finale.
Grazie ancora una volta, di tutto cuore ♥
Carico come mai prima uscii sul terreno di gioco sorretto dall'affetto dei miei compagni e da quello che, sicuramente, mi assisteva dagli spalti.
Alzai un'ultima volta lo sguardo, sorrisi guardando loro e tornai a concentrarmi esclusivamente sul mio lavoro. Un blando riscaldamento ed alcuni scatti ci portarono dritti verso l'inizio del secondo tempo.
Lo sentivo nell'aria che qualcosa fosse cambiato, ero più sereno, più tranquillo ed ero finalmente consapevole di quando il regalo che mi era stato fatto fosse importante. Forse era talmente importante che mi impediva di crederci ma avevo potuto toccare con mano che quella fosse la realtà e non solo uno stupido sogno ad occhi aperti.
Ancora una volta insieme ad Andrea mi apprestai a raggiungere il centrocampo dove agli avversari spettava il calcio d'inizio. Solo il tempo di un ultimo respiro e poi tutto si spense nella mia mente.
Vedevo solo il pallone. Quella sfera che si muoveva frenetica tra i piedi degli altri era capace di attirare su di sé l'attenzione dello stadio intero. Ed io naturalmente non potevo essere da meno.
Era come se, improvvisamente, tutto intorno a me si fosse spento, non sentivo le urla, non vedevo i visi intenti a scrutarmi, ero riuscito ad isolarmi nella mia concentrazione a tenuta stagna.
A livello di gioco comunque quel secondo tempo stentava a decollare. Le azioni si susseguivano da una parte e dall'altra ma di concreto non c'era stato nulla.
Qualcosa cambiò quando Andrea si involò lungo la fascia sinistra. Dopo uno scambio al limite dell'area con Luigi si trovò nuovamente col pallone tra i piedi. Il suo primo istinto fu quello di crossare ma il pallone finì per scontrarsi col guantone del portiere.
Poco male. Era angolo per noi.
Come di consueto mi recai io alla bandierina. Distrattamente alzai lo sguardo alle tribune per poi riportarlo ai miei compagni. Richiamai le torri a salire verso il centro dell'area e attesi che tutto fosse pronto.
Appena l'arbitro mi diede l'ok calciai forte, poi trattenni il fiato, come ogni singola volta.
Dal nugolo di maglie incastrate convulsamente tra loro si erse la figura di Luigi che, con un colpo di testa ben assestato, deviò il pallone nell'angolino basso, dove il portiere avversario proprio non riuscì ad arrivare.
Fu in quel momento che mi concessi di sorridere. Le esultanze di Luigi erano da sempre state epiche.
Da buon difensore qual era non era molto avvezzo a segnare goal ma, ogni volta che una sua azione portava la palla in rete, esplodeva in urla e coreografie da far invidia al miglior marcatore.
Vederlo correre a perdifiato, con le braccia a indirizzare baci verso il cielo, mi provocò un sorriso veritiero che ebbe il merito di sciogliere, almeno un poco, la tensione accumulata in quella strana giornata.
Eravamo finalmente sul 2 a 1, la partita si era messa lungo i giusti binari e potevo concedermi un respiro di sollievo, seppur breve. Non dovevo mollare proprio nel momento in cui il risultato, così in bilico, poteva facilmente oscillare da una parte o dall'altra.
A testa bassa ripresi il mio compito e, quasi a suggellare le mie teorie ci fu un rapido cambio di fronte che, per nostra fortuna, vide l'esaltazione di Adriano.
Sentii distintamente la voce festante di Alessia e per un attimo mi parve di star vivendo una giornata come tante altre. Mi bastò però solamente deviare di poco lo sguardo verso di lei per rendermi nuovamente consapevole che quel giorno nulla fosse come tutti gli altri.
Quelle due piccole presenze sugli spalti, al suo fianco, avevano reso meravigliosa quella giornata, perfetta, indimenticabile scolpita nella mia mente.
E mi sentivo uno stupido ma ne ero così felice.
E quella felicità sembrava sospingermi, rendermi più leggero, più veloce.
Corsi senza sentirne il peso, provai a dare il meglio di me ma sembrava purtroppo non bastare. Ebbi più volte l'occasione di spedire la palla in rete ma il destino aveva deciso che quella non era la mia giornata, del resto io il mio bellissimo regalo lo avevo già avuto.
Col passare dei minuti i nostri avversari si mostrarono coriacei e duri a morire, anche loro ebbero la propria buona dose di palle sprecate ma sembravano sempre carichi e pronti a giocarsi il tutto per tutto su ogni pallone.
Dal canto nostro anche noi ce la stavamo mettendo tutta, d'altronde, a prescindere da tutto, quella era davvero la partita più importante della stagione.
Ci stavamo giocando tutto; il campionato, la promozione, tutto dipendeva da quella partita.
E non mi importava se c'erano ancora due match da giocare, se le possibilità di promozione erano ancora tante, se un passo falso sarebbe stato solo una piccola macchia facilmente riparabile, io volevo assolutamente conquistare quella vittoria.
Lo dovevo a tante persone, ma soprattutto lo dovevo a me stesso e ai miei sogni.
E i miei sogni mi stavano intimando di correre.
Per quello continuai a correre a perdifiato, senza mai fermarmi, senza pensare alla stanchezza, al fiato corto o alla frustrazione che pian piano stava prendendo il sopravvento.
Stavo appunto correndo, a dieci minuti dalla fine dei tempi regolamentari, quando, dopo alcuni scambi con Andrea, un paio di dribbling ben riusciti e uno stop di petto, mi ritrovai il pallone tra i piedi.
Provai a girarmi ma un difensore avversario mi stava fastidiosamente attaccato alle caviglie quindi cambiai gioco, spostai il pallone sulla sinistra e crossai in favore di Alberto che fu molto abile a scartare due avversari e a ravvivare l'azione.
Quando la sfera tornò tra i miei piedi, due avversari mi stavano alle calcagna, con un rapido movimento riuscii a scartarli e mi procurai uno spiraglio per tirare. Presi coraggio e lasciai andare il tiro che andò a schiantarsi dritto dritto sul braccio di uno degli avversari.
Fu allora che gli animi si scaldarono, quando l'arbitro reputò il tocco involontario, cominciarono a volare scintille. Ci fu della maretta che un paio di cartellini gialli volsero a sedare ma nulla tornò più come prima.
Eravamo tutti tesi, stanchi e frustrati.
Per vedere uno spiraglio di luce bisognò aspettare l'ottantasettesimo.
Mancavano tre minuti al fischio finale, dopo un'azione degna di nota Fabio recapitò il pallone precisamente sulla mia traiettoria. Riuscii a stopparlo e mi involai verso l'area avversaria, desideroso di calciare in rete per chiudere definitivamente quella partita.
Improvvisamente tutto divenne buio, i suoni scorrevano come a rallentatore, solo il mio cuore batteva forte contro la cassa toracica.
Mi imposi di non pensare a nulla.
Di correre.
Di tenere il pallone incollato al piede.
Ma non avevo fatto i conti col destino.
Un destino travestito da difensore avversario che si avventò in scivolata sulle mie caviglie.
Caddi immediatamente al suolo imprecando di rabbia, il pallone ormai lontano alcuni metri.
Mi risollevai sbraitando contro il colpevole della mia disfatta ma sentii i nervi distendersi, tutto d'un tratto, quando l'arbitro fischiò il calcio di punizione in nostro favore.
Fu in quel momento però che provai una strana sensazione, mai provata prima sul campo da calcio: paura.
Paura di sbagliare, di fare una figuraccia, di non rendere onore alle persone che erano giunte fin lì per me.
Ero frastornato e non sapevo come agire. Cercai sostegno nello sguardo di Andrea ma capii da subito che non ve ne avrei ricavato molto.
-Batti tu- soffiai quasi in un sussurro.
Lui sbarrò gli occhi, mi osservò per qualche istante per poi scuotere energicamente il capo.
-Andre...- bisbigliai.
-No- rimarcò lui -questa è tua-
-Non credo di riuscire-
Andrea non proferì parola. Recuperò il pallone posizionandolo nel punto indicato dall'arbitro, poi fece qualche passo indietro.
Lo sguardo che mi riservò appena i nostri occhi tornarono ad incontrarsi mi raggelò.
-Vai- disse solamente.
Col cuore ormai giunto fino in gola annuii.
Quegli occhi mi avevano trasmesso mille emozioni. Mi avevano dapprima pietrificato, poi spronato, poi infine mi avevano dato la forza necessaria per agire.
Dovevo prendermi le responsabilità che mi spettavano, era giunto il mio momento.
Solo allora, di fronte alla barriera schierata, sentii l'adrenalina scorrermi addosso.
E d'improvviso ricordai perché amassi tanto quel gioco.
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