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59 - Quando ci sei tu...


I pensieri che vagano nella mente di ognuno sono qualcosa di inspiegabile e di irrefrenabile.

Me ne resi conto mio malgrado mentre, seduto sul divano, aspettavo che Lei e Manuel mi raggiungessero. Insieme avevamo deciso che, una volta accompagnato mio fratello a scuola, avrei riportato a casa Lei.

Pensavo, ripercorrevo e provavo ad analizzare ma ogni volta che mi sembrava di esser giunto ad una conclusione tutto crollava miseramente. Quello che mi tornava in mente, ogni volta, era quello sguardo ferito ed una sensazione di ingiusto mi saliva dal petto fino a raggiungere il cervello che non voleva saperne di smettere di veicolare informazioni.

Cos'era successo in quella notte da renderla così fragile?

Eppure, nonostante il suo stato influenzale, stava andando tutto così bene.

Eravamo stati felici, prima a casa sua poi a casa mia. Avevamo sorriso, eravamo stati particolarmente bene ma nel mentre doveva per forza esser successo qualcosa.

Quando Lei mi raggiunse le sorrisi, accantonando in un angolo tutti quei cattivi pensieri. Si sedette timidamente al mio fianco quindi pensai di metterla a suo agio.

-L'altro ieri ero a casa tua, stanotte tu qui e hai già un nuovo invito. E' divertente in un certo senso-

-E' strano direi-  mi corresse.

-Non capisco, non ti sembra una cosa bella?-

-Certo-  rispose poco convinta.

-E allora perché sembra che tu stia per piangere?-

-E' che io, stanotte, credo di aver sognato delle cose...-

-Hai fatto un incubo?-  domandai.

-No! Era, come dire, qualcosa di reale. Io, ti dicevo delle cose-

-C'ero anch'io?-

Annuì.

-Allora non c'è problema. Qualunque cosa tu mi abbia detto o possa dirmi non cambierà le cose tra noi-

La sua espressione cambiò all'istante e una lacrima solitaria le scivolò lungo il viso.

Mi preoccupai, raccolsi quella piccola goccia cristallina e tentai in tutti i modi di rassicurarla.

-Hei, dico davvero. Sei diventata una persona fondamentale nella mia vita, rendi speciali le mie giornate. Non ho alcuna intenzione di allontanarti da me, soprattutto non per uno stupido sogno-

Le sorrisi incoraggiante e chiesi a Lei di fare altrettanto.

-Me lo fai un sorriso? Lo sai che amo vederti sorridere-

Si rilassò sotto il mio sguardo ma il sorriso che provò a regalarmi apparve tirato e profondamente triste.

Avrei voluto indagare, chiedere, capire cosa ci fosse dietro quegli occhi ma l'arrivo di Manuel mi bloccò.

Lui era così sorridente e allegro che il solo pensiero di rovinare quell'atmosfera mi spinse a tacere e a rimandare il tutto a quando saremmo stati di nuovo soli.



Dovetti aspettare poco per ritrovare la situazione ideale per parlarle, una volta accompagnato Manuel ci ritrovammo di nuovo soli.

-Ed anche stavolta siamo ai saluti!- dissi continuando a guidare senza voltare lo sguardo verso di Lei  -è terribile, ogni volta ci vediamo per due giorni e poi siamo costretti a salutarci. Stavolta comunque ho passato più tempo con te che con chiunque altro!- ridacchiai.

-Mi dispiace, sei stato costretto a farmi da balia-

-Certo che quando ti ci metti sei impossibile-  sbuffai in tono di rimprovero  -è stato bellissimo-

-Se lo dici tu...-

Dal suo tono di voce capii che dovevo fare qualcosa. Con una manovra un tantino brusca accostai l'auto e concentrai su di Lei tutta la mia attenzione.

-Non cambierei nulla di questi due giorni, con te tutto è bellissimo-

-Perché ti sei fermato?-  chiese Lei con un filo di voce.

-Perché certe cose te le devo dire guardandoti negli occhi altrimenti sembri non crederci-

Come ogni volta che si parlava di Lei abbassò lo sguardo alle sue mani.

-Guardami-  la richiamai per chiarire ancora una volta il mio pensiero -io non so quello che hai sognato e nemmeno voglio saperlo però non dargli peso, ok?-

Lei annuì, ma non sembrava poi così sicura.

-Come faccio a farti capire che sei diventata veramente qualcosa di importante?-

A quelle parole Lei rimase muta a fissarmi con occhi sgranati.

Quello sguardo sembrò scombussolarmi, rimisi l'auto in moto e ripresi a guidare sulla mia strada. Appena mi fermai sotto casa sua la sua voce tornò a farmi visita.

-Paolo... Scusami sono solo una stupida- sussurrò.

-Non dire così che divento nervoso, tu non hai ancora chiaro il tuo valore e a me dispiace perché tendi sempre a buttarti giù ma non dovresti io...-

-Ti voglio bene-  bloccò il mio monologo.

-Anch'io-  sorrisi, felice di sentire quelle parole.

Con la coda dell'occhio vidi che stava per sfilare la mia felpa e la cosa stranamente non mi andava giù.

-Questa tienila non voglio che prendi freddo- le dissi dicendo la prima cosa che mi venne in mente.

Lei mi guardò scettica, in effetti non faceva freddo e il sole se ne stava alto nel cielo.

-Ok, touchè! Voglio che la tenga tu, almeno fino a quando torno-

Si strinse nella felpa e sorrise felice, sembrava una bambina.

-Anch'io voglio darti una cosa-  disse.

La cosa mi stupì parecchio e mi colpì ancora di più vederla sfilare dal suo polso uno dei bracciali che portava di solito.

-Questi sono i famosi "occhi" greci, pare portino fortuna-  disse porgendomelo  -Tu domenica hai una partita importante e con questo sarà un po' come se fossi con te-

Ma come potevo non adorarla!

Era fantastica, era la mia piccola fonte di serenità.

-Sai vero che in campo non possiamo tenere bracciali o cose varie?- dissi.

-Non lo sapevo-  ristette un attimo  -vabbé, vorrà dire che lo lascerai negli spogliatoi-

-Non sarà mai come avere te a fare il tifo però!-

-Non mi hai mai vista fare il tifo, potrei essere una schiappa-  

-Mi basta la tua presenza, avrei giocato anche per te-

-Paolo...-  

-Lo so, lo so, lo farai da casa ma te l'ho detto quando ci sei tu tutto è più bello-

Si lanciò tra le mie braccia ed aspettò che io la cingessi. Lo feci con tutto il cuore, la tenni stretta a me e, in cuor mio, sperai che quel momento durasse per sempre.

-E' meglio che vada-  sussurrò tra le mie braccia.

Dovetti ammettere che aveva ragione, le baciai una guancia e la lasciai andare.

Anche Lei mi lasciò un bacio, poi si allontanò da me e sgusciò via dall'auto senza nemmeno darmi il tempo di dire ancora una parola.

La vidi raggiungere il portone e poi sparire nascosta da esso.

Tirai un profondo respiro che mi sembrò di aver trattenuto per un'infinità di tempo e finalmente mi concessi di rilassarmi un attimo.

Ero scosso e frastornato ma, cosa più grave, ero in ritardo.

Mi rimisi in marcia per tornare a casa dove papà già mi stava aspettando. Preparai in fretta il borsone ed uscii di nuovo per raggiungere la stazione . Lì mi stava aspettando un treno per la partita più importante della stagione.


I giorni, nella nostra nuova casa, passarono frenetici. Tra allenamenti estenuanti e grandi discorsi del mister gli unici momenti di calma erano le serate "in famiglia".

Casa nostra era diventata un piccolo centro di accoglienza. Dopo ogni giornata dura era piacevole ritrovarsi in quel nido.

Un film, una pizza, una sfida al Monopoly ed ogni sera si trasformava in un toccasana.

Col passare dei giorni la mia tensione crebbe a dismisura. Al sabato avevo i nervi a fior di pelle, nemmeno la nostra serata tranquilla riuscì a distendermi.

Pensai di non concludere nulla, di non riuscire a dormire, addirittura di impazzire almeno fin quando la solita telefonata della sera sembrò alleviare per qualche istante il mio cupo stato d'animo.

Era diventata una consuetudine ormai. Quello che era nato come uno scherzo si era trasformato in una sorta di tradizionale porta fortuna.

La chiamata in vivavoce partì come al solito alla presenza di tutti. Dopo un paio di battute scambiate tutti assieme decisi che fosse meglio ritirarmi in camera mia.

Lei dovette notare qualcosa di strano nella mia voce perché immediatamente mi chiese se ci fosse qualcosa che non andasse.

Cercai di tranquillizzarla ma fu inutile, quando mi richiamò con tono di rimprovero fui costretto a raccontarle la verità.

"A te posso dirlo, sono solo un po' agitato per domani, con una partita ci giochiamo l'intera stagione"

"Vedrai che andrà bene, fin'ora siete stati grandissimi"

"Si ma... Non so, sono nervoso"

"C'è qualcosa che posso fare per tranquillizzarti?"

"Ci sarebbe ma, non puoi"

"Non sai quanto mi dispiace" mormorò.

"Tu invece sai che a me dispiace di più"

"Lo so, posso solo prometterti che, in un certo senso, sarò lì con te"

"Dici che mi dovrò accontentare?"  la provocai.

"Mi sa proprio di si, scusami"

"Hei non scusarti, avrai modo di rifarti in futuro"

"Solo che mi sento un po' in colpa" disse sbuffando.

"Non dovresti, lo so che anche a te avrebbe fatto piacere"

"Non sai quanto"

Alla fine un po' mi dispiacque per Lei, mi piaceva prenderla in giro ma non volevo che si sentisse in colpa.

In fondo sapevo dal principio che quella mia richiesta sarebbe rimasta inevasa ma avrei voluto davvero che Lei fosse al mio fianco in quel momento.

Non era semplice spiegare il perché di quel mio desiderio forse proprio perché una reale spiegazione non c'era. Fondamentalmente, come le avevo detto più e volte, quando c'era Lei tutto era più bello.

Durante tutte quelle mie riflessioni notai che si fosse fatto davvero tardi quindi decisi di salutarla

"Si è fatto tardi, è meglio che ci salutiamo, domani sarà una giornata lunga!"

"Posso immaginare"  disse  "ci sentiamo prima della partita?"

"Se non ti fai sentire puoi pure dimenticarti di me"

"Non lo farò"

"Ci conto. Buona notte"

"Buona notte a te"

"Ti voglio bene"

"Anch'io"


Una volta rimasto solo decisi fosse il momento di mettermi a letto. Sapevo non sarebbe stata una nottata facile ma non immaginavo che prendere sonno sarebbe stato così complicato.

Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola, tra mille immagini di fallimento che mi lasciavano ad occhi sbarrati.

Riuscii a chiudere occhi solamente a notte fonda quando il suono della sveglia era fin troppo vicino.


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