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54 - Continuare a fingere

Al bancone del bar fui accolto dal caloroso saluto di uno dei proprietari.

-Capitano, buongiorno!-  disse.

Ero abituato a quel genere di saluti quindi non mi scomposi più di tanto.

-Che abbiamo di buono stamattina?-  chiesi indicando le varie leccornie esposte nelle vetrine da esposizione.

-Chi abbiamo piuttosto!-  ammiccò lui.

Alzai lo sguardo scettico per incontrare il suo quando mi accorsi che col capo faceva cenno alla ragazza seduta poco distante da noi.

-Oh! Lei è una mia carissima amica-

-Ah però! Carissima!-  intervenne Pasquale, uno dei camerieri  -se è così cara perché non ce la presenti-

I miei occhi si spalancarono a dismisura  -No, meglio di no-

I due ragazzi che avevo di fronte cominciarono a ridere complici mentre sul mio viso comparvero tutte le sfumature possibili di rosso.

-Dai che stavamo scherzando-  si ricompose il più giovane  -piuttosto, cosa vi porto?-

-Potrei fare io?-  chiesi ripresomi dall'imbarazzo.

-Cos'è, hai paura che ci proviamo?- continuò lui.

-Cosa?-  sbottai  -No! Cioè...-

-Sei semplicemente fantastico-  mi salvò il proprietario da quell'enorme figura da scemo  -certo che puoi, serviti pure-

Con le guance ancora in fiamme mi spostai dietro il bancone dove, con calma e dedizione, preparai ciò che avrei portato al tavolo.

Una volta preparato il vassoio mi spostai verso il tavolo non più molto sicuro di riuscire nella mia bella figura.

Ero traballante, insicuro, sembravo quasi un pinguino incapace di destreggiarsi sul ghiaccio.

-Cos'è, arrotondi facendo il cameriere adesso?-  mi canzonò Lei  -Guarda che non sei così bravo- 

-Ah!- sospirai tragicamente -E io che cercavo di essere gentile. Peccato... Avevo delle brioches al cioccolato che non aspettavano altro che essere assaporate. Ma se non sono bravo...-

-No, no, no! Sei bravissimo!-  affermò carezzevole.

-Ti vendi per poco-  le dissi accompagnando le parole ad un occhiolino complice.

-Per la cioccolata farei questo ed altro- disse addentando una delle brioches dopo averla rubata dal vassoio.

Quando si comportava così sembrava proprio una bambina, mi fermai per qualche istante ad osservarla prima di sedermi al suo fianco e gustare il mio succo di frutta.

-Non mangi niente?-  domandò osservando me e il vassoio che aveva di fronte.

-Signorina sono sveglio da quasi due ore, ho già dato, io!-

-Ma questa brioche è buonissima-  disse col suo sguardo assorto.

-Immagino ma non posso, soprattutto non dopo gli allenamenti-

-Un morsetto? Non lo diciamo a nessuno-

E quegli occhi furbetti mi avevano completamente fregato.

-Uno solo però-  precisai.

Lei mi porse la brioche con un sorriso soddisfatto ad incurvarle le labbra.

-Tra noi cominciano ad esserci un po' troppi segreti-  sussurrai complice.

Lei non rispose alla mia provocazione ma abbassò lo sguardo sulla sua tazza, perdendosi in pensieri in cui non mi era dato accedere.

Pensai di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato, di nuovo, quindi richiamai la sua attenzione.

-Sei triste?-  chiesi.

-Sono solo pensierosa-

-Naturalmente non mi dirai a cosa stai pensando-

Lei negò scuotendo solo leggermente la testa. I suoi occhi però stavano dicendomi molto, pur non incontrando i miei. Una mia mano scivolò fino a raggiungere la sua che non si mosse di un centimetro lasciandosi accarezzare e cullare.

-Va bene, vuoi dirmi qualcosa?-  domandai.

-No-  sussurrò.

Un brivido mi percorse la spina dorsale.

-Perché quando fai così ho sempre la sensazione che tu stia per crollare?-

-Perché è così...- 

E le sue parole mi lasciarono atterrito. Fu come sentirmi investito dalle sue emozioni negative, dalle sue paure, e da quel suo non voler esprimere quello che la stava come annullando.

Chiusi la sua mano tra le mie adagiandovi sopra la fronte. Volevo esserle d'aiuto ma la paura di dire o fare qualcosa di sbagliato mi bruciava dentro.

Lei non disse nulla, non si mosse nemmeno, ebbi quasi paura di averla spaventata con quel mio gesto forse troppo intimo.

Risollevai quindi gli occhi per puntarli nei suoi ed, inevitabilmente, sorrisi.

-Mi mancherai davvero- dissi senza pensarci.

-Anche tu- rispose.

Quell'attimo rimase come cristallizzato tra noi, i nostri occhi non riuscivano a sganciarsi gli uni dagli altri e nessun pensiero velava neanche lontanamente quell'attimo perfetto.

Dopo un po' di tempo, non quantificabile ai miei occhi decisi che fosse meglio rientrare. Si stava facendo tardi e il tempo che avevamo a nostra disposizione era quasi terminato.

Aspettai un attimo prima di compiere qualsiasi movimento, poi le presi una mano e insieme ci incamminammo verso il centro sportivo.

Prima che potessimo rientrare però la sua voce mi ridestò.

-Prima di andare vorrei salutare i ragazzi-  sussurrò Lei a bassa voce.

-Vuoi che gli dico di raggiungerci?-

Lei annuì quindi, invece di raggiungere il centro fermammo la nostra camminata su di una panchina isolata.

Cominciai col contattare Adriano per poi spostare completamente l'attenzione su noi due.

Quella situazione era surreale.

Ancora una panchina, ancora io e Lei.

Intorno un silenzio irreale.

Ci eravamo improvvisamente chiusi in noi stessi, ognuno nascosto nel proprio mondo, trascinato dalla propria corrente di pensieri.

I nostri occhi non si incrociavano, i nostri pensieri erano distanti, solo le nostre mani giacevano a contatto.

Avrei avuto tanto da dire eppure non mi andava di parlare, di interrompere quell'atmosfera di pace che si era venuta a creare.

Tra noi era sempre tutto un po' strano. Passavamo da uno stato d'animo ad un altro con una rapidità unica. Da zero a cento in un battito di ciglia.

Ma la colpa era mia in gran parte, Lei era capace di sconvolgermi di stravolgermi, di incasinarmi l'anima. Ed io, dinnanzi a Lei, perdevo ogni forma di controllo.

Ero come un fogliolina in balia della corrente di un tumultuoso fiume.

La cosa peggiore era la certezza che di quegli attimi non ne avrei più avuti per un bel po' di tempo,Lei stava per partire ed io non ero in grado di dirle quanto quel solo pensiero mi mettesse in crisi.

Quella panchina, solitaria e in mezzo al nulla, vide il nostro arrendersi al corso degli eventi.


Quando i miei tre amici ci raggiunsero le nostre mani si separarono tacitamente. Era così naturale chiacchierare con loro ed anche Lei, sembrava perfettamente a suo agio. Con Andrea ed Adriano al suo fianco era come protetta, rivestita da un'invisibile armatura che la rendeva più forte e, ai miei occhi, ancora più luminosa.

Dopo un quarto d'ora circa a chiacchierare delle cose più varie, poi l'arrivo di Stefano e Giovanni mi costrinse a staccarmi da quel gruppetto.

Li seguii verso l'interno, gli offrii un caffè ai distributori ed attesi con loro la discesa delle ragazze e di Luca.

Arrivarono a scaglioni, prima Luca, poi Marta ed Eli, infine Carmela. 

Carmela giunse da sola, con un sorriso smagliante ad illuminarle il viso.

-Buongiorno-  sussurrò baciandomi una guancia  -come mai ancora in tuta?-

Mi accorsi solo allora di avere ancora addosso gli abiti da allenamento, l'idea di passare in camera a cambiarmi mi era proprio fuggita di mente.

Naturalmente non potevo dire a Carmela la verità. Non potevo dirle che avevo completamente dimenticato la doccia per un abbraccio ed una colazione. Inventai una scusa banale, un ritardo sulla tabella di marcia, una bugia del quale lei nemmeno si accorse.

Ad ogni modo, comportandomi da vero stronzo, approfittai proprio di quell'istante per dileguarmi e non sentire ulteriori lamentele.

Me la presi comoda, mi sarebbe piaciuto tornare alla panchina ma mi impedii di percorrere quella via. Non potevo permettermi di dare adito a voci di corridoio o occhiate malevole. Lo dovevo a Carmela ma, soprattutto, lo dovevo a Lei.

Quei pochi giorni mi avevano mostrato quanto, e quanto velocemente, persone e cose mutassero.  Avevo potuto scorgere negli occhi di Lei tutto il disagio per quelle amicizie che stavano fiorendo alle sue spalle e non le avrei arrecato altre preoccupazioni. Non quando sapevo di doverla lasciare da sola.

Lentamente raggiunsi la mia camera, tergiversai prima di raggiungere il bagno e quando mi concessi la tanto agognata doccia lasciai scorrere su di me più acqua di quanta me ne fosse necessaria.

Appena vestito raggiunsi il letto, fissare il soffitto candido mi sembrò la cosa più utile e costruttiva da fare. Mi serviva prendere tempo, non volevo stare un minuto di più assieme a tutte quelle persone.

Avevo un solo rammarico, quel tempo che sembrava scorrere così lento, in quella lunga mattinata, lo avrei rimpianto, quando Lei non ci sarebbe più stata.

Come al solito, in ogni momento in cui necessitavo di calma e tranquillità il cellulare ci si metteva di mezzo.

O, per meglio dire, Carmela ci si metteva di mezzo.

Mi rimisi seduto ed accettai la chiamata in arrivo pronto ad una nuova sfuriata.

"Paolo, tesoro"  mi stupì invece lei  "si può sapere dove sei finito?"

Ancora una volta mi trovai costretto a porre rimedio ad una mia mancanza, una leggerezza nella quale ultimamente incappavo spesso.

"Ehm, scusami, ho perso un po' di tempo a riordinare"

Lei ridacchiò  "ma, Paolino, che testone che sei, io sto per partire e tu riordini"

Il suo tono dolce e mellifluo non riuscì a coprire la nota sarcastica e di rimprovero insita nella sua voce.

"Hai ragione"  continuai anch'io con quella farsa  "sono proprio uno sbadato, dammi un attimo che ti raggiungo"

"Ecco, bravo, ci vediamo appena puoi"

Riuscii ad immaginare il suo sorriso tirato, la rabbia che covava dentro nei miei confronti, le parole che, pur celate, avrebbe voluto riversarmi contro.

Ancora una volta però non riuscii a darle torto. Nei suoi confronti non mi stavo comportando bene, non le stavo dando le giuste attenzioni e lei non lo meritava.

Carmela poteva avere tanti difetti ma non si meritava certo la mia indifferenza.

Il fatto era che, da un po' di tempo, mi comportavo come un emerito codardo, come uno che non era in grado di prendere la giusta decisione.

In realtà quei giorni mi erano stati di grande aiuto per capire determinate cose e fare chiarezza nella mia vita solo che forse non ero ancora capace di accettarlo.

Avrei ragionato a lungo sui miei pensieri, avrei chiesto aiuto ai miei amici, avrei rimesso tutto a posto ma avrei avuto bisogno di tempo. Quello non era né il luogo né il momento adatto per prendere decisioni di alcun tipo.

Quello era il tempo di continuare a fingere.

Indossai la mia maschera migliore, il mio sorriso di circostanza e, una volta posto un enorme peso sul cuore mi sentii pronto a raggiungere tutti gli altri.

A raggiungere Carmela.

La mia fidanzata.




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A me gli occhi!

Scusate se ormai non rispetto più i giorni stabiliti per la pubblicazione ma tra la connessione assente e il mal di testa più che presente tutto va ad una lentezza inaudita.

Cooomunque ce la metterò tutta per tornare puntuale e attiva.

Un'ultima cosa: una lettrice (ma che dico lettrice), una fan (ma forse anche fan è riduttivo), una vera appassionata di questa storia e della precedente ha creato una pagina facebook in onore dei due scritti. 

Se a differenza mia avete Facebook e avete piacere a farci un giro vi lascio il link qui e nella bio : https://www.facebook.com/pg/pinkingwords/community/

Ringrazio ancora @@sorredan per il bellissimo pensiero e ringrazio di ♥ tutti voi.





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