53 - Nottatacce e abbracci
Potevo sentirmi tranquillo quando dentro di me c'era come un uragano di emozioni in piena portata?
No era l'unica risposta possibile.
No, perché cercavo in continuazione quegli occhi pur sapendo di non poterli trovare.
No, perché la sola vicinanza di Carmela mi infastidiva.
No, perché ogni sorriso, ogni pensiero felice, ogni sguardo d'intesa mi sembrava un tradimento.
E non ero confuso, peggio.
Me ne stavo sulle mie, il mio corpo era presente ma la mente non poteva essere più lontana di così.
Pensavo.
Pensavo a tante cose ma a niente in particolare.
Di tanto in tanto potevo notare gli sguardi cupi e complici che Adriano e Andrea si scambiavano dopo aver squadrato me.
Avevano certamente notato che non c'ero, mi conoscevano fin troppo.
Raggiungemmo una piccola rosticceria e, tra una chiacchiera e l'altra, nel giro di mezz'ora, riuscimmo a sfamare tutti.
Tutti tranne Andrea.
Andrea era una specie di pozzo senza fondo, avrebbe mangiato qualunque cosa da lui considerata commestibile. Io, al contrario, non avevo fame, avevo provato a spiluccare qualcosina ma avevo lasciato al mio amico il compito di spazzolare via tutto.
Quando tutti ebbero finito, per mia gioia, decidemmo finalmente di rientrare.
Una volta raggiunti gli alloggi Carmela tornò a ricercare la mia attenzione. Si avvicinò suadente, cominciò ad accarezzarmi le braccia chiedendomi sottovoce quali programmi avessi per il continuo della serata.
Quel contatto e quella forzata vicinanza mi diedero la pelle d'oca, e non era affatto una sensazione piacevole. Era come un'ustione, un'eruzione cutanea che affiorava sulla pelle e fin dentro le viscere, una morsa che mi attanagliava lo stomaco contorcendolo e portandomi a voler rigettare quel poco che avevo ingerito.
Cercai gli occhi di Adriano e mi feci forza in quelli.
-Non mi sento molto bene- risposi a Carmela.
-Cos'hai?- continuò con quelle sue carezze.
-Mi sento lo stomaco sotto sopra- decisi di utilizzare parte della realtà.
-Sarà mica colpa di qualcosa che hai mangiato?-
Negai col capo, se mi avesse davvero prestato attenzione avrebbe notato che non avevo praticamente mangiato nulla.
-Allora è meglio rientrare- disse lei con tono dispiaciuto.
-Già, sarà meglio-
-Allora andiamo?- sollecitò.
No. No. No!
Non avevo pensato all'idea di doverla riaccompagnare.
Spalancai gli occhi al pensiero di quella promessa che avevo fatto solo qualche ora prima.
Non potevo non mantenerla, non potevo presentarmi davanti a quella porta sapendo che oltre la soglia ci fosse Lei.
Mi aveva chiesto di evitare un incontro ma io avrei fatto di più, non mi sarei nemmeno avvicinato a Lei al fianco di Carmela.
-Ascolta- sussurrai -forse è meglio che chieda a Giovanni di accompagnarti in camera-
Carmela bloccò ogni suo movimento, alzò i suoi occhi nei miei ed assunse quell'espressione tenera alla quale spesso rischiavo di cedere.
-Perché non mi accompagni tu?- chiese sbattendo delicatamente le ciglia.
-Perché credo sia meglio che vada-
Vidi il suo sguardo farsi deluso ma non riuscii a cambiare idea. Volevo davvero allontanarmi da lei, da tutti; volevo rinchiudermi nella mia stanza, nel mio letto, scacciando via ogni pensiero.
In quel momento intorno a noi c'era silenzio, ognuno sembrava non voler far rumore per evitare di intromettersi nella nostra discussione. Discussione che, per inciso, durò giusto il tempo di far voltare Carmela e farla procedere verso gli alloggi degli ospiti.
La vidi allontanarsi e non sentii nulla. Nessuna morsa allo stomaco, nessun fremito, nessuna voglia di correre ad abbracciarla e chiederle scusa. Nulla!
Appena tutti si allontanarono lasciandomi solo coi miei due amici mi lasciai cadere su di una panchina sbuffando rumorosamente.
-Si può sapere che hai?- chiese all'improvviso Adriano scuotendomi.
Aprii gli occhi ma non risposi.
Lui si piegò sulle ginocchia per essere alla mia altezza e domandare -stai bene?-
-Non lo so- risposi richiudendo gli occhi e inclinando il capo all'indietro.
-Quella del mal di stomaco era solo una scusa, vero?- chiese Andrea posando una mano sulla mia spalla.
Aprii gli occhi e mi voltai verso di lui.
Dalle mie labbra venne fuori una sommessa risata isterica.
-Sono un pessimo attore- sputai acido.
Loro mi fissavano sbalorditi, quasi come se avessero di fronte un mostro.
-Forse sto impazzendo- dissi nascondendo il viso tra le mani.
Mi sentivo perso, mi sentivo pazzo davvero.
Quei ragazzi mi guardavano non sapendo cosa fare mentre io non sapevo cosa dire.
Come potevo spiegargli cosa mi passava per la mente quando ero il primo a non capirlo?
Erano un insieme di strane sensazioni.
Era come sentirsi continuamente a disagio, come portarsi addosso un peso indesiderato, come sentire di sbagliare ogni mossa.
E allora qual era la cosa giusta da fare?
Forse ero solo stanco, una bella dormita mi avrebbe fatto bene.
Provai a dirlo ai ragazzi ma loro sembravano poco convinti. Gli leggevo in faccia la paura e l'apprensione che qualcosa di importante mi stesse affliggendo.
-Guardate che sono bene, sono solo... Confuso-
-E perché non provi a parlarcene- disse Adriano -magari possiamo aiutarti a capire-
-Nessuno può aiutarmi, devo fare chiarezza da solo-
-Ma...- si fece avanti timidamente Andrea -centra Carmela?-
-Carmela...- sospirai -Carmela è forse l'ultimo dei miei pensieri-
Andrea sgranò gli occhi ma immediatamente un sorriso irriverente gli si aprì sulle labbra.
Adriano cominciò a guardarci, alternando l'uno all'altro, poi sbottò: -voi due mi fate paura-
Bastarono quelle parole a sciogliere la tensione accumulata, tutti e tre scoppiammo a ridere alleggerendo di gran lunga i nostri animi.
Dopo quella breve parentesi comica decidemmo di salutarci e di rientrare.
Una volta a letto, dopo una lunga doccia e un'altrettanto lunga serie di rassicurazioni ad Adriano, tentai finalmente di rilassarmi.
Purtroppo però i miei pensieri tornarono a vorticare furenti e rumorosi come cavalli da corsa imbizzarriti.
L'unico porto sicuro, in cui potevo trovare la pace era Lei.
Pensare a Lei riusciva a tranquillizzarli ma mi metteva tristezza allo stesso tempo. Le circostanze ci avevano costretti a vivere distanti quei giorni programmati per essere vissuti diversamente.
E se ero riuscito a farmi una ragione dello scorrimento di quelle giornate non ero capace di spiegarmi perché in quell'ultima sera eravamo così distanti.
Io e Lei saremmo potuti essere in casa mia, da soli, a parlare del più e del meno.
La sua voce, i suoi occhi, mi sarei lasciato cullare da tutto quanto avesse avuto da offrirmi.
E invece ero in quel letto da solo, senza poterla nemmeno sentire.
Eppure c'era ancora qualcosa che potevo fare, potevo sempre scriverle.
"Che fai?" le scrissi.
Sperai che non stesse già dormendo, che volesse parlarmi, che scacciasse con quei messaggi tutti i miei demoni.
"Hei, stavo quasi per dormire"
"Sei stanca?"
"Solo un po'"
"Vuoi che ti lasci dormire?"
"No! Mi fa piacere parlare un po' con te"
"Scrivere..." la corressi.
"Scrivere si... Tu che fai?"
"Io non riesco a dormire"
"Pensavi di usarmi come ninna nanna?"
"Pensavo potessi riuscire a calmarmi"
"Nervoso?"
"Agitato"
"Cosa c'è che non va?"
"La mia testa?"
"Scemo la tua testa è fantastica quando vuoi farla funzionare"
"Vorresti dire che ciò non accade spesso?"
"Lo hai detto tu"
"Sei proprio un'impertinente"
"E tu un pazzo"
"Eh già, sono proprio uno stupido pazzo"
Sorrisi, era la seconda volta che quella definizione si affiancava a me in quella serata.
Attesi alcuni istanti una risposta che però non arrivò.
"Ci sei? Ho forse detto qualcosa di strano?"
Ancora nessuna risposta, nessuna parola, nemmeno una sillaba.
Dapprima mi spaventai quindi rilessi la sequenza dei nostri messaggi in cerca di qualcosa che stonasse col tono della nostra conversazione poi, dopo aver guardato l'ora mi accorsi che fosse davvero molto tardi e che probabilmente la colpa di quella sua assenza fosse da rintracciare nel suo cedere al sonno.
Prima di cedere a mia volta composi un ultimo messaggio e lo inviai sentendomi pervadere da una strana sensazione di pace.
"Ok, mi arrendo, credo tu sia crollata! Questi giorni sono stati carichi di ogni cosa. Ora non importa più quale sia stato il motivo che ti abbia spinto a partire, quello che conta è che tu sia venuta, che sia stata con me, nonostante tutte le mie cazzate... Forse sto divagando ma credevo fosse importante dirtelo, non so se riuscirò a farlo a voce. Cerca di dormire bene, domani ti voglio rilassata e sorridente. Vorrei tanto abbracciarti, mi dovrò accontentare di ricordare cosa si provi... A domani, buona notte!"
Era Lei a trasmettermi tutto quanto di più positivo avessi mai provato.
Ormai ne avevo l'assoluta certezza.
Con quei pensieri e quella nuova consapevolezza fissati in mente riuscii facilmente a prendere sonno tanto che quasi mi stupii quando, al mattino, fui riscosso dal suono della sveglia.
Senza avvisare Adriano indossai degli abiti comodi e, dopo esser passato al bar per un caffè, mi dedicai al mio personale allenamento quotidiano.
Ero ancora intento a correre quando il vibrare del cellulare che tenevo nella tasca della felpa mi avvisò dell'arrivo di un messaggio.
Il mittente prima ed il contenuto poi, mi procurarono un gran sorriso.
"Buongiorno, mi sono appena svegliata... Mi piacerebbe tanto ricevere un abbraccio mattutino"
Che scema che era, aveva ripreso le mie parole e le aveva rigirate a suo piacimento, come ormai aveva imparato a fare fin troppo bene.
Nonostante tutto colsi il suo invito e lo riutilizzai a mia volta.
"Buongiorno a te dormigliona! Io ho già fatto la mia mezz'ora di corsa. Se scendessi a fare colazione avresti il tuo meritato abbraccio"
"Adesso?" chiese Lei in risposta.
"Dieci minuti al massimo"
"Ok, volo"
"Ti aspetto all'ingresso"
Dopo quel rapido scambio di battute raggiunsi nuovamente il centro sportivo, salutai i miei compagni di squadra e raggiunsi l'ingresso per aspettare Lei.
Lì incontrai Andrea.
-Buongiorno- disse mentre con una mano si stropicciava un occhio e con l'altra reggeva una brioche.
-Ciao Andre-
-Dormito bene?-
-Benissimo-
-Ook- prese tempo lui -e... posso chiederti che stai facendo qui impalato?-
Risi scuotendo la testa -sto aspettando-
-Stai aspettando... Lei?-
Annuii.
-Oh allora ti lascio alla tua dolce attesa- ammiccò.
-No, no ma io...- provai a giustificarmi con le gote in fiamme.
Lui rise di cuore e senza dire una parola mi superò per raggiungere l'interno.
-Andre- lo richiamai.
Lui si voltò in attesa.
-Sei proprio uno stronzo- dissi.
-Ti voglio bene anch'io- disse lui prima di riprendere il suo cammino ridacchiando sommessamente.
L'osservazione di Andrea mi aveva messo in imbarazzo, mi aveva fatto arrossire e mi aveva reso nervoso più di quanto già non fossi. Presi a camminare avanti e dietro lungo l'atrio per attenuare la tensione ma nulla sembrava potermi calmare.
Avevo improvvisato quell'invito pur sapendo perfettamente cosa fare eppure in quel momento mi sembrava di essere in balia del nulla.
Temevo di sbagliare, di rovinare tutto, temevo di non riuscire più a tirare i fili della mia vita.
Ritrovai un po' di contegno quando la vidi avvicinarsi, il suo sorriso, come sempre, sembrò calmarmi.
Mi resi conto solo allora di quanto tempo avessi passato in attesa, di quanto, quei dieci minuti inizialmente prospettati si fossero dilatati fino a diventare diciassette.
Provai a fingermi serio, a far scivolare tutta la tensione accumulata concentrandomi completamente su di Lei.
Stranamente vi riuscii e quando Lei mi fu vicino riuscii persino a prenderla in giro.
-Sono passati ben 17 minuti-
-Ho fatto più in fretta possibile-
-Andiamo- le dissi sforzandomi di celare un sorriso -abbiamo poco tempo prima che comincino ad arrivare tutti-
-Un attimo- disse fermandomi prima che potessi cominciare a muovermi.
-Si?-
-Stai dimenticando qualcosa!- disse.
Io mi fermai a guardarla.
Stavo dimenticando qualcosa... Ma cosa?
-Abbiamo fretta!- dissi cercando di farmi seguire.
-Prima mi devi il mio abbraccio-
I suoi occhi si illuminarono mentre un delizioso broncio le arricciava le labbra.
-Vero! Hai ragione- ed io chissà che pensavo.
Aprii le braccia e Lei vi si tuffò immediatamente, la strinsi forte a me e, sussurrando tra i suoi capelli le diedi il buongiorno che si meritava.
Rimanemmo abbracciati per un po', accoccolati senza parlare.
Era bello starsene così, in silenzio ma il tempo a nostra disposizione era davvero troppo poco.
-Mi dispiace- continuai a dire sottovoce -ma dobbiamo andare a fare colazione o...-
Non mi diede tempo di finire la frase perché si allontanò da me sorridendo radiosa.
Per un attimo mi persi in quegli occhi poi tornai in me e la condussi al mio bar preferito, quello che mi accoglieva quasi fosse una seconda, o meglio una terza, casa.
Lasciai che si accomodasse ad uno dei tavoli e le chiesi se volesse del caffè.
-Meglio un cappuccino- rispose accennando nuovamente un sorriso.
-Ok, torno subito- mi allontanai per avvicinarmi al bancone e per stupirla, almeno una volta.
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