49 - Ricominciare da capo
Quando fummo all'esterno e l'aria fresca della notte mi colpì il viso mi sentii come privato di un sogno.
Fu come se la nostra bolla personale si fosse infranta a contatto con l'aria.
Ci avvicinammo all'auto dove Andrea se ne stava con le cuffie alle orecchie.
Ringraziai il cielo per avermi fatto incontrare una persona come lui. Pochi altri si sarebbero messi in auto in piena notte per aiutare un amico che, per inciso, forse nemmeno lo meritava.
Ma ne aveva un gran bisogno.
Ed il bisogno di non lasciar sfumare quell'attimo di noi si concretizzò nella paura di vederla andar via.
Non volevo salire in quella macchina. Non volevo che tutto finisse così in fretta. Ed una morsa mi attanagliò lo stomaco. Un dolore sordo, opprimente ma in fondo piacevole perché mi legava a Lei.
-Grazie- le dissi squarciando il silenzio che ci eravamo creati attorno.
-E di che cosa?- chiese Lei.
-Devo davvero dirtelo?-
Lei annuì illuminata dal sorriso che si portava in viso.
Io le andai più vicino, posai le mani sulle sue spalle e la fronteggiai.
-Allora, vediamo- cominciai contando sulle dita che tamburellavano sulle sue spalle -grazie per essere venuta, grazie per esserti fidata di me, grazie perché, anche se non sembrava, io ti ho osservata ed ho visto che sei stata fantastica coi ragazzi, grazie per avermi perdonato e grazie per avermi dato una seconda possibilità. Ti basta?-
-No- sorrise provocatoria.
Mi coprii il viso con una mano per nascondere una risata e, senza pensarci, portai quella stessa mano sul suo viso per lasciarle una carezza.
-Come devo fare con te?- le chiesi.
-Mi stavo proprio chiedendo la stessa cosa- rispose pungendomi con le mie stesse parole.
-Eccoci, finalmente ci riconosco- dissi.
Poi, per rispondere all'espressione interrogativa comparsa sul suo volto continuai -noi siamo questi-
Il suo sorriso crebbe a dismisura, come il riverbero nel mio stomaco. Quel dolore sempre più piacevole che si stava irradiando al petto e fino ancora al cervello.
I suoi occhi brillavano, pensai di distogliere lo sguardo ma Lei, agendo di slancio, mi cinse in un abbraccio.
Con una naturalezza disarmante adagiò la testa sul mio petto ed io non riuscii a fare a meno di stringerla a me e ridere.
Ridere per quel momento magico solo nostro, per quella vicinanza inaspettata, per quelle emozioni che mi stavano dando alla testa.
Mi allontanai da Lei dopo averle baciato la fronte in un gesto affettuoso ma subito mi riavvicinai per baciarle una guancia. Le volevo un gran bene, non avevo dubbi, ma c'era qualcosa in noi che proprio non riuscivo a comprendere. Qualcosa che mi faceva vorticare le idee e contorcere lo stomaco, qualcosa che vedevo riflesso anche nei suoi occhi, nonostante tutto.
Quando quello sguardo divenne troppo pesante da sostenere cercai di allontanare quei miei pensieri che però non volevano saperne di restarsene in disparte. Avevo bisogno di rimanere solo, di pensare lucidamente, di riordinare il casino che regnava nella mia mente.
Solo allora ricordai della presenza di Andrea, bussai al finestrino per richiamare la sua attenzione e, quando lui abbassò il finestrino, mi sporsi per parlargli.
-Finito?- chiese lui con un sorriso enorme.
-Si, ma ho bisogno che tu la riporti indietro-
La sua espressione mutò all'istante: -cioè?-
-Mi serve fare quattro passi, quindi te la affido-
Lui mi fissò scettico.
-Dai Andre ti prego, giuro che non faccio casini-
Lui sbuffò ma annuì poco convinto.
Accostai lo sportello e tornai a guardare Lei.
-Ti spiace se ti lascio rientrare con Andrea?- le chiesi -Ho bisogno di fare quattro passi-
-Perché?- chiese a bruciapelo.
-Così, mi va di camminare un po'- le risposi.
-Ma, ma, io...-
Era confusa, la sua tenerezza mi sciolse ancora una volta.
Volli farle sentire tutta la mia presenza, le accarezzai un braccio e la guardai cercando di risultare rassicurante.
-Tranquilla non scappo- sorrisi.
-Ma è tardi- si lamentò.
Sorrisi di rimando a quella sua espressione imbronciata -ci vuole poco più di un quarto d'ora per tornare a piedi, chiedi ad Andrea-
Soffiò fuori l'aria non trovando un appiglio a cui potersi agganciare per portare acqua al suo mulino.
-Non fare così- la pregai -ti prometto che ti mando un messaggio appena arrivo-
-Mmmmh, tu e le tue promesse!- sbuffò ancora guardandomi con gli occhi ridotti in due fessure.
-Trattamela bene- dissi ad Andrea trattenendo a stento un sorriso.
-Sicuro che non vuoi un passaggio?- chiese ancora lui.
-No, andate voi. Buona notte!-
-'Notte- salutò Lei chiudendo lo sportello al posto mio e lasciandomi interdetto come uno stoccafisso a guardare l'auto che pian piano si allontanava da me.
Vedere il suo volto diventare sempre più piccolo, farsi ogni istante più lontano mi riportò alla mente un'immagine che pensavo di aver dimenticato.
La prima volta che i nostri sguardi si incontrarono...
Ancora una volta c'era Lei che si allontanava, che andava via da me, forse per sempre. Quello era stato il nostro primo incontro conclusosi in una manciata di minuti.
Quando Lei era salita in macchina e mi aveva regalato il suo ultimo saluto mi ero sentito preda di una sorta di nostalgia.
Mi sarebbe piaciuto trattenerla, dirle di restare ancora un po' perché l'idea di poterla non rivedere più un po' mi metteva tristezza, ma il destino aveva già deciso per noi.
Fortunatamente però, il nostro, era stato un allontanamento temporaneo. Doveva per forza esser scritto da qualche parte che Lei dovesse far parte della mia vita.
Mi ritrovai a ringraziare chiunque regolasse l'andamento del mondo per averla messa sulla mia strada.
Era impossibile spiegare quanto prepotentemente si fosse insediata nelle mie giornate, in ogni pensiero, in ogni istante. Lei era come un regalo che ero felice di scartare ogni volta e di cui potevo dirmi infinitamente geloso.
Dentro di me stava accadendo qualcosa di molto strano.
Ma cosa?
Era così complicato capirmi, leggermi dentro.
Con Lei mi sentivo vulnerabile, temevo di poter cedere da un momento all'altro, di sbagliare ad ogni passo.
E tutto questo mi faceva paura.
Ma come per ogni cosa avevo bisogno di sbatterci contro la testa prima di arrendermi all'evidenza. In quel caso sbattere la testa sarebbe equivalso ad andare incontro alle mie sensazioni, e le avrei seguite ovunque e comunque.
Soprattutto perché, le mie sensazioni mi portavano dritto dritto da Lei.
Lei...
I suoi occhi...
Quel suo modo di guardare le cose, di guardare me.
Subito le scrissi un messaggio.
"Sai a cosa ho pensato quando ti ho vista andare via?"
La sua risposta fu più rapida di quanto potessi aspettarmi.
"No, a cosa"
"Al nostro primo incontro! Anche quella volta ti ho vista allontanarti in macchina mentre con lo sguardo continuavi a cercarmi"
"Chi ti dice che stavo cercando te?"
Quanto le piaceva stuzzicarmi, un sorriso comparve spontaneo sul mio viso.
"Lo so e basta, comunque mi è sembrato di rivivere la stessa scena. Quanto mi farai aspettare stavolta prima di ritrovarti?"
Questa volta fui io a punzecchiare Lei.
"Dipende tutto da te... Stavolta non sono stata io a scappare, sei stato tu che hai preferito allontanarmi. Fosse per me in questo momento saremmo nella stessa auto"
Eccola, con Lei erta inutile, riusciva sempre ad avere ragione su di me.
"Non ti ho allontanata, non di nuovo, volevo solo stare un po' da solo"
"Ok... Domani mattina mi ritroverai, vedi di esserci anche tu"
Quell'ultima frase me l'ero meritata. Avevo sbagliato così tante volte con Lei che non potevo aspettarmi si fidasse ciecamente. Eppure sapevo che quella sera, tra di noi, era scattato qualcosa di speciale, qualcosa che ci avrebbe uniti e cambiati nel profondo.
In quella stanza prima e nell'ascensore poi, era stato come aprirsi l'uno all'altra; come donarsi una parte speciale di sé.
Come ripartire dall'inizio, abbattendo tutti quei muri e le barriere che ci avevano frenato fino ad allora.
Ed io sapevo che l'indomani ci sarei stato e che, se Lei me lo avesse permesso, sarei rimasto per sempre. Ed ero pronto a prometterlo, a Lei e a me stesso.
"Promesso! Ricominciamo da capo"
Ma, ricominciare da capo, non sarebbe stato solo un modo di dire. Voleva essere una scelta razionale di seguire la strada più giusta, quella che portava alla felicità e non alla finzione e alla frustrazione. Volevo scegliere di essere libero e quella notte me lo aveva fatto capire come mai prima.
Impiegai un quarto d'ora circa per rientrare in alloggio e, proprio allora, ricevetti una telefonata di Andrea che mi chiedeva se fossi arrivato.
Gli dissi che mi trovavo nell'androne principale, che poteva stare tranquillo ed andarsene a letto, d'altronde aveva già fatto tantissimo per me quella notte.
Quel ragazzo era speciale davvero, mi appuntai mentalmente di ringraziarlo a dovere ma rimandai tutto all'indomani mattina; oramai si era fatto tardi ed avevo solamente bisogno di dormire.
Prima di riporre il cellulare però scrissi a Lei un messaggio per rassicurarla riguardo il mio rientro.
"Sono appena rientrato. Visto? Non mi è accaduto niente"
Volevo tranquillizzarla certo, ma non potevo non giocare con Lei.
In attesa di una sua risposta continuai il mio cammino verso la mia stanza.
Una volta aperta la porta e accesa la luce un mugolio mi fece trasalire.
-Hei- mormorò Adriano dal divano stiracchiandosi e schermando gli occhi con una mano -allora?-
-Che ci fai qui? Saranno le...- controllai il cellulare - sono le 2 e mezza! Perché non sei a dormire?-
-Secondo te potevo dormire tranquillo?-
Lo guardai scettico -non mi sembri poi così sveglio-
-Mi sarò appisolato un attimo, che vuoi che sia?-
Lo fissai allibito ma non riuscii a trattenere a lungo una risata di fronte al suo volto sfatto e stralunato.
-Ridi, ridi... Significa che sei contento-
Scrollai le spalle controllando il cellulare sul quale però non compariva alcuna notifica.
-Quindi?- tornò a catturare la mia attenzione Adriano -Devo tirarti fuori le parole con le pinze?-
-Che vuoi sapere?- chiesi raggiungendolo sul divano.
Lui si mise seduto facendomi spazio.
-Com'è andata?- chiese inclinando la testa per guardarmi meglio.
Finsi di pensarci un attimo poi fissai i miei occhi nei suoi.
-Abbiamo deciso di ricominciare da stasera-
Lui mi guardò perplesso.
-Che significa?-
-Significa che è arrivato il momento di mettere la testa a posto e non fare più cazzate-
-Sei tu che sei criptico o sono io che non capisco un tubo?- chiese con un mezzo sorriso.
-Tutte e due!- risposi prima di esortarlo ad andarsene a letto.
-Dimmi solo una cosa- aggiunse lui -tu stai bene?-
Annuii.
-E sei felice?-
-Tanto-
-A me basta questo-
Mi posò una mano su di una spalla e se ne andò in camera lasciandomi solo col mio sorriso sbilenco.
Mi lasciai andare contro la spalliera del divano mentre davanti agli occhi mi passavano rapide le immagini di quella serata così intensa.
Solo la vibrazione del cellulare riuscì a tirarmi fuori da quel sogno ad occhi aperti.
Era naturalmente Lei, chi altri poteva essere a quell'ora tarda di notte?
"Potevi comunque tornare con noi"
Sorrisi. Aveva sempre qualcosa da ridire.
"Lo so, dovevo camminare un po'. Tu come stai?"
"Bene" rispose.
"Merito di Andrea?"
"In gran parte si!"
"Mi toccherà ringraziarlo come si deve. Ora è tardi però, ti lascio dormire"
"Ok, buona notte! A domani"
"Contaci!"
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