47 - Cosa ci sta succedendo
Buona festa dell'Immacolata!!!
♥♥♥
Giunsi alla porta di Andrea in un attimo, trafelato e con la salivazione azzerata.
Bussai forte e trattenni un fremito quando mi trovai di fronte il viso incuriosito di Andrea. Avrei voluto spingerlo per farmi spazio ma mi trattenni e mi spostai di lato per evitare persino di sfiorarlo.
Una volta dentro fissai i miei occhi su di Lei e rimasi immobile per un attimo.
-Allora è vero che non vuoi uscire?- domandai a nessuno in particolare.
Lei distolse lo sguardo.
-Perché- continuai - è successo qualcosa?-
-Cosa dev'essere successo?- si intromise Andrea - vogliamo solo rimanercene tranquilli qui-
Lo fulminai con uno sguardo.
Cosa c'entrava lui?
Perché cercava di mettersi in mezzo?
Mi rimproverai mentalmente quando pensieri maligni si fecero spazio mentre Andrea mi sorrise comprensivo.
Lo scusai silenziosamente e mi colpevolizzai per aver, ancora una volta, pensato male di uno dei miei migliori amici.
Riportai a Lei la mia attenzione.
-Possiamo parlare un attimo?-
Avevo bisogno di parlare con Lei, di sentire dalla sua viva voce le cose che, nella mia testa, non trovavano una spiegazione. E avevo bisogno di farlo con Lei. Con Lei solo.
La sua espressione rimase immutata ma seguì la mia richiesta e mi raggiunse mentre Andrea, fingendo indifferenza, si allontanò per lasciarci soli.
-Puoi dirmi qualcosa?- le chiesi appena mi fu vicina.
-Cosa vuoi che ti dica- disse senza incontrare il mio sguardo.
-Spiegami cosa sta succedendo. Cosa ci sta succedendo-
-Non sta succedendo proprio niente- sputò amara -Voglio solo rimanere qui stasera, vorrei starmene tranquilla con i ragazzi. Non credo di chiedere tanto-
-No, non è tanto, è solo che... Bhe a me sembra tutto strano. Tu sei qui, nel mio mondo, ma non siamo mai stati così distanti. Non so, non ti vedo felice, è come se tu ce l'avessi con me-
Mi costò molto ammettere tutto ma ero intenzionato ad essere sincero. Se volevo conservare intatto il nostro rapporto dovevo giocarmi il tutto per tutto.
-A me sembra piuttosto che sia tu a sentirti in colpa per qualcosa-
La sua risposta mi mozzò il fiato. Mi aveva colpito dentro. Annaspai prima di riuscire a trovare le parole per risponderle.
-Forse è davvero così- dissi lasciando fuoriuscire quello che mi stava macchiando l'anima.
-Se è così io non posso farci niente- rispose con freddezza.
-E' che io questi giorni me li aspettavo diversi-
Quella frase stava diventando ridicola a furia di pronunciarla ma era davvero quello il mio pensiero.
-Li avevo immaginati speciali per noi due- mi lasciai sfuggire nascondendomi poi dietro un sorriso imbarazzato.
-Basta così- i suoi occhi divennero lucidi di lacrime.
Abbassò la testa e, con la poca forza che si ritrovava cercò di spingermi oltre la porta che Andrea aveva lasciato socchiusa.
-Perché fai così?- le chiesi senza riuscire a modulare le emozioni nella mia voce.
Lei non rispose ma le sue braccia cominciarono a tremare impercettibilmente.
-Non possiamo ricominciare da stasera?- continuai.
Scosse la testa in modo frenetico -per favore, raggiungi gli altri, Carmela ti starà aspettando-
A quel nome mi sentii pietrificato. Era lì il centro di tutto. Era quello il cuore del problema.
Carmela.
Carmela con la sua presenza, coi suoi modi o con la sua sola esistenza.
Qualcosa nel mio modo di pensare prese una piega diversa.
Tornai a guardarla ancora, magari speravo riuscisse a leggermi dentro.
Quello che vidi però mi mortificò e mi fece stringere il cuore.
Lei se ne stava stretta nelle sue spalle tremanti, con le braccia tese lungo i fianchi quasi abbandonate.
Avrei voluto solo abbracciarla ma l'ammonimento di Adriano mi tornò in mente. Non dovevo far casini. Non potevo proprio permettermelo.
-Noi però dobbiamo parlare- dissi -vorrei tanto farti vedere una cosa-
-Per quello ci sarà tempo-
Non c'era speranza nelle sue parole, né nel suo volto.
Senza compiere sforzi mi spinse fuori dalla stanza chiudendo la porta dritta sul mio viso.
Rimasi a fissare quel legno che mi divideva da Lei, la sentii piangere e repressi con uno sforzo immane il desiderio di buttarlo giù a calci e pugni. Proprio quei pugni che serrati finirono lungo la porta, in silenzio, senza fare il benché minimo rumore assieme alla mia fronte.
Per la prima volta, dopo anni ed anni, dai miei occhi una lacrima solitaria sfuggì per solcare la mia guancia e perdersi tra l'incavo del collo e la maglietta.
Aspettai di ricompormi un istante prima di tornare in sala comune da Adriano e gli altri. Quando però fui lì, in mezzo a quella confusione, alle voci che si rincorrevano indistinte, a quegli occhi che non mi apparivano come avrei voluto, cercai il mio amico.
Di Adriano però non c'era traccia, mi guardai intorno perso, in cerca di un appiglio ma gli unici occhi che mi si avvicinarono furono quelli di Carmela.
-Cercavi qualcuno?- chiese ammiccando e picchiettando sulle mie spalle col dito indice.
Non riuscii a dirle che non era lei che stavo cercando, non riuscii a dirle proprio niente.
Ero troppo frastornato e inerme di fronte alle emozioni che si stavano irradiando lungo tutte le terminazioni nervose del mio corpo. Fremevo d'ansia e di frustrazione. Sarei voluto tornare indietro sui miei passi, bussare nuovamente a quella porta e prendermi quello che volevo: un vorace abbraccio.
-Dov'è Adriano?- chiesi d'impulso.
-Non saprei- rise civettuolamente Carmela strusciando l'indice lungo le mie braccia -se n'è andato da un po'. Tu... Hai risolto?-
La guardai confuso non capendo la sua domanda.
-Adriano mi ha detto che avete avuto un problema in camera-
-Ah si, quello! Tutto risolto!-
-Ma sei sicuro di star bene?-
-Si- dissi incerto -perché?-
-Non lo so, hai gli occhi lucidi e sembri... sconvolto-
Finsi un sorriso -sto benone, tranquilla-
-Ok- sussurrò accostandosi al mio fianco e poggiando la testa sulla mia spalla.
Cercai di scansarmi con discrezione, tutta quella vicinanza mi stava dando sui nervi.
-Vuoi fare qualcosa in particolare stasera?- le chiesi.
-Magari un localino... C'è qualcosa del genere da queste parti?-
La guardai di traverso -guarda che non siamo su Marte-
Lei mi portò le braccia intorno al collo e mi stampò un bacio a labbra socchiuse. Io le cinsi i fianchi allontanando discretamente il viso dal suo, la guardai senza realmente vederla e le chiesi di coinvolgere tutti gli altri nella nostra serata.
Mi prese la mano e mi guidò verso gli altri che se ne stavano assiepati sui gradini esterni. Con poche parole organizzammo la nostra serata alla quale, notai con rammarico, sarebbero mancate le persone per me più importanti.
Non ci sarebbero stati i miei amici e non ci sarebbe stata Lei.
Ma come darle torto?
Mi ero comportato da emerito cretino. Le avevo chiesto di venire, l'avevo in qualche modo forzata a quel viaggio che, per qualche ragione, le stava stretto e infine l'avevo abbandonata.
Mi sarei preso a schiaffi da solo ma, ancora una volta, Carmela mi tirò fuori dai miei pensieri scuotendomi leggermente una spalla.
Focalizzai la mia attenzione su di lei sbarrando gli occhi come se mi fossi appena svegliato da un lungo sonno.
-Allora?- chiese con insistenza.
-Allora cosa?- domandai confermando la mia poca attenzione nei loro riguardi.
-Eli ti stava chiedendo se avessi notizie della sua amica. Ma dove hai la testa?-
-Sono un po' distratto, scusatemi-
-Quindi?- ribadì lei.
-Quindi cosa?- sbottai.
-Paolo sei intrattabile- concluse lei.
Sbuffai pesantemente, poi mi rivolsi ad Eli -Lei ha deciso di non uscire stasera, le faranno compagnia i ragazzi-
Eli aggrottò le sopracciglia incredula.
-Non chiedermi altro perché non saprei risponderti- aggiunsi prima che potesse farmi altre domande.
Non ero stato gentile, lo sapevo, ma non ero dell'umore giusto per fare conversazione. Sembrava che tutti si fossero messi d'impegno per crearmi fastidio. Non sopportavo nessuno e sarei solamente voluto scappare da tutto quello.
Ma non potevo scappare, ero entrato in un tunnel senza uscita.
Proposi ai ragazzi di raggiungere uno dei locali più vicini al centro sportivo, il "Lube 787". Era un posto relativamente tranquillo in cui ascoltare musica e trascorrere piacevoli serate.
Piacevoli appunto. Non come quella che ci apprestavamo a trascorrere.
Nel tragitto, che compimmo a piedi, recuperai il cellulare dalla tasca.
Chissà cosa speravo di trovarvi, fatto sta che quando non vidi alcuna notifica mi sentii stringere lo stomaco.
Allora presi a scrivere delle parole quasi a caso.
"Scusami, sono stato uno stupido. Non so cosa mi sia preso. Non volevo che le cose andassero così e invece faccio sbagli su sbagli ed ho un casino nella testa e mi dispiace perché tu..."
Perché?
Cliccai nuovamente su uno dei tasti e vidi i caratteri scomparire uno ad uno.
Non ero bravo nel parlare ma non ero nemmeno capace di scrivere due parole che parlassero delle mie emozioni.
Volevo però farle sentire che il tormento che Lei sentiva era anche il mio. Doveva sapere che non ero andato a divertirmi lasciandola con le lacrime agli occhi, volevo si sentisse parte dei miei pensieri.
Ancora una volta pensai che tra noi le parole fossero superflue. Quindi ne scelsi una soltanto: scusa.
Inviai quel messaggio sperando che Lei lo sentisse come io lo sentivo bruciare dal centro del petto ai polpastrelli.
Arrivammo al locale ma nessuna risposta era ancora giunta. Forse Lei non aveva letto il messaggio. O forse non voleva parlare con me.
Ma come biasimarlsa d'altronde.
Avevo visto in che stato fosse, cosa potevo aspettarmi.
L'idea che stesse male per colpa mia mi mise addosso una tristezza pesante da gestire e da sopportare.
Per una volta volli fregarmene delle apparenze, dei modi gentili e della recita che mi ostinavo a portare avanti. Mi rintanai nuovamente nei miei pensieri e solo il cellulare fu compagno della mia serata.
Non ricevendo da Lei alcun cenno decisi di rivolgermi ad Andrea. Gli chiesi quale fosse la situazione ma la sua risposta mi catapultò ancora di più nel mio baratro.
"Lei finge di star bene"
Quindi anche Lei fingeva...
Che strano destino il nostro, divisi eppure uniti dallo stesso triste pensiero.
E ma io potevo fare qualcosa per cambiarla quella situazione.
Inventai un malessere, una stupida scusa per scappare via.
Non ero stato molto socievole quella sera quindi nessuno si preoccupò di smentire le mie parole. Tutti si stavano divertendo, forse li alleviai di un peso decidendo di andar via.
Tornai sui mie passi come avrei voluto fare sin dall'inizio e mi avviai verso i dormitori con la testa in subbuglio e il cuore più leggero.
Aumentai il passo fin quasi correre, fino a sentire il cuore battere forte contro la mia gabbia toracica e il respiro spezzarsi a tratti, ma non mi importava. Non mi ero mai sentito così libero. Libero da ogni costrizione, da ogni paura e da ogni legame scomodo. Ero libero, per una volta, di fare tutto quello di cui sentivo il bisogno; e il mio bisogno primario fondamentale in quel preciso istante era quello di arrivare da Lei.
Non sapevo come sarebbe andata, cosa sarebbe accaduto. Non sapevo nemmeno se Lei avesse avuto voglia di vedermi ma non mi importava. In quel momento l'unica cosa di cui mi importava davvero era quello che volevo io; ed io volevo correre da Lei, volevo che quella parte di Lei che mi portavo dentro si riunisse alla Lei reale per ridargli vita.
Volevo che tra noi tutto tornasse come era sempre stato, ero egoista probabilmente ma, per una volta, ancora, volevo pensare solamente a me.
Rallentai una volta giunto nei pressi della camera a cui ero destinato, presi un respiro profondo, cercai di calmare invano il mio cuore e bussai.
Ad aprirmi fu Alberto che mi accolse con uno dei suoi caldi sorrisi, ma io nemmeno lo notai.
Ero troppo preso dalla smania di vedere Lei.
Lei che se ne stava su quel divano, dove io avevo trascorso giorni e notti, stretta tra i miei amici, tra Andrea e Alessia. Lei che sembrava un pulcino tanto era diventata piccola al mio ingresso, Lei che non aveva neanche alzato lo sguardo e se ne stava a testa bassa a fissare il tabellone del Monopoli che giaceva sul tavolino dinnanzi a Lei.
Lei che, un attimo dopo, preso il cellulare tra le mani sussurrò:
-Ragazzi si è fatto tardi, credo di dover andare-
Tutti si voltarono a guardarla ma Lei non poté notarlo, impegnata com'era a fissarsi le mani.
Andrea però fu il primo a parlare.
-Di già?- chiese.
-Bhe, voi domani avete gli allenamenti quindi penso dobbiate riposare-
Era una scusa, le si leggeva chiaramente in volto.
Voleva solamente scappare.
Voleva scappare da me.
-In realtà,per gentile concessione del mister, vista la festa di noi lavoratori domani niente allenamento- sentii dire ad Adriano -Quindi... Siamo liberi di fare quello che vogliamo-
I ragazzi annuirono entusiasti, scambiandosi il cinque coinvolgendo anche me che me ne stavo ancora in piedi alle loro spalle.
-Io credo comunque di dover andare- tornò serio Luigi -ho promesso a Sara che non l'avrei fatta dormire da sola-
Il solito romanticone!
Nessuno ebbe da ridire, sapevamo tutti quanto lui e Sara ci tenessero alle loro piccole abitudini.
Quando lui si alzò mi sedetti al suo posto continuando a fingere indifferenza.
Come un riflesso condizionato presi anch'io a torturare le mie mani, il mio sguardo basso perso a fissare chissà quale dettaglio.
Nella stanza era sceso il gelo.
Le conversazioni erano fatte da parole spezzate e imbarazzanti silenzi. Io non trovavo la forza di alzare lo sguardo verso di Lei e tutto il coraggio che avevo racimolato per raggiungerla mi era sfuggito di mano appena me l'ero trovata di fronte.
-Allora io andrei- disse ancora Lei dopo un po' spezzando il sortilegio calato su di noi.
Alzai improvvisamente lo sguardo ma ancora una volta le parole mi morirono in gola.
Che diritto avevo io per chiederle di restare?
Tornai a fissare lo sguardo nel vuoto maledicendo la mia poca prontezza e la mia viltà.
-Vuoi davvero andare?- le chiese Andrea.
Lei fissò lo sguardo nel suo, i suoi occhi brillavano di qualcosa di sconosciuto, qualcosa che comunque invidiavo.
-Credo di si- rispose.
Credo...
E, per la prima volta, nella sua voce colsi un cedimento, un appiglio al quale colsi al volo l'occasione di agganciarmi.
Volevo passare del tempo con Lei. Volevo portarla nella nostra nuova casa. Volevo che vedesse una parte di me che non avevo mostrato a nessuno. Volevo che si sentisse speciale perché, per me, Lei speciale lo era e come!
-Ti andrebbe di fare prima una cosa con me?- chiesi incurante delle mie paure.
-Credo che non sia il caso- rispose, i suoi occhi ancora saldamente legati a quelli di Andrea che non la abbandonarono un attimo.
-Non vorrei forzarti però... Ci terrei veramente- aggiunsi.
Nessuna risposta.
-Per favore, ti chiedo solo pochi minuti, niente di più-
In mio aiuto giunse Alessia, richiamò la sua attenzione facendole distogliere lo sguardo da Andrea e le regalò un sorriso incoraggiante.
-E' una cosa bella- disse.
Il mio cuore prese a battere all'impazzata.
Alessia non era a conoscenza del mio piano, era stata una cosa improvvisa e non programmata ma aveva capito. Almeno lei si fidava di me.
-Facciamo così- disse Andrea d'un tratto -vi accompagno io in macchina così in qualsiasi momento puoi tirarti indietro-
-Lo faresti?- balzai sullo sgabello.
Andrea mi ignorò bellamente per spostarsi direttamente di fronte a Lei.
-Tu lo faresti?- le chiese dolcemente -Lo sai, non ti metterei mai in una situazione complicata-
Ed anche se probabilmente avrei dovuto odiare quella complicità non riuscii a non sentirmi felice ed elettrizzato come poche altre volte.
Ogni poro della mia pelle sprizzò emozione che si concentrò al centro del mio petto quando Lei annuì.
Avevo le lacrime agli occhi, avrei voluto urlare tutta la mia gioia ma mi limitai a sorridere come un cretino.
Lei mi stava regalando una nuova possibilità ed io non l'avrei sprecata per nessun motivo.
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