35 - Una foto
Quando uscii dagli spogliatoi vidi Lei e Manuel ridere di gusto. Erano così sereni, sembravano trovarsi estremamente a proprio agio uno di fianco all'altra.
Mi avvicinai in silenzio poi li scrutai attentamente.
-Mi sono perso qualcosa?- chiesi.
-Gli ho detto un segreto- rispose Lei cercando di camuffare una risata.
-Gli hai detto il nostro segreto?- domandai ponendo l'accento su quell'aggettivo volutamente possessivo.
Lei mi guardò stupita, quasi trattenendo il fiato.
-Ma come hai fatto?- chiese invece Manuel.
-L'ho capito subito, ha usato la parola "segreto" e poi c'è una sola cosa che la fa ridere così, anzi ce ne sarebbe un'altra ma quella dovrà rimanere per sempre solo nostra- dissi riferendomi a quell'odioso nomignolo che mi aveva affibbiato.
-Voi siete proprio strani, mi fate quasi paura- borbottò Manuel prima di alzarsi -Vado dai ragazzi, ci vediamo dopo-
Quando lui si allontanò io occupai il suo posto.
-Qual è la cosa solo nostra?- chiese Lei con una strana espressione in viso.
Io aggrottai le sopracciglia fingendomi minaccioso, mi accostai a Lei e, dopo aver appurato che nessuno potesse sentirci, le sussurrai: -quella cosa di Sailor Moon, guai a te se la dici a qualcuno-
Gonfiò le guance per un attimo fin quando proruppe in una folle risata che proprio non riuscì a trattenere.
-Ridi adesso- le dissi -perché te lo fai scappare ti faccio il solletico fino a farti piangere-
Evidentemente le mie parole non ebbero l'effetto desiderato in quanto Lei continuò a ridere indisturbata.
Continuò ancora per un bel po' con le sue risatine poi schiarendosi diverse volte la voce tornò seria per parlarmi di Manuel.
-Sei sempre così protettivo con lui?
-Io sono protettivo di natura verso chi amo ma da quando sono via e lo vedo così poco sono peggiorato. Tra noi ci sono un po' di anni di differenza ma c'è un rapporto fantastico. Per me lui rimarrà sempre il piccolo di casa anche se ormai è cresciuto- dissi senza riuscire a guardarla -sono fatto così, qualcuno mi dice che è un difetto-
-Se questo è un difetto!-
-Manuel non mi sopporta, dice che gli sto troppo addosso-
-Ma è normale che lui lo pensi. Però si vede che ti vuole bene-
-Lui si, tu?- chiesi finalmente guardandola.
-Io cosa?-
-Tu mi vuoi bene?-
Lei trattenne il fiato per un attimo mentre anch'io non respiravo, in attesa di una sua risposta. Chissà cosa mi aspettavo, chissà perché le avevo fatto quella domanda. Mi era venuta fuori così, senza pensarci, senza riflettere sulla sua enorme portata.
-Domanda difficile?- provai a rompere il ghiaccio.
-No, solo che non me l'aspettavo-
-E allora?- buttai sullo scherzo.
-Certo che ti voglio bene, potrei mai non volertene?-
-Effettivamente no!- dissi in tono trionfale facendo quasi la ruota come una sorta di pavone vanitoso.
Lei continuava a sorridere ma per me era ora di lasciare la seduta e dedicarmi al riscaldamento. La avvisai con un cenno del capo e cominciai a correre intorno al campo. Ogni volta che passavo davanti a Lei le regalavo un sorriso, una piccola infinitesimale parte di me.
Mentre continuavo a correre vidi Manuel tornare verso di Lei. Mi fece un piacere immenso vederli nuovamente insieme, era come se, improvvisamente, due parti della mia vita stessero per collidere. Un'esplosione di pura gioia, di amore, di smisurato orgoglio.
Quando mi sentii pronto tornai verso gli spalti. Lei e Manuel stavano ancora parlottando tra loro.
-Che avete da confabulare?- chiesi.
Poi mi voltai verso Manuel -e tu perché non vieni a fare riscaldamento?-
-Parlavamo male di te- rispose lui ridacchiando.
-Di già?- chiese Paolo.
-Stavamo parlando di Adriano- chiarì Manuel.
-Mi ha chiamato stamattina, lui non torna domani. E' il compleanno della madre quindi ha preso un giorno di permesso-
-E come farai senza di lui?- disse prendendomi in giro.
Provai a guardarlo di traverso ma proprio non riuscivo a resistere a quel faccino da furbetto che si portava dietro. Manuel era davvero capace di farmi perdere la testa.
Era l'unico che aveva il potere di girarmi e rigirarmi a suo piacimento, per fortuna era l'unico a cui avevo concesso questo privilegio. Di fronte a lui anche la più alta delle mie barriere finiva per crollare miseramente.
Ben presto non mi lasciai più imbambolare da quel visino e lo trascinai in campo per la partita lasciando Lei alle cure di Eli.
Manuel in campo era davvero un osso duro, non si fermava davanti a niente e nessuno. Non c'era speranza di renderlo calmo e mansueto. Era un combattente sul ring. Era coraggioso e impertinente. Era la rovina professionale di mio padre.
Non che fosse particolarmente scorretto o violento, aveva però un'irruenza che in certi frangenti lo rendeva altamente pericoloso.
La sua furia sportiva non si fermava nemmeno di fronte alle mie di gambe. Più volte durante la partita sentii i miei amici ridere per questo aspetto.
Io e Manuel non frequentavamo lo stesso gruppo di persone per cui non era praticamente mai capitato che ci trovassimo a giocare uno contro l'altro. Tutti erano stupiti oltre che dal suo talento, dalla sua personalità.
Tutti quei commenti, quegli sguardi di ammirazione, mi riempivano il cuore di orgoglio. Il mio fratellino stava crescendo e si stava trasformando in un vero e proprio campione.
Al termine della partita mi trattenni con lui sul campo da gioco. Discutemmo di alcuni schemi, delle sue cattive abitudini e dei lati da smussare nel suo modo di proporsi. Mi guardava come se gli stessi svelando chissà quale mistero, quasi pendesse dalle mie labbra.
Continuammo a scambiare opinioni anche all'ingresso degli spogliatoi, fin sotto le docce. Lì Manuel ritrovò i suoi amici e dedicò a loro la sua attenzione.
Appena fui pronto uscii dagli spogliatoi e raggiunsi i miei amici già appollaiati sulle gradinate. Mi sedetti accanto a Lei che subito mi chiese di poter salutare Manuel prima di andare via. Annuii accennando un sorriso per poi perdermi tra le chiacchiere dei ragazzi.
Quando Manuel sbucò dalla porticina bianca, io e Lei ci alzammo per raggiungerlo.
-Noi stiamo andando via, volevamo prima salutarti però- gli dissi.
-Ah, ok. Io volevo chiederti un passaggio ma non fa niente-
-E perché?- domandai. Poi mi rivolsi a Lei -a te dispiace?-
-Certo che no, anzi- rispose col suo sorriso adagiato sulle labbra.
Mi tirai Manuel addosso, lo avvolsi con un braccio e prendemmo a camminare verso la macchina. Risposi ancora ad un paio di sue domande ma lo lasciai andare quando giungemmo all'auto.
Quando lo vidi aprire lo sportello posteriore per lasciare a Lei il posto davanti il mio cuore si riempì nuovamente di orgoglio.
-Hai visto che fratello galante che ho?- le chiesi.
Lei rispose solamente con un sorriso che ai miei occhi valse più di mille parole.
Arrivati a casa posteggiai l'auto e, dopo aver salutato Manuel, continuammo la nostra serata.
-Dove vorresti andare?- le chiesi ad un certo punto.
-Ora?-
-Si, ora. Dimmi dove vorresti essere-
-Non saprei, oggi non ho voglia di scappare. Tu?-
-Io vorrei partire, scappare, magari su di un'isola deserta-
-Perché?-
-Non lo so, ogni tanto mi piacerebbe evadere-
-Ora possiamo solo continuare a camminare, magari evitiamo il centro ma non posso farti sparire da qui-
Scrollai le spalle incurante. Quello che non dissi fu che con Lei sarei andato ovunque e non ne avrei sentito il peso.
Non capivo il perché di quelle idee che nascevano di tanto in tanto spontanee nella mia mente. Non sapevo perché i miei pensieri, a volte, si spingessero perfino oltre i miei desideri. Era come se una parte di me corresse più veloce di tutto il resto, incurante del fatto che io stesso non riuscissi a starle dietro.
Camminammo per un'ora circa fino a raggiungere il parco chiacchierando, come il nostro solito, di tutto quello che al momento ci passava per la mente.
Quando decidemmo di sederci intravidi, nei pressi del chioschetto, alcune macchine automatiche per le fototessere.
-Facciamo una foto?- chiesi allora.
Lei spalancò gli occhi -una... foto?-
-Si! Guarda, ci sono le macchinette automatiche-
Lei non accennava a rispondere anzi, assunse quella sua caratteristica tonalità di rosso, quella che le colorava le guance quando era in imbarazzo.
-Ti sembra una domanda strana?- domandai per tirarla fuori da quell' impasse.
-No, ma...-
-Non sono impazzito, mi faceva solo piacere avere una tua foto-
Lei continuava a guardarmi smarrita.
-Sei proprio sconvolta. Forse la mia domanda ti ha messa a disagio-
-Solo non me l'aspettavo- borbottò.
-Lo immagino, era solo per avere una tua foto quando sono via-
-Allora se è per questo...-
-In realtà è che quando sono giù mi piace guardare le foto e pensare ai momenti belli e non ho niente di tuo-
-Siamo proprio uguali, anch'io quando sono giù di morale passo le ore a piangere su vecchie foto ascoltando musica strappalacrime-
-Ecco perché ho bisogno di una tua foto-
-Fammi capire ma ti serve una mia foto per ricordarti di me?- chiese finalmente tornando a sorridere.
-Assolutamente no- mi giustificai -solo che mi piace l'idea di poter guardare i tuoi occhi ogni volta che ne ho voglia-
Ecco, lo avevo detto.
Maledetto il mio filtro bocca-pensieri.
-I miei occhi?- disse fissando proprio i protagonisti del nostro discorso nei miei facendomi sentire immediatamente scomodo.
-Si ma non mi guardare così, mi imbarazzi!-
-Scusa- disse abbassando lo sguardo -è che...-
-Non ti scusare, non ce n'è bisogno. Non puoi mica controllare il tuo sguardo?-
-No ma possiamo fare la foto!-
-Davvero?- chiesi felice.
-Certo ma la facciamo insieme-
-Affare fatto-
Colsi al volo il suo slancio e mi avviai verso il chiosco, con Lei sempre al mio fianco. Tergiversammo un po' prima di deciderci ad entrare nella cabina, sembravamo due bambini imbarazzati.
Quando trovammo il coraggio ci intrufolammo su quel piccolo sedile, talmente scomodo per starci in due, tirammo la tendina ed avvicinammo i nostri visi per leggere le istruzioni.
D'improvviso sentii la consistenza della sua guancia a contatto con la mia. Fu come una carezza, pelle contro pelle, una vicinanza improvvisa che per un istante mi impedì di pensare razionalmente.
Tornai sulla terra quando notai sullo schermo il conto alla rovescia.
Il tempo di un sorriso e un click ci avvisò dell'avvenuto scatto.
Quando dopo alcuni minuti mi ritrovai con quelle foto tra le mani mi sentii avvolgere da una strana felicità.
-Vedi che belle!- le dissi condividendo con Lei quelle immagini -bisogna che le dividiamo, non ho niente dietro però, magari dopo le taglio-
Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle foto, c'era qualcosa che mi catturava e, in parte, mi destabilizzava. Qualcosa che non sapevo spiegarmi, che non potevo combattere ma solamente vivere.
Ad un tratto ricevetti una chiamata, mi stupì leggere sullo schermo il nome di mio padre.
"Pà!" sussurrai quasi spaventato.
"Paolo tesoro, torni per cena?"
"Ehm" mormorai preso alla sprovvista.
"La mamma vorrebbe saperlo"
La mamma...
Il mio punto debole.
Papà sapeva bene su quali tasti insistere.
"Ok" soffiai "datemi solo una ventina di minuti"
"Ti aspettiamo" disse e dalla sua voce potei già immaginare un enorme sorriso formarsi sul suo volto.
Ecco che però, giungeva il difficile.
Mi voltai verso di Lei e la trovai intenta a fissarsi le mani. Mi avvicinai e mi accovacciai al suo fianco.
-E' successo qualcosa?- mi chiese.
-Più o meno- risposi.
-Più o meno?- chiese Lei.
Sorrisi -devo tornare a casa-
-Oh, ok- disse alzandosi in piedi -spero nulla di grave-
-No, tranquilla, solo la mamma che mi vuole per cena-
Questa volta fu Lei a sorridere -se la mamma chiama bisogna necessariamente rispondere-
Annuii.
-Allora buon viaggio- disse.
-Cosa?-
-Non... Non hai detto che devi andare?-
-Si ma prima ti accompagno a casa-
-Non ce n'è bisogno, davvero-
-Non hai davvero capito niente di me eh?-
Lei sollevò immediatamente lo sguardo assumendo un'espressione confusa.
-Non ti lascerei mai rientrare da sola-
Un misto di felicità e stupore si dipinse sul suo viso.
-Grazie- sussurrò.
-Non dirlo neanche per scherzo-
Mi sorrise e con un semplice gesto del capo mi invitò ad andare.
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