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26 - Dobbiamo parlare

-Ora dobbiamo proprio salutarci- Le dissi una volta parcheggiata l'auto sotto casa sua.

-Si, si è fatto tardi. Grazie di tutto. Ci sentiamo allora- disse tutto d'un fiato tutto in apnea, sgusciando fuori dall'auto.

Per un attimo la osservai perplesso ma appena mi riscossi dallo stupore decisi di seguirla.

Prima che potesse aprire la porta ne richiamai l'attenzione.

-Ehi, ti sembra il modo di salutare questo?-

Lei si bloccò,  le spalle tese e le braccia lungo i fianchi.

La raggiunsi, le girai intorno e mi posizionai di fronte a lei.

-Allora?-  cercai i suoi occhi.

-Non mi piacciono i saluti, per questo sono scappata. Se continuiamo così ricomincio a piangere e non mi va, quindi ti prego salutiamoci ora-

-D'accordo, ci salutiamo qui. Mi raccomando chiamami, fatti sentire e... non piangere-

-Mi impegnerò, sull'ultima non garantisco. Ora vado e, vabbé, fai buon viaggio e... torna presto-

-Promesso- dissi incrociando le dita -ora vado. Buona notte-

Lei quasi non rispose, riabbassò lo sguardo e, come se volesse scappare da qualcosa che portava dentro, corse verso casa senza nemmeno guardarmi.

Tornato a casa fui accolto da Manuel che, con un broncio esagerato, mi oltrepassò senza spiccicare parola per rintanarsi in salone.

Lo osservai mentre a bocca cucita ne se stava sul divano, i suoi scuri mi fecero sentire terribilmente in colpa.

-Abbiamo già cenato-  disse mio padre facendomi voltare.

Sgranai gli occhi sorpreso.

-Sono quasi le dieci, Manu domani ha scuola-

-Ok-  sospirai avvilito.

-Ti aspettava-

"Lo so"  pensai colpevole mordendomi nervoso il labbro inferiore.

-La mamma?-  chiesi continuando a fissare mio fratello.

-Sta rimettendo in ordine-

Annuii.

-Vado da lui-  dissi.

Mio padre mi lasciò una pacca sulla spalla per poi tornare in cucina e raggiungere mamma.

Mi avvicinai al divano e presi posto in un angolo.

-Hei-  

Lui non rispose.

-Manu-  dissi voltandomi verso di lui.

Ancora niente.

-Sei arrabbiato con me?-

Lui sbuffò.

-E va bene, ho sbagliato. Puoi perdonarmi?-

Di tutta risposta alzò il volume del televisore ed azionò la Play Station.

-Manu ascolta-  dissi posandogli una mano sul ginocchio  -possiamo parlare?-

-Che c'è?-

Finalmente!

-Ho fatto tardi, è vero, ma sono qui-

-Ti aspettavo per cena-

-Lo so, e mi dispiace, ma pensavo di fare in tempo-

-Certo, pensavi. Peccato che non avessi messo in preventivo i tuoi amici-

Cavolo, Manuel aveva ragione. Avevo sbagliato di gran lunga con lui.

-Che posso fare per farmi perdonare?-

-Non sono mica un bambino a cui basta un regalo per dimenticare tutto?-

Manu era un genio nel farmi sentire in colpa, sapeva bene su quali tasti insistere.

-Proprio perché non sei un bambino sai che può capitare di far tardi-

-Uffa! Ma adesso che vuoi?-

-Voglio chiederti scusa-

-E adesso che l'hai fatto? Sei a posto?-

-No-

-Io me ne vado a dormire-  disse spegnendo frustrato il televisore.

Quando si alzò riuscii per un pelo ad afferrargli un polso. 

-Non vorrai mica andare davvero?-

Lui mi lanciò un'occhiataccia.

-Non mi concedi nemmeno una sfida alla Play?-  chiesi.

Lui finalmente sciolse un tantino la sua durezza.

-Ma quanti anni hai cinque?-  chiese tornando a sedersi al mio fianco  -facciamo due su tre-

Annuii e dopo avergli posato una mano sulla testa concentrai tutta l'attenzione verso la nostra partita.

Manuel in quel frangente non mi scontò nulla. 

Era attento e furioso nel gioco ma non dimenticò di pormi mille domande sugli sviluppi della mia serata. Pur rimanendo concentrato sulla partita seguì attentamente il mio discorso e, quando ebbi concluso, dopo aver messo in pausa si voltò a guardarmi.

-Questa ragazza-  disse  -non è una come tante-

Abbassai il capo per nascondere un sorriso annuendo colpevole  -no, non lo è-

-E allora sei perdonato-  disse.

Lanciai il controller sul divano e mi scaraventai su di lui per abbracciarlo contro la sua volontà e contro le sue proteste.

Quando più tardi Manuel andò a letto raggiunsi i miei genitori. Anche nei loro confronti sentivo una sorta di senso di colpa ma loro sembravano meglio disposti nei miei confronti. Avevano capito le mie ragioni ascoltando la mia conversazione con Manuel, non avevano fatto domande, mi avevano solamente sorriso comprensivi.

A fine serata mi rintanai nella mia camera, mi misi a letto e presi a trafficare col cellulare. Inviai alcuni messaggi poi mi tornò in mente Lei. Non avrei lasciato nuovamente ad entrambi il rimpianto per uno stupido messaggio. Avrei dovuto (ma soprattutto voluto) dirle tantissime cose ma non ero stato in grado di mettere assieme due frasi di senso compiuto. Le scrissi quindi la buonanotte, naturalmente a modo mio.

"Non vorrei avere altri rimpianti, avrei avuto tante cose da dirti ma non trovavo le parole giuste. E' stato bello stare insieme in questi giorni, volevo solo dirti questo. Sogni d'oro."


Al mattino,  come da programma, la sveglia trillò alle 6.30. La spensi istintivamente pigiando uno dei tasti a caso del cellulare. Invece di andare a correre però raggiunsi il bar sotto casa, comprai delle brioches e preparai la colazione per tutti.

Naturalmente il più colpito da quel piccolo gesto risultò Manuel. Si fiondò a tavola come se non avesse aspettato altro e cominciò a mangiucchiare con un sorriso enorme.

-Devi farti perdonare più spesso-  disse alzandosi da tavola soddisfatto.

Ormai era certo, mi aveva perdonato davvero!

Purtroppo con l'inizio della giornata giunse anche l'ora dei saluti. Con la promessa di tornare il prima possibile salutai mamma e Manuel e raggiunsi papà che mi aspettava in macchina.

Presi il cellulare per scrivere ad Adriano ma l'icona di un messaggio in entrata attirò tutta la mia attenzione.

"Noi non abbiamo bisogno di troppe parole. Ti ringrazio ancora per tutto il tempo fantastico passato insieme. Ci vediamo quando torni. Intanto tu continua a dormire"

Qualcosa mi si smosse dentro. Quel messaggio risaliva a notte fonda, era qualcosa di troppo profondo che andava oltre le semplici parole.

D'un tratto chiesi a mio padre di fare una piccola deviazione. Lui non capì ma non fece domande, seguì le mie indicazioni fino a raggiungere il posto da me richiesto.


Il cancello ferreo era spalancato, numerosi ragazzi erano assiepati in piccoli capannelli.

Mi addentrai nel cortile guardandomi intorno, scrutando tra i vari gruppi per cercare l'oggetto del mio interesse.

Finalmente la vidi.

Lei!

Era di spalle.

Non ebbi il tempo di pensare a cosa fare perché d'improvviso i suoi occhi furono nei miei e la bevanda che teneva fra le mani le finì rovinosamente sulle sue scarpe.

Come di consueto le sue guance si colorarono di quel familiare irresistibile rossore e il suo sguardo andò a posarsi sulle calzature ormai rovinate.

Quell'immagine riempì il mio cuore di tenerezza, sul mio viso si aprì un sorriso e le mie gambe presero a camminare da sole verso di Lei.

-Era buono?- chiesi indicando il liquido ormai giacente ai suoi piedi.

I suoi occhi erano vuoti, mi guardavano attraverso.
-Sembra che tu abbia visto un fantasma-  aggiunsi.

-In effetti è quello che mi sembra di vedere-  disse riscuotendosi  -Tu non dovevi partire?-

-Si, devo scappare. Papà mi sta aspettando in macchina però ho letto il tuo messaggio e volevo salutarti-

-Capisco...-  abbassò nuovamente lo sguardo verso le mani che si stavano torturando a vicenda.

-Allora me lo dai un abbraccio?- la invitai.

Lei non se lo lasciò ripetere, mi strinse forte le braccia al collo mentre io le cinsi la vita.

Fu un abbraccio veloce, troppo per i miei gusti.

Si allontanò da me, mi guardò per poi ricordarmi che fosse tempo di andare.

Annuii, le baciai una guancia e avvicinai le mie labbra al suo orecchio -mi dispiace per il caffè, pasticciona!-

Improvvisamente Lei si irrigidì, bloccata dalla consapevolezza di aver combinato un pasticcio.

Il fatto era che per me, vederla colta dall'imbarazzo, rossa fino all'inverosimile e con gli occhi sbarrati era diventato irresistibile.

La sentii mormorare qualcosa in protesta ma non colsi le sue parole distratto totalmente dai suoi occhi.

Non c'era più tempo, non potevo più trattenermi. Con una mano la salutai e mi allontanai verso l'auto camminando all'indietro per non interrompere il contatto visivo con Lei.

-Mi raccomando teniamoci in contatto-  le urlai prima di costringermi a voltarmi.

Mi diedi mille volte dello stupido. Sarei rimasto ore a fissarla a urlarle da  lontano mille parole senza significato.

Decidere di voltarmi e andare via fu allo stesso tempo un grande atto di volontà e una privazione immane.

Quei suoi occhi ormai mi avevano fregato. Ero un uomo morto!

Con quei pensieri ad affollarmi la mente mi ritrovai in stazione pronto a salire in treno.
Dopo un abbraccio e numerose raccomandazioni salutai papà e mi lasciai tutto alle spalle.

Solo per poco.

Una volta solo, col rumore del treno in movimento a fare da sottofondo tornai a dedicarmi al mio flusso di pensieri.

Pensieri che, inevitabilmente, portavano a Lei.

Come aveva fatto, in così poco tempo a radicarsi dentro di me? Come avevo fatto io ad aprirmi così tanto a Lei?

E perché i suoi occhi avevano il potere di scombussolarmi?

Da un po' anelavo a vederla felice, volevo che a me si rivolgessero quegli occhi brillanti che accompagnavano ogni suo sorriso.
Pur divenendo due piccole fessure, in quei momenti, erano in grado di sprigionare una luce unica.

E allora li immaginai, di fronte ad un regalo, di fronte ad un'opera d'arte, di fronte a Berlino.

Ricordavo ancora la luce che avevo intravisto nel suo cuore al solo sentir parlare di quella che doveva essere la città del suo cuore.

E non mi stupì il volo pindarico che ne seguì quando l'idea di organizzare un viaggio a Berlino tutti insieme mi sembrò la cosa più naturale del mondo.

-Scusa sai che ore sono?-  una voce mi riscosse dai miei pensieri.

Mi voltai verso un ragazzotto paffuto dai folti capelli rossi e dalle grandi cuffie alle orecchie.

-È quasi mezzogiorno- risposi.

Lui non rispose, alzò soltanto il volume e della musica e cominciò a canticchiare. Peccato fosse stonato quanto una campana e non sapesse modulare affatto il tono della sua voce.

Lo pseudo cantante, ignaro dell'indignazione dell'intero vagone, continuò con la sua esibizione non richiesta interrompendosi di tanto in tanto per domandare che ora fosse. Che tipo strano!

La prima parte del viaggio volò via così, tra canzoni storpiate e messaggi da parte di mamma. 

Nel primo pomeriggio, passato l'orario scolastico, ritrovatomi solo, senza il mio amico cantante, pensai di fare una telefonata. Dopo un paio di squilli quella voce rispose scocciata.

"Pronto?"

"Cos'è? Ti sei già stancata di me?" 

"Paolo?" domandò Lei.

"E' una domanda?"

"No" si addolcì "è solo che non mi aspettavo la tua telefonata"

"Allora riattacco!"

"Ma no scemo! Mi fa un sacco piacere sentirti. Sei arrivato?"

"No, non ancora. Sono in treno"

"E come procede?"

"Fin'ora bene. Anche se il treno viaggia con un po' di ritardo. Sai ho incontrato un tizio con le cuffie che ha cantato tutto il tempo, e quando non cantava mi chiedeva l'ora"

"Dev'essere stato divertente"

"Non sai quanto! Fortunatamente avevo anch'io le cuffie e per un po' sono riuscito ad isolarmi, e ho cominciato a pensare"

"Ahia. Questo non è un bene"

"Si invece, ho pensato a Berlino"

"Berlino?"

"Si, stavo pensando, perché non organizzare un bel viaggetto tutti insieme?"

"Non credo sia una buona idea, chi vuoi che voglia andare a Berlino?"

"A me farebbe piacere vederla, soprattutto mi farebbe piacere vederla con te perché quando me ne hai parlato ti si sono illuminati gli occhi"

"Forse perché me ne vergogno, sei l'unico a cui ne ho parlato. Anche perché di Berlino non so niente. Però mi affascina"

"Vedi, anche adesso hai cambiato tono di voce"  dissi facendole notare quella piacevole inflessione.

"Così mi imbarazzi"

"Ok, ok ti lascio in pace, magari ci sentiamo più tardi"

"D'accordo, fammi sapere quando arrivi"

Chiusi la conversazione continuando a pensare a quanto fosse semplice renderla felice. Bastava così poco per regalarle un sorriso e a me piaceva così tanto vederla sorridere che avrei fatto di tutto perché ciò accadesse.

Il resto del viaggio trascorse abbastanza tranquillo, arrivai in stazione in orario e, quando scesi dal treno, trovai ad aspettarmi Adriano.

Mi accolse a braccia aperte, mi strinse in un abbraccio fraterno e mi condusse alla macchina.

-Com'è la situazione?-  mi informai.

-Tutto bene-  rispose sorridendo.

-Andre?- 

-Sta a meraviglia-

Annuii.

-Tu?-  chiese lui a bruciapelo.

-Bene, bene-

-Paolo-   disse guardandomi  -dobbiamo parlare-



Buonasera o forse sarebbe meglio dire buonanotte?

Vi chiedo scusa per il ritardo e per quello che dovrò dirvi tra un attimo.

Questa settimana nessun doppio aggiornamento e non ci sarà nemmeno quello di lunedì 30 Maggio. Purtroppo (anzi, per fortuna :p) sarò via per qualche giorno e l'utilizzo del pc mi sarà impossibile.

Spero riusciate ad aspettarmi!

Un abbraccio a tutti, ci vediamo giovedì 2 Giugno.

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