22 - Come eravamo
-Non so che scegliere... Che dici? Due gusti: nocciola e pistacchio, o tre con nutella, o cioccolato?-
-Puoi scegliere tutti i gusti che vuoi- dissi -stasera non obietto nulla-
-Sono indecisa- sbuffò picchiettando con l'indice sul vetro che aveva di fronte.
Erano più o meno dieci minuti che io e Carmela ce ne stavamo a fissare la vetrina della gelateria nell'attesa che lei decidesse quale gelato prendere.
Avevo deciso di portarla ancora una volta nella sua gelateria preferita. Non lo avrei mai ammesso ma, nei suoi confronti, continuavo a provare una sorta di senso di colpa.
La stavo certamente trascurando e avevo sbagliato con lei lasciandola sola al tavolo per correre in soccorso dei miei nuovi amici.
Nuovi amici.
Quella era la definizione che davo anche a me stesso, una definizione che però mi stava già stretta.
Pensai di lasciar perdere tutte le mie elucubrazioni mentali per concentrarmi sulla serata che mi si prospettava davanti, Carmela si meritava la mia completa attenzione.
-Ho deciso!- disse lei esultante -prendo la coppa a tre gusti con lo sciroppo di menta. Tu?-
Ed io?
-Io prenderei un cono nocciola e cioccolato bianco. Se tu vai a scegliere un tavolo io ordino-
Lei mi sorrise, mi baciò una guancia e si allontanò continuando ad osservarmi di sottecchi.
Quando la raggiunsi al tavolo mi rivolse un nuovo sorriso raggiante, un sorriso però che celava qualcosa.
-Sono contenta che siamo tornati-
Risposi al suo sorriso.
-Adesso me la racconti la storia di quest'occhio?-
Sbuffai cercando di non darlo a vedere, avevo raccontato quella storia talmente tante volte che ne avevo le tasche piene.
Dovetti sforzarmi per non apparire irritato -niente di che, ti avevo detto che Luca era un po' nervoso-
-E quando uno è nervoso tira pugni agli amici?-
-La storia non è così semplice, però ti prego non farmela ripetere ora-
-Ok, ok- disse portando le mani avanti -non ho voglia di litigare, godiamoci la serata e il gelato-
Il suo sorriso mi portò indietro nel tempo. Di tanto in tanto, rivedevo in lei sprazzi della ragazza di cui mi ero innamorato.
Quando l'avevo conosciuta era così allegra, spensierata, sicura di sé. Era impossibile non notarla. Sembrava indipendente, libera da qualsivoglia legame, uno spirito libero insomma. Il tempo mi aveva insegnato che lei, in effetti, era tutto quello ma, fondamentalmente, lo era perché aveva una forte concezione di sé.
Non che fosse egocentrica, né particolarmente egoista, amava solamente mettere sé stessa al centro della propria vita.
Come al solito mi ero perso nei ricordi. Entrambi eravamo poco più che ragazzini quando avevamo cominciato la nostra storia e a vederla mi sembrava di non riconoscerla nemmeno.
Sorrisi comunque al solo pensiero di noi due assieme e lei dovette accorgersene perché richiamò la mia attenzione.
-A che pensi?- mi chiese.
-A noi- risposi schietto.
-A noi?- ripeté lei arricciando il naso come faceva ogni volta che qualcosa non le era chiaro.
-Si, ripensavo a com'eravamo quando ci siamo conosciuti-
-Eravamo carini dai, non è che siamo cambiati più di tanto poi-
-Bé, io direi che sono cambiate tante cose-
-Quali? Sentiamo!- disse mettendosi in posizione d'attacco.
-Lasciamo perdere-
-Devi per forza essere sempre così sfuggente quando si parla di noi?-
-Non sono sfuggente, solo non mi va di analizzare la nostra relazione adesso-
La realtà era che non avevo alcuna voglia di litigare. Non mi andava di snocciolare tutti i nostri problemi davanti ad un gelato nell'unico incontro che ci eravamo concessi.
Riprendemmo a mangiare il gelato silenziosamente fin quando lei non ruppe il ghiaccio.
-Che vuoi fare stasera?-
Alzai gli occhi stupito.
-A dire il vero non ci ho pensato, tu hai qualche idea?-
-In realtà non vorrei fare molto tardi perché domani ho lezione-
Annuii. Un lampo mi attraversò i pensieri. Potevo giostrare la situazione a mio vantaggio.
-Possiamo fare una passeggiata- dissi vago.
-Si possiamo-
Cadde nuovamente il silenzio interrotto solamente dal tintinnare del cucchiaino sulla superfice vitrea della sua coppetta.
Dopo aver finito pagai per entrambi e lasciai che Carmela posasse il suo braccio nell'incavo del mio.
-Dove andiamo?- chiese.
-Non lo so, verso il centro magari?-
Lei sorrise.
Mi sentivo un po' subdolo in quel momento ma dovevo assolutamente accertarmi che tutto andasse per il verso giusto. Volevo raggiungere i ragazzi e verificare che non ci fossero problemi. Che Lei non avesse problemi.
Quando arrivammo nei pressi del bar La vidi. Se ne stava assorta, era come rinchiusa in un bolla. Una bolla oscura di tristezza.
-Oh! Guarda chi c'è!- esclamò piccata Carmela -i tuoi amici!-
Mi voltai verso di lei ricambiando il suo sguardo truce. Non dissi nulla solo continuai ad avvicinarmi ai ragazzi tirandomela dietro ignorando i suoi lamenti maltrattenuti.
-Buona sera- dissi richiamando l'attenzione su di me.
Tutti gli occhi si voltarono verso di me, compresi i suoi che ritrovarono in un attimo parte della loro luce. Scivai tutti per portarmi alle sue spalle, le lasciai un leggera carezza per farle sentire che, in qualche modo, io per Lei ci sarei stato sempre. Da quella posizione continuai a salutare gli altri, da quella prospettiva di apparente superiorità da cui mi sembrava di poter avere tutto sotto controllo.
Rimanemmo con loro solo pochi minuti poi Carmela riprese il suo posto al mio fianco. Riprendemmo a camminare, ci fermammo in una rosticceria a prendere del cibo per la cena e riaccompagnai Carmela a casa.
-Non ti chiedo di salire- disse -so che non lo faresti vero?-
Non lo avrei fatto, Carmela aveva ragione, mi conosceva fin troppo.
Ero restio nell'approccio coi suoi, preferivo mantenere le distanze, vivere la nostra storia in piena libertà.
Non ero una cima nel creare legami, non amavo dare un nome alle cose e rendere ufficiale la nostra relazione mi pesava fin troppo. Forse in realtà non ero propriamente un tipo da relazione, non ero avvezzo a creare l'illusione del ragazzo ideale, del principe azzurro. Ero un ragazzo come tanti, con la testa sempre tra le nuvole e il cuore pieno di sogni che amava circondarsi delle persone a cui voleva bene. Non avevo alcun problema con i genitori di Carmela ma non avevo mai imparato a sentirli parte della mia vita. Erano stati rari i momenti in cui eravamo entrati in contatto, pochissime le parole che ci avevano uniti. Mai un abbraccio, mai un gesto complice, mai che mi fossi sentito a mio agio al loro cospetto.
Annuii quindi alla sua constatazione, la salutai con un bacio che somigliava più ad uno sfioramento di labbra e, senza ripensamenti, mi allontanai da lei.
Pensai di fare una capatina al bar per salutare i miei amici, sempre che fossero ancora lì; non era troppo tardi, magari li avrei trovati a poltrire, a ridere o a fare chissà cosa.
Quando raggiunsi il bar vidi i ragazzi ma Lei non c'era. Mi avvicinai con circospezione, mi guardai intorno per vedere se mai si fosse solo allontanata un po' ma di Lei non c'era traccia.
Indossai uno dei miei tanti sorrisi di circostanza, quelli che riservavo alle molteplici occasioni che mi stavano strette, mi feci avanti e mi accomodai al fianco di Giovanni che stava chiacchierando fittamente con degli amici. Di fronte a noi Stefano ed Eli se ne stavano appollaiati uno accanto all'altra intenti a parlottare e ridacchiare tra loro. Per un attimo mi incantai a guardarli, invidiavo la loro complicità, il legame profondo che li univa, il modo in cui lei sembrava affidarsi a lui in un abbraccio leggero.
Sapevo che nel rapporto con Carmela ci fosse qualcosa di sbagliato, qualcosa che stonava con tutto il resto ma non riuscivo mai a capire cosa. Era come se al puzzle della mia vita mancassero dei tasselli fondamentali. Perché non riuscivo ad amarla come avrei dovuto? Perché tutto si era trasformato in una sorta di sbiadita consuetudine? Perché nemmeno un bacio aveva più il sapore di una volta?
Ero, in un certo senso, disgustato da me stesso e dai miei pensieri a riguardo. Ero come costretto in una condizione scomoda dalla quale non riuscivo a liberarmi.
La relazione con Carmela era diventata una sorta di catena che non ero in grado di spezzare ma che aggiravo in ogni modo mi fosse possibile.
Eppure all'inizio non era così.
All'inizio mi piaceva passare il tempo con lei, non trovavo ogni scusa possibile per rimanere in ritiro, cercavo di essere presente, di dimostrarle il mio amore o, quantomeno, il mio affetto. Eravamo davvero tanto legati, forse l'unico grande problema era che ad unirci era il sentimento sbagliato.
C'erano volte in cui avrei voluto mollare tutto, se solo ne avessi avuto il coraggio...
Sognavo una libertà che ormai Carmela non mi negava, volevo sentirmi privato da tutti quei pesi immaginari che mi gravavano addosso e a tratti mi toglievano il respiro.
Mio malgrado avevo personificato tutti i miei problemi in Carmela, le davo colpe che non le appartenevano e che nemmeno meritava.
Avevo pensato più volte di chiudere la nostra storia per riprendere in mano la mia vita, per godere a pieno di tutto, per vivermi i miei anni migliori senza pensieri e sensi di colpa ma ero sempre stato troppo debole di fronte all'evidenza del mio fallimento.
Perché se era conclamato che avessi fallito come fidanzato temevo di perdere la sua amicizia e, di conseguenza, fallire come uomo.
La verità in fondo era che mi mancava lo stimolo giusto, ero troppo codardo per rischiare e cominciare da capo. Finché non fosse arrivato un tornado a smuovere la mia inerzia affettiva avrei continuato a mentire a me stesso, a far finta che tutto andasse per il verso giusto, a tornare a casa il meno possibile, a non provare sentimenti veri.
A prendere in giro la mia intera vita.
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