21 - Sei speciale
Gli squilli si susseguivano ma nessuna voce rispondeva al telefono.
Provai ad inviare un messaggio ma anche quello non diede i risultati sperati.
Che fare allora?
Io e la scatola di cioccolatini ce ne stavamo seduti su di una panchina, da dieci minuti circa, a riflettere su quale strada prendere.
Lei però non dava segni di vita. Non rispondeva al cellulare né ai messaggi che le avevo inviato.
Forse dovevo andare via, tornare a casa, ma l'idea di non sapere come stesse né se le fosse accaduto qualcosa non mi faceva stare tranquillo.
Camminai ancora un po' lungo il marciapiedi poi mi venne un'idea: potevo usare il citofono come avrebbe fatto una qualunque persona normale.
Ma dal momento che non mi sentivo affatto normale cominciai a farneticare sulle mille ipotesi che potevano presentarmisi.
Se non fosse stata Lei ad aprire? Se addirittura non fosse stata in casa? Se non avesse voluto vedermi?
Se, se, se e ancora se. Troppe domande senza logica e senza, naturalmente, risposta.
In mio soccorso giunse un bigliettino apposto alla scatola di cioccolatini. Corsi in auto a cercare una penna, che trovai nel vano porta oggetti, e buttai giù due parole.
"Un piccolo pensierino per addolcirti la giornata. Scusa se sono arrivato fino a casa tua ma ho provato a chiamarti, ti ho scritto dei messaggi e non ho avuto tue notizie. Volevo solo sapere come stavi. Nel caso ne hai voglia io ti aspetto giù..."
Lo lasciai così, senza firma, così che Lei potesse indovinare chi fossi e raggiungermi nel caso lo volesse.
Mi avvicinai al portone scrutando i nomi impressi sul citofono. Rimasi un paio di minuti a fissare quelle scritte senza nemmeno vederle davvero quando il portone si aprì rivelando la figura di una donna di mezza età.
-Deve entrare?- mi chiese.
Presi quell'apparizione come una sorta di segno premonitore quindi annuii e ringraziai la donna infilandomi nell'androne del palazzo.
Contai i gradini che mi separavano da casa sua uno ad uno fino a giungere al portone al quale era affisso il suo cognome.
Presi qualche respiro, ebbi la tentazione di tornare da basso ma riuscii a convincermi che restare fosse la scelta giusta.
Finalmente portai l'indice sul campanello. Dopo qualche istante un uomo di media statura, dai capelli brizzolati e gli occhi vispi, venne ad aprire.
-Salve- bofonchiai imbarazzato.
-Salve- rispose lui con un sorriso poco rassicurante ai miei occhi.
-Ehm, sono un amico di sua figlia- il suo viso mutò all'istante, da allegro e affabile divenne una maschera ostile.
-Avrei bisogno di farle avere questo-
-Vorresti portarglielo tu?- chiese con espressione scettica.
-No, no- dissi portando le mani avanti -io, io vado-
Che stupido ero stato, avevo sicuramente fatto la figura dell'imbecille. Quell'uomo mi guardava con un'aria perplessa quasi fossi un extra-terrestre. Ma d'altronde come dargli torto?
Mi ero presentato alla porta di casa sua con una scatola ci cioccolatini e una faccia da schiaffi, avevo cominciato a balbettare e a muovermi come se fossi sui carboni ardenti. Sicuramente non un'ottima presentazione.
Dandomi continuamente dello stupido scesi in strada e tornai a sedermi sulla panchina giocando nervosamente con un portachiavi. Ero sicuro ormai che Lei non mi avrebbe raggiunto, suo padre nemmeno le avrebbe consegnato i cioccolatini.
Nonostante tutte le mie convinzioni c'era qualcosa che mi teneva ancorato a quella panchina. Coltivavo ancora segretamente la speranza di vederla comparire da un momento all'altro.
-Allora avevo ragione?- disse ad un tratto Lei cogliendomi di sorpresa.
Mi alzai dalla panchina lasciando cadere le chiavi che fino ad allora stavo tormentando e, dopo aver riacquistato una certa lucidità, le sorrisi.
-Lo sapevo che eri tu. L'ho capito dal biglietto- disse lei mentre io mi chinavo per recuperare le chiavi.
-Sono così riconoscibile?-
-Solo tu potevi fare qualcosa del genere-
-Ti è piaciuto il pensiero?-
-Io adoro la cioccolata!- rispose sorridendo e sollevando comicamente le spalle.
Le lancia un'occhiataccia accompagnata da un mezzo sorriso, la fissai cercando di leggerle dentro ma Lei mi stupì cominciando a ridere.
-Perché ridi?- le chiesi.
-Dovresti vederti, hai una faccia!-
-M-ma...- provai ad articolare qualcosa che però non riuscii a portare a termine.
-Mi è piaciuto tutto, il biglietto, la cioccolata, il fatto che tu sia qui, sono scesa all'istante-
Io non riuscii a trattenere un sorriso, nello stomaco una sensazione piacevole si fece largo. Dovevo assolutamente cambiare argomento, quella morsa piacevole stava per diventare ingestibile.
-Chissà cos'avrà pensato tuo padre? Mi avrà preso per pazzo-
Lei non parve accorgersi del mio tentativo di sviare l'attenzione.
-Non saprei davvero, appena ho capito di chi fosse il biglietto sono schizzata via-
-E cosa hai pensato?-
-Non lo so, però adesso sono felice-
-E allora? Che aspetti a mangiare la cioccolata?-
-Si dai!- il sorriso che aveva accompagnato quella frase si tramutò impercettibilmente in una velata tristezza.
-Sai che per un momento ho sperato potesse essere Luca?- disse dopo un attimo.
Lo sapevo, potevo immaginarlo. Dovevo immaginarlo.
-Ho temuto che potessi fraintendere ma non potevo aspettare, ho provato a chiamarti, ti ho inviato dei messaggi ma tu non hai mai risposto-
-Scusami, ascoltavo la musica e ho completamente scordato il cellulare-
-Fa niente, per stavolta ti perdono-
-Ma perché non sei entrato? Cioè, perché hai lasciato i cioccolatini a papà e sei tornato giù?-
-Ma sei pazza? E' già stato complicato così. Tuo padre mi ha fulminato, figurati se gli avessi chiesto di entrare-
Lei fece spallucce.
Avevo ragione, Lei era molto più forte di quanto potesse sembrare.
-Vuoi?- chiese indicandomi i cioccolatini.
Ne presi uno e lo mangiai ringraziandola.
-Te lo meriti- disse mangiandone uno anche lei.
-Mi dispiace solo doverti abbandonare per un po'- soffiai.
Ormai quando ero con Lei il filtro bocca-cervello sembrava essere inesistente.
-Devi andare?- chiese corrugando la fronte.
-No, non ora almeno, ma tra due giorni devo tornare in ritiro. Non sai quanto mi dispiace lasciarti sola proprio adesso. Io comunque continuerò ad esserci anche da lontano perché quando torno voglio trovarti allegra-
-Wow, abbiamo solo due giorni-
-Mai come questa volta vorrei rimanere ma non posso rimandare la partenza altrimenti il mister e i ragazzi mi strozzano-
-Credo proprio che sentirò la tua mancanza-
-Anch'io! Solo a pensarci già mi mancano le nostre chiacchierate, i tuoi sorrisi e... i tuoi occhi. Non lo so, ormai diventati una piacevole consuetudine-
La vidi nuovamente arrossire violentemente. Come al mio solito avevo parlato troppo ma di fronte a Lei ogni mia barriera crollava miseramente e i pensieri non conoscevano mediazione.
Lei continuò a tenere lo sguardo basso fissandosi i piedi e giocherellando con le sue mani e i suoi bracciali.
-Cosa c'è? Ho detto qualcosa di strano?- ero consapevole di averla messa in difficoltà.
-No è che certe cose mi imbarazzano-
-Sei, non so che termine usare, direi diversa dagli altri ma è una cosa bella quello che voglio dire. Sei particolare ma nel senso migliore del termine, non so come spiegarmi-
-Non c'è bisogno, ho capito quello che vuoi dire, almeno credo. Però hai ragione, mi rendo conto di essere un po' strana-
E no, non aveva davvero afferrato il concetto.
-Sapevo che non avresti capito, io non intendevo strana. Quello che volevo dire somigliava più a speciale, se te lo dico però poi ti vergogni-
-Oh!- soffiò sgranando gli occhi.
-Vedi che avevo ragione?-
-L'ho detto che mi conosci troppo. Comunque grazie-
-E di che?-
-Di mille cose. Per i complimenti, per quello che fai per me, per quello che mi dici e per come me lo dici. Non me lo dimenticherò mai. Mi dispiace tu debba partire così presto-
-Guarda che torno, ci rivedremo presto-
-Lo credo bene, altrimenti verrei io a cercarti-
-Non ce ne sarà bisogno, te lo prometto-
-No, non farmi promesse-
-E no invece. Io voglio prometterti che torno presto, vedrai che saprò mantere la promessa-
-Va bene, ti credo-
-E fai bene- le assicurai. Deluderla era proprio l'ultimo dei miei pensieri.
-Ora devo davvero andare. Ci vediamo più tardi?-
-Credo di si-
-Allora a dopo- le rubai un ultimo cioccolatino e scappai via.
Stare con Lei era un toccasana. Non avevamo fatto nulla si speciale eppure mi ero sentito bene. Riusciva a mettermi a mio agio, come in pochi riuscivano.
Pensai a Lei, ancora e ancora per tutto il tragitto che mi divideva dalla mia meta.
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