2 -Ciao-
Il mio tempo a casa si era ridotto a cinque giorni dopo i quali rientrai al centro sportivo per riprendere la mia solita routine.
Appena la mia caviglia tornò alle sue normali funzionalità mi riconcentrai sugli allenamenti. Dovevo dare il massimo per recuperare la settimana di stop e non potevo perdere neanche un istante.
Le mie giornate erano scandite da inflessibili sessioni di allenamento che non mi lasciavano nemmeno il tempo, né la forza, di pensare.
Alla sera però, quando sfinito mi lasciavo cadere a letto, mi capitava di tornare col pensiero a quella ragazza di cui non sapevo praticamente nulla.
Non avevo parlato a nessuno di lei, non mi sembrava una cosa importante da raccontare.
Era stato solo un semplice incontro fortuito, di poco conto, di nulla importanza.
E allora perché continuavo insistentemente a pensarci?
Non sapevo darmi una risposta ma quel ricordo, quell'immagine, mi portava una sensazione di serenità. E poco mi importava di sembrare uno stupido, di imbambolarmi a pensare, di tutto il resto, per una volta volevo pensare solo a me.
Passarono appena una decina di giorni e le mie valigie furono di nuovo preparate svogliatamente pronte per essere trascinate su di un treno diretto verso casa.
All'arrivo mi aspettava una sessione d'esame in università, avevo ottenuto un paio di giorni di permesso e dovevo sfruttarli nei migliore dei modi.
Dal treno avvisai del mio arrivo uno degli amici che ancora mi tenevano ancorato alla mia città natale e lui, in risposta immediata, mi propose una partita a calcetto.
Il calcio era uno dei pilastri della mia vita ed una delle passioni che mi legavano a Luca.
Luca era un ragazzo d'oro, lo conoscevo da anni ed anni. Il nostro primo incontro era avvenuto sul campo di calcio ma, nonostante la distanza che ci aveva divisi col tempo, avevamo mantenuto inalterato il nostro amichevole rapporto.
Ogni volta che tornavo a casa avvisavo lui che, senza perdersi in chiacchiere, metteva in piedi una sorta di torneo di calcetto. Quei tornei erano la nostra gioia, avevano un orario di inizio ma non avevano mai fine. Passavamo tutto il nostro tempo a rincorrere quel pallone che rotolando delineava le nostre giornate.
Arrivai al campetto con la mia macchina, quando raggiunsi l'ingresso trovai ad aspettarmi Luca e Stefano. Entrambi mi raggiunsero correndo come ragazzini per abbracciarmi fra spintoni e scompigli di capelli. Mi facevano sorridere, nonostante lo scorrere del tempo erano sempre i bambini di un tempo, quelli a cui bastava stare insieme per essere felici.
Noi eravamo la dimostrazione che la distanza non intacca i legami affettivi. Non quelli veri almeno.
Insieme raggiungemmo gli spogliatoi, ci cambiammo e, una volta salutati anche gli altri, ci recammo sul campo. Formammo le squadre e demmo inizio alla partita.
Giocammo per circa due ore poi affaticati ci spostammo negli spogliatoi per la doccia. Luca e Stefano si catapultarono subito fuori mentre io fui trattenuto da alcuni ragazzi che mi chiedevano informazioni e curiosità sul mondo del calcio professionistico.
Non ero molto bravo a raccontare della mia carriera, mi sembrava di voler mettere in risalto qualcosa di cui andavo fiero ma che non mi piaceva ostentare. Quasi mi vergognavo quando si parlava di me come del "calciatore".
Io ero solo Paolo e sarei continuato ad esserlo nonostante tutto.
Quando riuscii ad uscire dagli spogliatoi mi guardai intorno per cercare i ragazzi.
-Paolo- urlò Luca -vieni qua un attimo-
Mi affrettai a raggiungerlo e, quando lo affiancai, lo stupore prese possesso di me.
Di fronte a me, con le gote arrossate e lo sguardo perso, c'era la ragazza che, qualche tempo prima, avevo visto cadere. Senza nemmeno riuscire a pensarci le sorrisi.
-Ciao- le dissi.
-Ciao...- rispose lei.
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