12- Che ti prende?
I giorni che seguirono furono tutti piuttosto uguali l'uno all'altro. Un continuo susseguirsi di allenamenti e serate tra amici immersi in chiacchiere e risate.
Avevo finalmente ripreso anche la buona abitudine della corsa mattutina e i miei rapporti sociali erano di gran lunga migliorati.
Quando il mal di testa non mi dava i tormenti ero un personaggio piuttosto socievole, mi piaceva stare tra la gente specialmente se questi erano i miei compagni di squadra.
Ero un tipo piuttosto alla mano, mi piacevano le grandi compagnie fatte da persone semplici. Quelle persone a cui affideresti la tua vita ad occhi chiusi. Ero un istintivo, non eccessivamente ragionevole ma nemmeno uno scapestrato. Avevo la testa ben piantata sulle spalle e quello mi aveva permesso di rimanere lo stesso ragazzo di sempre.
Era finalmente giunto il giorno della partita ed era decisamente un giorno no!
Avevo avuto un sonno disturbato da incubi, avevo sognato Lei.
Erano stati una serie di immagini molto strane, tutte collegate tra loro, una incastrata nell'altra.
Ero agitato, avevo un brutto presentimento e non riuscivo a nasconderlo, non a tutti almeno.
Adriano, Andrea e Luigi avevano provato a farmi sputare il rospo senza risultati, avevo finto indifferenza ed avevo provato a concentrarmi sul normale svolgimento della giornata.
Preferii non assumere caffeina, ero già piuttosto nervoso di mio decisi di concentrare le mie attenzioni sugli allenamenti.
La prima parte della giornata trascorse abbastanza tranquilla, alle 12 fu il momento del pranzo e in seguito ci dedicammo alla solita routine che caratterizzava i match da giocare in casa.
Alle 13 riunione tecnico-tattica, alle 13.30 partenza per lo stadio, alle 14 pronti per il riscaldamento direttamente sul terreno di gioco.
E fu proprio durante il riscaldamento che una strana sensazione riprese possesso dei miei pensieri. Ero distratto, scostante e perso in mille ricordi. Immagini di quel sogno ambiguo si riversarono su di me nel momento meno opportuno.
Persi un paio di passaggi, mi lasciai superare più volte dagli altri fino al punto di dovermi fermare. Coi piedi ben piantati tra l'erba verde e i palmi poggiati sulle ginocchia provai a rimettermi in sesto.
Proprio in quel momento però mi si fece vicino il mister col suo peggiore sguardo affilato.
-Non ci siamo- disse scuro in volto -se continui così oggi ti sistemi in panca-
-Ma...- provai a ribattere.
-Ma cosa? Sei distratto, sei fermo sulle gambe e sembri imbambolato. Adesso ti fai una doccia fredda, ti cambi e vediamo come stai messo-
Quelle parole accompagnate da quell'espressione delusa mi mortificarono. Mi avesse colpito fisicamente mi avrebbe fatto meno male.
Scesi negli spogliatoi, mi tolsi velocemente i vestiti utilizzati per il riscaldamento e mi lanciai in doccia. Adagiai la fronte contro le piastrelle fredde e mi lasciai accarezzare dal getto d'acqua gelida. Quel flusso liquido che mi scorreva addosso non riuscì a portarsi via la tensione accumulata, non riuscì a ripulire la mia mente dalla confusione che vi si era accumulata, non mi diede alcun senso di pace.
Nulla inoltre migliorò quando mi trovai di fronte gli occhi sbarrati di Adriano.
-Si può sapere che ti prende?-
Abbassai lo sguardo, non avevo bisogno di un'altra ramanzina.
-Paolo che hai? Sei strano-
-Niente, non ho niente. Ho solo dormito male-
-Di nuovo? Ma sei sicuro di star bene-
Annuii continuando a fuggire il suo sguardo.
-Me lo diresti se avessi un problema?- disse ancora.
Sbuffai.
-Ti va se stasera parliamo un po'?- gli chiesi.
-Mi devo preoccupare?-
Gli sorrisi lievemente -no, nulla di grave-
-Va bene, adesso però vestiti, abbiamo bisogno di te-
E come ogni volta, Adriano aveva ragione. Loro avevano bisogno di me ed io di scendere in campo.
Per un attimo accantonai tutti i miei tormenti. Indossai la divisa ufficiale, annodai le stringhe delle scarpette e mi sentii finalmente forte. Pronto per sfidare i miei fantasmi.
Il fischio d'inizio mi trasportó in un'altra dimensione, mi sentivo un'altra persona.
Il merito come al solito era tutto di Adriano, le sue parole avevano la capacità di conferirmi una forza vitale inaspettata. Il suo sguardo poi era in grado di parlarmi come nessun altro sarebbe mai stato capace di fare. Era il nostro legame ad unirci, era quello che ci legava a parlare per noi.
Adriano, come pure Andrea e Luigi, erano figure essenziali della mia vita. Poter contare sempre su di loro, sul loro sostegno e sulla nostra amicizia era fondamentale per me.
Sul campo, come nella vita, eravamo un gruppo coeso, una vera e propria squadra o forse sarebbe meglio dire, una famiglia. Alle pecche di uno rispondeva prontamente l'audacia dell'altro, ad ogni errore insieme provavamo a mettere una pezza.
La mia debolezza era svanita nell'istante in cui i tacchetti erano sprofondati nel terreno.
Al fischio d'inizio avevo dimenticato tutto e il pallone era diventato il centro del mio interesse.
I primi 45 minuti trascorsero senza particolari azioni o emozioni lasciando il risultato fisso sullo 0-0.
Mentre, a fine tempo, me ne tornavo in spogliatoio con tutti gli altri mi sentii afferrare la spalla da una mano piuttosto forte.
Mi voltai di scatto verso il proprietario di quella mano e mi trovai di fronte due occhi che mi fissavano seri. Gli occhi del mister.
-Stavolta te la sei cavata ma non pensare sia sempre così facile. La prossima volta che ti scorgo con la testa tra le nuvole ti mando direttamente in alloggio. Se hai dei problemi risolvili ma non portarli sul campo, non è il luogo adatto per pensare-
Spostò la sua mano e si voltò lasciandomi solo e interdetto. Fece qualche passo allontanandosi poi però si fermò e, senza nemmeno voltarsi, richiamò la mia attenzione.
-Ah, Paolo!-
-Si?- balbettai quasi in un sussurro.
-Se hai bisogno di tornare a casa chiedi pure un permesso e se, invece, hai bisogno di parlare sai dove trovarmi-
Un sospiro di sollievo abbandonò le mie labbra nell'udire quelle ultime parole. Il mister, oltre ad essere un tecnico del mestiere era la nostra figura di riferimento. Deludere lui sarebbe equivalso a deludere me stesso.
Il secondo tempo ricominciò sotto i migliori auspici, al quinto minuto, dopo un assist al bacio di Alberto, Andrea aveva già realizzato il goal del vantaggio.
Quel goal diede morale a tutta la squadra quasi avesse avuto il potere di rompere una sorta di incantesimo.
Da lì fu tutto in discesa. Al ventiduesimo Luigi segnò su calcio d'angolo e in un attimo il tempo sembrò volare.
Quando l'arbitro fischiò la fine del match ci riversammo tutti in un abbraccio scomposto. Urla e risate fecero da cornice a quel nostro momento magico.
Paradossalmente quello era il momento in cui stanchezza ed apatia prendevano il sopravvento. L'adrenalina scaricata in partita andava scemando, le emozioni vissute d'impatto ad una velocità impressionante lasciavano il posto ad una calma latente.
Dopo i festeggiamenti di rito,
le docce e la riunione tecnica insieme raggiungemmo il centro sportivo.
Ci incontrammo tutti in sala mensa per la cena poi ognuno raggiunse la propria camera.
Appena rientrato presi possesso di divano e televisione almeno fin quando Adriano, con la sua mole imponente, si frappose fra me e lo schermo.
-Allora?- disse incrociando le braccia al petto -non penserai mica che ho già dimenticato? -
-Lo so che se c'è qualcosa che riguarda me tu non dimentichi-
-Allora che ne dici di smettere di girarci intorno e cominciare invece a parlare?-
E cominciai a parlare davvero, mi liberai di una sorta di zavorra che forse da troppo mi portavo dietro.
Gli raccontai di tutto, degli incubi che da un po' mi accompagnavano, dei miei dubbi rigiardo il mio rapporto con Carmela e gli raccontai di Lei.
Lei che non aveva una dimensione precisa nei miei pensieri. Lei che era al centro dei miei pensieri.
Lei che pur senza volerlo aveva lasciato il segno nelle mie strane giornate.
Adriano non mi fece domande, ascoltò il mio racconto in silenzio annuendo di tanto in tanto.
Era così lui, non giudicava mai, non prendeva una posizione di punto in bianco, non prima di aver ascoltato tutti i dettagli di ogni situazione.
Sapeva ascoltare come pochi per poi con poche parole trovare il bandolo della matassa.
Quella sera mi ascoltò per circa due ore. Quando ebbi concluso il mio monologo alzai lo sguardo verso di lui vedendolo annuire.
-Secondo me dovresti tornare a casa- disse dopo un attimo di silenzio.
Lo osservai frastornato ma fu questione di istanti.
D'improvviso i pezzi del puzzle si ricongiunsero nella loro forma originaria ed ebbi la risposta alle mie mille domande.
-Secondo me hai ragione!-
Lo osservai intensamente
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