11- Il centro sportivo
Il centro sportivo era una grande struttura situata poco lontano dai campi di allenamento. A prima vista poteva sembrare un vecchio istituto scolastico fatiscente, in realtà era un piccolo mondo in costante movimento. A volte l'apparenza è, appunto, solo mera apparenza.
Il centro, oltre agli uffici amministrativi, alle sale comuni, alla mensa, ospitava gli alloggi di noi "giovani" che, per un motivo o per un altro non potevamo permetterci una casa tutta nostra.
Il fatto è che in squadra si arrivava dai sedici anni in poi e, a quell'età, vivere da soli, in una città nuova, con la scuola da seguire e gli allenamenti a fare da costante, è pressoché impossibile.
Invece vivere assieme ai proprio compagni, sotto lo stretto controllo dei supervisori era un'esperienza formativa di tutto rispetto. Era il viatico per non imboccare una strada sbagliata e mantenersi sui binari paralleli che portavano ad una vita da professionista.
Le regole ferree e gli spazi personali ridotti ai minimi storici però a lungo andare finivano per stancare e, una volta raggiunta l'età dell'autosufficienza, la voglia di evadere cominciava a farsi sentire.
Era infatti da un po' di tempo che io, Adriano ed Andrea, altro compagno di squadra, stavamo cercando di spostarci in una casa tutta nostra.
Non che avessimo problemi lì, al centro sportivo, ma dopo anni di paletti e regole imposte da altri avevamo bisogno di ritrovare degli spazi tutti nostri.
Andrea tra i tre era il più piccolo. Era entrato in squadra qualche tempo dopo noialtri ma si era conquistato un posto di rilievo sul campo e nella nostra vita.
Per me ed Adriano, Andrea, era come un fratello più piccolo da difendere e proteggere da tutto e tutti. Spesso però, come nelle migliori delle consuetudine, era lui l'unico a curarsi di noi. Forse, semplicemente, Andrea tra noi era il più saggio. Era l'unico che ci capiva davvero, l'univo che aveva sempre la parola giusta per tirarci fuori da ogni tipo di spiacevole situazione.
Non fu una sorpresa, al rientro, trovarlo mezzo addormentato su di una poltroncina della hall.
Lui era così, premuroso, attento, un vero amico.
Appena si accorse di noi lasciò la sua seduta per avvicinarsi e stringermi in un abbraccio.
Non ero un tipo molto fisico, non amavo abbracci o smancerie varie ma della mia famiglia non mi sarei mai negato nulla.
-Finita la vacanza?- chiese.
-Non vedo l'ora di giocare-
-Come se mi aspettassi altro- disse ridacchiando.
-Antipatico!- lo apostrofai -Sono stanchissimo, non vedo l'ora di mettermi a letto piuttosto-
-Ti va qualcosa per cena?- chiese ancora Andrea.
-No grazie, ho solo bisogno di dormire-
-Come vuoi, a domani allora!-
Andrea si allontanò lasciando soli me ed Adriano.
-Andiamo?- disse accompagnando le parole con un gesto della testa.
Annuii e lo seguii verso la nostra camera.
Una volta giunti all'uscio tirai un sospiro di sollievo.
Rimettere piede in quelle quattro mura mi diede una sorta di nuova spinta vitale.
Mi lanciai con un tonfo sul mio letto e chiusi gli occhi, finalmente rilassato.
Quella stanza era il centro della mia vita, un luogo stupendo, lo scrigno che conservava i miei migliori ricordi.
A vederla sembrava una normalissima stanzetta da studentato, vi era, appena entrati, una zona comune con un divano di pelle bordeaux a tre posti, un piccolo frigobar e un televisore con annessi ogni tipo di consolle. In un angolino piuttosto nascosto vi era la porta per i servizi mentre sul fondo c'erano le due piccolissime stanze dotate di letto, comodino e armadio a muro in cui dormivamo io e Adriano.
Io e Adriano condividevamo quello spazio da sempre, dal mio primo giorno in squadra.
Era gratificante sapere in ogni momento di poter tornare lì e trovare la giusta tranquillità dopo ogni tipo di giornata, anche la più dura.
Cullato dai miei pensieri su quel mio spazio di mondo caddi in un sonno profondo ancora vestito senza nemmeno darmi una rinfrescata.
Al mattino fui svegliato dalla sottile risatina di Adriano.
Avevo un forte mal di testa e i miei muscoli erano tutti anchilosati.
Aprii gli occhi con difficoltà e cercai di trovare una posizione quantomeno umana.
-Amico ma sei crollato vestito?- ridacchiò lui.
-Shhh parla piano- dissi -ma che ora è?-
-E' ora che ti alzi, sono quasi le 8-
-Ma quanto ho dormito? Ho la testa che mi scoppia-
-Scendiamo a fare colazione poi vai in infermeria e ti fai dare qualcosa. Prima però passa a farti una doccia, sembra ti sia passato sopra un camion- sorrise e si allontanò dalla mia camera.
Seguii il suo consiglio, mi sfilai gli abiti sgualciti con cui mi ero addormentato lanciandoli nel cesto dei panni sporchi e mi lanciai sotto la doccia.
Il getto d'acqua calda sortì l'effetto sperato, mi sentii subito meglio ma la morsa che gravava intorno alla mia testa non accennava ad allentarsi. Velocemente mi asciugai e indossai la tuta della società con la quale avrei raggiunto gli allenamenti.
Quando, insieme ad Adriano, raggiunsi la sala mensa fui avvolto dall'abbraccio dei miei compagni, ero mancato per un po' di giorni e sembrava che tutti avessero qualcosa da dirmi o qualche simpatico aneddoto da raccontare.
Al mattino ero solito alzarmi di buon'ora e raggiungere il parco per una sana corsetta, quello era un toccasana e mi dava modo di riavviare con tranquillità e, soprattutto, in solitudine il sistema nervoso.
Non ero di gran compagnia appena sveglio, figurarsi dopo una nottataccia e un terribile mal di testa. Salutai tutti un po' impacciato, afferrai al volo un caffè e un paio di biscotti e mi recai di corsa fuori dalla sala. Defilandomi da tutta quella confusione mi allontanai per raggiungere l'infermeria dove, ad uno dei medici sportivi, chiesi qualcosa per il mal di testa.
Purtroppo, o per fortuna, a causa dei numerosi controlli antidoping a noi ragazzi era proibito assumere qualsiasi tipo di medicinale senza lo stretto controllo di uno dei medici sportivi quindi per ogni problema era indispensabile rivolgersi a loro.
Presi una pastiglia e, approfittando del bel sole tiepido, raggiunsi il campo di allenamento con una corsetta di una decina di minuti.
Raggiunsi immediatamente gli spogliatoi dove i miei compagni stavano arrivando alla spicciolata.
Potevo finalmente ricominciare ad allenarmi, già sentivo l'ebrezza del vento accarezzarmi il viso, la forza imprimersi nelle mie gambe durante la corsa, la sensazione di potenza quando il pallone era gestito dai miei piedi.
Mi era mancato tutto quello.
Il calcio era la mia libertà.
Stavo per uscire dagli spogliatoi ma sull'uscio incontrai Luigi.
-Buongiorno- lo salutai.
-Buongiorno a te- rispose mimando un inchino -fatto bisboccia?-
-Magari! Ho avuto una nottataccia e mi è rimasto un mal di testa formidabile-
Lui sorrise comprensivo -andiamo che ti riposi correndo!-
Altro che comprensione.
Luigi era il più grande del gruppo. Sarebbe stato il capitano se gli infortuni non avessero costellato la sua giovane carriera. Lui giocava in difesa, sul campo come nella vita.
Era grande e grosso e, dalla fine del campionato precedente aveva deciso di vivere con la compagna in un appartamento appena fuori dal centro sportivo.
La voglia di indipendenza e quella di mettere su famiglia lo avevano spinto a prendere quella decisione che, in un modo o nell'altro, gli aveva cambiato la vita.
Ogni tanto passava ancora le serate con noi agli alloggi ed allora si lasciava andare alla pazza gioia coinvolgendo tutti col suo carattere frizzante.
Anche quel giorno mi lasciai coinvolgere, feci come lui mi aveva consigliato, salii le scale che separavano gli spogliatoi dal terreno di gioco e finalmente spensi il cervello.
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