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Capitolo 9: Giorni di dolore

Passarono due settimane dall'incidente.
Per ricordare ricordavo, ma c'era ancora dell'altro che mi preoccupava. I miei genitori stavano male e li sentivo litigare molto spesso. Ogni volta che mi agitavo, poi, provavo dolori atroci.
Ciro veniva sempre a vedere come stavo e Lucia mi stava sempre accanto. Vedevo che era sfinita, ma lei non si era mai mossa dal suo posto accanto a me e nonostante cercassi di convincerla a farsi dare il cambio e riposare un po' lei non si muoveva dalla sua posizione.
Un giorno di inizio febbraio provai un dolore più forte del solito, bruciavo di febbre e dicevo cose sconclusionate. I miei genitori erano fuori e litigavano.
Il dottore entrò nella mia stanza, mi prese in braccio e mi trasportò altrove.
Non mettevo bene a fuoco e non capivo cosa mi stesse accadendo, ma avevo paura di quello che avrei dovuto aspettarmi.
Infatti poco dopo mi ritrovai collegata a un enorme macchinario e i miei timori si intensificarono. Il dottore provò a spiegarmi per farmi stare tranquilla, ma io non riuscivo a calmarmi. Avevo un dolore atroce alla testa e di colpo non ressi più e scoppiai in lacrime. Il dottore mi prese per mano e mi disse: "Sfogati tutto il tempo che vuoi, Cari! Hai ragione, è molto doloroso, ma vedrai che passerà presto!"
Restai lì per un tempo che mi sembrò un'eternità, poi ritronai nella mia cameretta d'ospedale, ma questa volta mi sentivo svenire e persi di nuovo i sensi.
Al mio risveglio mi fu raccontato tutto q-ello che era successo quando ero in quello stato.

Lucia aveva gli occhi sbarrati e rossi quando mi riportarono nella mia camera.
Il dottore spiegò tutto quello che era successo nell'altra stanza e i miei familiari si strinsero intorno al mio letto e cercarono di farsi coraggio tra di loro. Mi dissero che venne anche il conducente dell'auto che mi aveva investita quel giorno e chiedeva perdono per quello che mi stava accadendo. Lo ritrovai accanto a me anche quando mi svegliai. Mi fece molta tenerezza e non provavo rancore verso di lui perché era tutto buio e io correvo per sfuggire al mio vero nemico: Max. Poi era stato lui a salvarmi in un certo senso perché mi aveva presa in braccio e portata in ospedale quasi subito. Forse attraverso il mio cellulare era arrivato alla mia famiglia. Fu molto difficile anche per me stare così, rigida e immobile. Volevo uscire, ma non sapevo come fare.
Poi fu Ciro ad aiutarmi. A mezzanette del giorno di San Valentino, mi si avvicinò e mi disse: "Puoi farcela, piccola! Puoi farcela!" Poi si chinò verso di me e mi diede un bacio sulla fronte, ma non per dirmi addio. Sentii che mi stringeva forte e a quel punto riuscii finalmente ad aprire gli occhi e la prima cosa che dissi fu: "Grazie."

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