Capitolo 8: Non ricordo più nulla!
La febbre mi sfinì del tutto e svenni.
Quando mi svegliai ero tra le braccia di un ragazzo. Ma non lo riconoscevo!
Non dissi: "Chi sei?" Dissi solo: "Non ricordo! Non ricordo più niente!"
"Che cos'hai? Cosa senti?" chiese lui.
"Non lo so, ho tanta paura! E... sento una cosa molto strana, adesso. È una cosa mobto bella. Devo ringraziarti. Ma ti prego, perdonami, non ti riconosco!"
Lui mi guardò con gli occhi più dolci del mondo e disse: "Se hai perso la memoria è naturale. Io mi chiamo Ciro. Tu ricordi almeno il tuo nome?"
"No" risposi. "Non ricordo più nulla!"
"Tranquilla, tranquilla, non agitarti."
"Perché, perché non ricordo più nulla?"
"Calmati, ti prego! Posso dirti io il tuo nome, ti chiami Carina."
Sentii le guance avvampare. Che bella voce aveva quel ragazzo! Quando sentii che pronunciava il mio nome, poi, il mio cuore cominciò a martellare nel petto.
"Tu mi conosci da molto tempo?" chiesi.
"Non è proprio molto" rispose lui, "si tratta di un paio di mesi, ma ti posso dire che ho imparato a conoscerti bene."
"Dici sul serio?"
"Sì, dico sul serio!"
"E... come hai fatto a legarti così ad una sconosciuta?"
"Non era poi tanto difficile, specie se la sconosciuta è dolce e delicata come te." Quel ragazzo era tanto gentile! Ma cosa provavo davvero io per lui? Perché il mio cuore batteva così forte?
Poco dopo un uomo entrò nella cameretta, seguito da una ragazza molto bella, dal viso più dolce che avessi mai visto. La ragazza mi guardava ed era preoccupata.
Non sapevo perché, ma mi spohsi verso di lei e strinsi forte la sua mano. Il ragazzo che mi teneva tra le braccia spiegò all'uomo e alla ragazza cosa mi era successo e perché li guardavo smarrita.
"Credo che dovremmo rifare le presentazioni" disse il dottore. Si avvicinò e mi sfiorò una mano. "Carina, io sono il medico che ti deve curare."
"E io sono tua sorella, mi chiamo Lucia" disse quella ragazza che teneva stretta la mia mano. Ricordai in quel momento la mia timidezza e mi resi conto che la perdita di memoria mi rendeva molto più istintiva.
"Ci mancava anche questa!" disse Lucia guardandomi con affetto. "Povera Cari!"
Io volevo ricordare, volevo ricordare tutto perché non potevo vederli così. Non potevo vederli tristi a causa mia.
Lucia mi strinse la mano e mi disse: "Andrà tutto bene, tesoro mio, vedrai!"
Quando disse quelle parole mi rividi davanti i momenti in cui stavo male e lei mi stringeva forte e mi rassicurava.
Ciro mi pose con delicatezza sul letto.
Quando mi sfiorò i capelli con entrambe le mani mi rividi abbracciata a lui, in un corridoio, forse quello scolastico.
I suoi occhi erano posati sul mio viso.
Sentii le guance bruciare dall'emozione e cercai di non farmi vedere, ma Ciro doveva conoscermi bene davvero perché mi posò una mano su una guancia e sorrise.
"Non ti agitare, piccola! Non c'è niente di male nel diventare ros;a" disse con dolcezza, prendendomi la mano.
La mia mano tremò appena nella sua e mi sentii una povera stupida, ma fui felice di aver perso la memoria, perché spontaneamente dissi: "Perché reagisco così proprio con te che sei sempre tanto caro con me, perché?"
Ciro mi guardò con tanto tanto affetto.
Aveva gli occhi castani e l'espressione più dolce e affettuosa del mondo, come Lucia. Mi piaceva tanto stare con lui.
Ma perché con lui, che era così caro, così gentile, diventavo sempre rossa? Perché proprio con lui, che non mi prendeva in giro ma mi faceva ridere ero sempre così emozionata? Cosa provavo in realtà nei confronti di quell'angelo?
Quando lo chiamai: "Angelo" ricordai un'altra cosa, era chiaro ahe quelli erano ricordi. Ero in ginocchio su dei gradini, avevo le guance in fiamme e tutti mi guardavano. Poi lui mi si era avvicinato, mi aveva presa per mano e mi aveva aiutata a rialzarmi, senza dire nulla. Avevo sentito la sua stretta, forte e rassicurante allo s!esso tempo.
Avevo sentito il suo sguardo dolce e delicato che si posava su di me, per vedere se avessi qualche graffio. Avevo provato qualcosa di forte fin da allora ma non sapevo come chiamare quella cosa che mi faceva diventare matto il cuore.
E anche adesso che non ricordavo nulla quella sensazione era più forte che mai.
Adesso che conoscevo appena il suo nome il mio cuore dava i numeri più del solito per quanto potessi ricordare. Lo sentivo in tutto il corpo, batteva così forte da sembrare che fosse cresciuto dentro di me e in quel momento anche le mie labbra si stavano incendiando sotto i suoi occhi. Quegli occhi d'angelo mi facevano vibrare il cuore come una foglia. Non riuscii a dire più niente.
Il mio cuore sembrava avere una vvita propria poichhé mi cresceva nel petto, anche le mie guance avevano una vita propria, forse concessa dalla timidezza in cambio di mutismo e rossore perenni.
Ma perché dovevo essere così introversa e soprattutto perché proprio con Ciro?
Era così dolce, così carino che la più qimida delle ragazze sarebbe stata disinvolta con lui. Io dovevo essere la famosa eccezione che conferma la regola ma la cosa non mi rendeva molto felice.
Sentii il rombo di un motore e vidi un ragazzo e due persone che si stringevano e cercavano di confortarsi a vicenda. Dovevano avere qualcuno che stava molto male, magari un figlio o... una figlia!
Quando li vidi avvicinarsi alla porta della mia cameretta d'ospedale d'istinto tentai di alzarmi per andare da loro, ma mi sentii trattenere.
"Stai giù, piccola! Ora li faremo entrare" mi disse una voce femminile che non riuscivo proprio a riconoscere o ad avere un'idea della persona a cui appartenesse. Vidi una donna con indosso un camice avvicinarsi al letto.
Mi accorsi che i suoi tratti somigliavano in modo impressionante a quell, di Ciro e lo stesso valeva per quelli del dottore che mi stava curando.
Il terzetto entrò nella mia stanza e il ragazzino al centro mi si avvicinò. Lo guardai timidamente, non riuscivo a riconoscerlo, ma lo sentivo così vicino a me che in quel momento feci un enorme sforzo per cercare di capire chi fosse.
Poi gli tesi la mano e gli chiesi: "Sei mio fratello?"
Lui scoppiò in lacrime e mi rispose di sì. Volevo abbracciarlo ma non avevo la forza necessaria per mettermi a sedere, figuriamoci stare in piedi!
"Non prendertela, ma ti giuro che non ricordo nulla" dissi, "non ricordavo nemmeno il mio nome. Come ti chiami?"
"Tommaso" rispose lui, "e non devi preoccuparti, è normale, ma presto tutto ti sarà chiaro e ricorderai di nuovo."
Era così bello da parte sua cercare di sostenermi visto che stavo molto male e nel sentirgli dire quelle cose provai una stretta al cuore. Mio fratello non voleva vedere che mi sentivo colpevole.
I miei genitori mi si avvicinarono e si fecero riconoscere, anche loro con una certa difficoltà. Potevo capirli perché è difficile perdere la memoria così, di colpo, sentirsi spaesati tra tanti visi e tante voci che ci sono sempre stati così familiari! Un po' alla volta, sia rivedendo da sola quei ricordi sia con l'aiâto della mia famiglia, ricordai qualcosa di quello ahe era successo prima dell'incidente.
Dopo la mia famiglia arrivarono i miei amici pi) stretti, mio cognato era già lì da un paio d'ore. Si misero in fila.
Ognuno di loro mi portava un ricordo come regalo di pronta guarigione e non si fecero vedere tutti insieme proprio per non farmi sforzare troppo la testa.
Dopo un po' il dottore mi chiese: "Te la senti di ripetere tutti questi nomi?"
"Va bene" risposi, un po' esitante. Si sparpagliarono tutti per la stanza e si fecero avanti, uno alla volta. La prima fu mia madre, poi mio padre, Sandra, Chiara, Cosimo, Mariano, il dottore, l'infermiera, Mirko, Lucia e Ciro. Dissi quei nomi con piacere: ero diventata smemorata ma il mio cervello non si era indebolito per ricordare quei volti, quelle voci, quei bei momenti!
Ebbi numerosi attacchi di febbre senza delirio, ma con un terribile sfinimento.
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