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Capitolo 35: Una verità scottante

Mi svegliai sentendo dei leggeri colpi alla porta. Mi alzai dal letto, andai verso la porta e vidi mia sorella che mi guardava con non poca preoccupazione, come se avesse qualcosa di molto importante da comunicarmi.
"Lucia, cosa c'è? Perché mi guardi in quel modo?" le chiesi portandomi le mani alle tempie e spregandole piuttosto forte.
"Vedi... ho dei motivi per credere che Max sia cambiato come ha detto." mi rispose lei. "Ti consiglio di sederti, perché per quanto male possa averti fatto, conoscendoti, so che questa notizia non ti renderà felice."
Andai a sedermi sul mio letto e lei si mise a sedere accanto a me e mi afferrò la mano destra.
"Cari... tesoro mio... vedi, mi ha chiamato una guardia del carcere di Poggioreale. Mi ha detto che da quando è entrato in carcere Max ha avuto degli strani attacchi: vertigini, nausea e cose del genere. Un medico l'ha visitato e gli ha diagnosticato un tumore al cervello."
"Un... un che?"
Iniziai a sudare freddo, sentendo delle calde lacrime che rotolavano giù per le mie guance. Non importava quanto male mi avesse fatto, la vita non poteva punirlo in quel modo. Un tumore al cervello! Una vita a rischio di distruzione! Una fine fatta in solitudine, dietro le sbarre di una cella... in prigione, da solo! Questo era troppo! Davvero troppo.
Era eccessivo persino per lui.
Crollai sul letto, mi voltai e mi coprii la faccia con entrambe le mani per nascondere a mia sorella le lacrime che mi scorrevano lungo le guance e che bruciavano come acido sulla mia pelle. Percepii dei movimenti e sentii che mia sorella si sdraiava accanto a me, stringendomi in un abbraccio che può essere dato soltanto da una sorella. Anzi, per meglio dire: soltanto da MIA sorella. Mi voltai verso di lei e posai la testa sul suo petto, morbido e caldo, lasciando che le lacrime scorressero senza controllo.
"Piangi, tesoro mio. Sfogati."
"Grazie, Lucia" sussurrai tra le lacrime, mentre mi stringevo di più a lei. Volevo soltanto sparire, diventare un tutt'uno con mia sorella, perché sentivo che lei poteva aiutarmi a stare meglio.
"Non dovrei dirtelo ora, ma la guardia mi ha detto che lui vorrebbe vederti prima che la situazione possa degenerare" mi disse dolcemente.
"Va bene. Non posso lasciarlo solo adesso, non posso" dissi in un sussurro. "Mi accompagneresti tu al carcere?"
"Certo, tesoro" mi rispose lei.
Vidi che mi stava guardando, come se volesse dirmi altro.
"Vuoi che chieda anche a Ciro di venire con noi, Cari?"
"Se lo facessi mi faresti un enorme piacere."
Lei si limitò ad annuire, poi lasciò la stanza ed io mi buttai di nuovo sul letto, imbevendo di lacrime le lenzuola ed il cuscino oltre al grosso piumone.
Sentii la porta aprirsi nuovamente e due mani calde mi si posarono sui fianchi, tirandomi su e facendomi girare verso la persona che mi aveva tirata su.
Sentii il cuore battere più forte quando i miei occhi si scontrarono con i suoi: era lui!
"Sono qui, tesoro mio." mi disse con il suo solito tono dolce e pacato. La sua voce era come un balsamo sulle ferite della mia anima.
"Piccola, guardami." disse lui poiché il mio sguardo, subito dopo lo scontro tra i nostri occhi, si era leggermente spostato, era perso nel vuoto.
"Non ci posso credere! È davvero assurdo" sussurrai. "Io... io so che lui ti ha fatto soffrire e avresti ragione a rifiutare, ma volevo chiederti di accompagnarmi là perché non credo di farcela a sopportare tutto questo da sola e tu e Lucia siete gli unici che mi danno coraggio."
"Si parla comunque di mio fratello. Nemmeno io potrei abbandonarlo e soprattutto non potrei abbandonare te."

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